Carlo Righetti, alias Cletto Arrighi
I quattro amori di Claudia

PARTE TERZA.

CAPITOLO III.   Miette rassegnata.

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CAPITOLO III.

 

Miette rassegnata.

 

Per condurre di fronte lo scioglimento della mia storia è necessario che ritorni all'altro innamorato, che si trovava in quella casa nelle stesse condizioni sentimentali di Mario Fox.

Uguale in entrambi l'ansia e il dubbio; ma ben diversa la speranza.

Steno Marazzi, dalle parole della Valenti aveva già acquistata la dolorosa certezza di avere perduta per sempre la sua Claudia adorata.

 

Entrato in camera il povero giovane lasciò libero lo sfogo alle lagrime. E, soltanto chi non ha mai pianto d'amore e di gelosia, gli getti il piccolo sarcasmo della propria superiorità!

 

Si raccolse e si consultò.

 

Doveva egli aspettare la Claudia o non sarebbe stato meglio farsi forte e allontanarsi senza vederla?

La dignità, e la convenienza gli gridavano di partire. Si sforzava di dar loro ascolto... ripassava colla ragione tutti gli argomenti in favore d'una tal risoluzione.

Ma sentiva in fondo al cuore che non avrebbe vinta la vigliaccheria.

 

Stava in queste perplessità quando 1'uscio s'aperse ed egli vide entrare la sua Miette.

 

Steno sono qui — diss' ella con un incantevole tono di voce.

E stette sulla soglia ad aspettare la risposta del suo antico amante.

 

Oh Miette! — sclamò Steno alzandosi e andandole incontro con trasporto — Tu qui! Povera Miette! Come mai? Dov'eri tu?

Io canto al teatro di... nella Sonnambula, e la signora Valenti sapendo che oggi e domani ho riposo mi invitò a passare qui una giornata col maestro, e io ho accettato.

Povera Miette! — sclamò Steno prendendole le mani, con quella gentile espansione che gli era ispirata dalla nativa gentilezza, da tutti i ricordi del passato, e dal contrasto istesso col suo recente dolorePovera Miette come sei pallida e magra! È dunque vero che fosti molto ammalata?

Sì molto. E ho creduto di dover morire senza vederti un'ultima volta.

E il maestro dov'è?

È andato alla caccia?

E la tua carriera come va?

Oh Steno! — disse Miette con un mesto sorriso. — Per poter cantare con applausi è necessario non essere infelice come lo sono io.

Tu mi ami dunque ancora?

Oh sì tanto! — rispose la povera fanciulla lagrimando.

 

Steno non rispose subito.

Era commosso, ma non si sentiva di poter dire, alla povera , una di quelle frasi, che valesse a consolarla interamente.

Vediamo vediamo, Miette — le disse prendendole una mano — non piangere perchè mi fai male. Devi sapere, povera amica mia, che anch' io sono molto infelice e che non credo più a nulla, a nessuno.

 

La condusse a un divano e la fece sedere presso di .

 

Ascolta... ma non offenderti. Che cosa potrei io fare per te? Io so che ho dei torti da riparare. È troppo giusto che io faccia tutto quel sagrificio, che tu fossi per esigere da me; io oggi sono molto ricco; posso far tutto per te, ma non potrei parlarti d'amore, perchè mentirei, e tu non lo vorresti, mi crederesti.

 

La Miette si era levata da sedere fin dalle prime frasi; rispose con dignità:

 

Io non ti domando nulla! Ciò che io desidero, ciò che forma il sogno della mia vita tu non puoi darmelo; dunque tal sia di me.

Il tuo sogno sarebbe che io ti riamassi?

Non altro.

Ma o povera fanciulla! — sclamò Steno — Non vedi che io non posso più amare nessuno al mondo? Non capisci che tu con me saresti la più infelice delle donne?

No! A me basterebbe di udire la tua voce, e di vederti. Non cercherei altro da te.

Povera Miette! — ripetè StenoAscolta; sia ragionevole. Io ormai sono tutt'altro uomo di quello che tu hai conosciuto. Io ho risoluto di viaggiare molto, di non tornare forse mai più in questo maledetto paese.

Non potrei dunque venire con te?

Ma sarebbe un tormento il tuo, e io non ho il diritto di far dividere ad altri il disgusto che provo della vita.

Maggiore tormento del non vederti è impossibile! — labbreggiò la Miette facendosi rossa.

