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CAPITOLO I.
La desolata.
L'uomo più freddo del mondo, che in un giorno di Natale, mentre tutto spira nell'aria pace, benevolenza, e perdono — l'intraducibile «Gemüthlichkrit» dei Tedeschi — si veda venire incontro, nella strada, una fanciulla affannata, che pianga a lagrime dirotte, tentando invano di celare il suo strazio, e di reprimere i singhiozzi, io lo sfido a non provare nell'animo, una grande pietà e una immensa curiosità di conoscere la causa di quella passione!
Poco o molto le lagrime commovono!
Questo avvenne verso l'ora del pranzo del giorno 25 dicembre 1871 in una di quelle vie di traverso, di là dell'Arno, che da Porta X... mettano a Porta Y... in Firenze.
La strada era deserta. Ad una certa svolta, essa si divideva in due rami; uno dei quali andava a sboccare sull'Arno, l'altro metteva ad una antica piazzetta. Il capo mozzato delle case che formavano il bivio, presentava una facciata a due piani, con tre finestre cadauno, ed una porticina chiusa da una pusterletta alla lombarda, con foro nel mezzo, come quella di un monastero. Alla porta si ascendeva per due gradini. Tra le finestre del primo piano si vedevano le vestigia di un affresco roso del tempo; doveva essere stata un'Annunciazione, o qualche cosa di simile. Restava il braccio di ferro per reggere la lampadina.
Non cercate nè il biforcamento, nè la casupola, nè l'immagine, perchè non le trovereste più. Le nuove costruzioni, e l'inesorabile rettifilo, hanno portato via ogni cosa.
Da una mezz'ora aveva incominciato a cadere la neve; prima a bruzzoli sodi, poi a falde larghe e spiegate, che danzavano nell'aria quasi schive di toccare la terra.
Un giovine ne’ 20 anni, alto della persona, snello, bellissimo, veniva frettoloso e freddoloso per quella via, dalla parte di palazzo Pitti. Se ne andava senza ombrello, in mezzo alla strada, colle due mani sprofondate nelle tasche del paletò, con una certa cara e spigliata noncuranza della neve, che calpestava, e di quella che gli cadeva addosso.
Era giunto quasi dinanzi alla misteriosa casupola, e stava per infilare il vicolo a sinistra, quando il tintinnio di un campanello, che veniva dalla pusterla, gli fece alzare lo sguardo.
Era un suono in misura, come di un ordigno girante su un perno.
E vide, a comparire sulla soglia e discenderne in fretta i gradini, una fanciulla di sedici anni non più, che piangeva con un accoramento, con uno schianto tale, ch'egli fu obbligato a fermarsi sui due piedi, di botto!
C’era nel lacrimare della bella sconosciuta una passione così sterminata e così sincera, che anch'egli si sentì rimescolare il sangue, e gli spuntarono i lucciconi agli occhi.
Quanta angoscia, quanto strazio in quel pianto!
I tratti del viso della fanciulla non avevano nulla di fiorentino. Presentavano invece il tipo di quella bellezza più sostanziale e più florida, che per usare una frase del Maestro «brilla nel sangue lombardo». Così lagrimoso quel viso era uno sconforto a vederlo; ilare doveva essere un raggio di sole.
Un'idea se ne potrebbe avere, richiamando alla memoria una certa litografia, oggi dimenticata nelle cartelle dei negozianti di stampe, ma che in quei giorni fermava l'attenzione di chiunque, passando, a Milano, in Galleria De-Cristoforis, avesse gettato uno sguardo nelle