 

Quella riserva, come riguardosa di offendere Steno, avevano un fascino, che a lui solo, turbato da altre emozioni, sfuggiva totalmente.

 

Quella mite e modesta creatura emanava, per così dire, un irradiamento di malinconia, di tenerezza e di grazia ineffabile, che ne avrebbero fatta una sorprendente artista, se per essere tale bastasse la bella voce e il sentimento dell'arte.

 

La carrozza, che era andata alla stazione a prendere il conte e la contessa Millo, si fermò verso le tre ore dinanzi alla porta maggiore del palazzo Stacchi, e gli sposi ne discesero.

La Claudia si gettò nelle braccia della Valenti.

Ed entrarono.

Prima di tutto venite a vedere le vostre cameredisse la signora Annetta, conducendo in fretta la Claudia verso lo scalone.

 

Il conte Millo era rimasto indietro, tanto che alla Valenti riuscì di dire all'orecchio della Claudia senza essere udita da lui:

Ho combinato in modo da farvi trovare tutti insieme.

 

La Claudia guardò in viso all'amica con un punto di interrogazione... nello sguardo.

 

Non capisci?

No.

Hai ragioneriprese la Valenti — io ho fatto trenta invitando a venir qui due persone, che ti interessano, assai; ma il caso ha fatto trentuno, mandando qui una terza persona che non avrei certamente creduto di vedere precisamente in questo giorno.

Spiegati ti prego, perchè non ci capisco nulla. Chi sono queste tre persone?

Indovinale.

Forse la Miette?

È una.

E il signor Steno Marazzi?

E due.

Steno qui — sclamò la Claudia arrestandosi.

Non ti ricordi di quello che m'hai scritto?

È vero... ma a me disturba di vederlo. Ho paura ch'egli non sappia essere calmo. Guai se avesse ad accadere una scena... con mio marito...

No — interruppe la Valenti — ho la sua parola d'onore che sarà gentiluomo. Piuttosto temo che il conte...

Osvaldo? Oh! Non lo conosci. Guarda che cosa faccio io.

 

E voltasi indietro chiamò:

 

Osvaldo.

Il Millo rispose dal basso della scala.

Eccomi.

E in quattro salti le fu dinanzi.

La mia buona Annetta, mi stava dicendo che tra gli altri convitati c’è anche il signor Steno Marazzi.

Davvero? Lo vedrò volentieri.

Vedidisse la Claudia alla Valenti ridendo.

Si può sapere che cosa significhi quel vedi? — domandò Osvaldo sorridendo alla sua volta.

No — rispose la Claudia scuotendo l'indice della destra — sono cose che non debbono sapere i fanciulli!

E se io l'avessi indovinato?

Sentiamo allora.

Tu sai d'avermi detto che Steno Marazzi era innamorato di te.

Sta bene! E poi?

La signora Annetta t'avrà domandato se per caso, io non potessi mostrarmi geloso di Steno Marazzi.

Benissimo e poi?

Il resto viene da , mi pare.

Dunque tu non sei assolutamente geloso di lui?

Vorresti forse che io lo fossi?

Non dico questo; ma trovo che tu potresti fingere di esserlo un poco per farmi piacere.

Andiamo andiamointerruppe la Valenti — queste sono fanciullaggini. Noi due abbiamo dei progetti in grande, ai quali, lei, caro conte, non può che rimanere estraneo. Perciò, appena ch'ella avrà fatto toilette deve farmi un immenso piacere.

:E quale? — domandò Osvaldo.

Ora sono le tre. La caccia dura fino alle cinque; le posso far sellare un cavallo, o preparare un tilbury a sua scelta, e lei deve andar incontro ai cacciatori.

Davvero che la proposta è un po' strana.

Non c'è nulla di strano. Per fare l'opera di misericordia che abbiamo in mente di compiere noi due è meglio che lei non sia in casa.

Basta così — disse Osvaldo — mi fido.

Vuol dunque un cavallo o una carrozza?

M'è indifferente. Se il cavallo è buono amo meglio montar a cavallo.

 

La Valenti andò alla finestra diede l'ordine poi condusse il conte alla sua camera e ve la lasciò.

 

Mezz'ora dopo egli galoppava verso il bosco d'onde si sentivano venire dei prolungati suoni di corno, che annunciavano la morte d'una volpe.

 


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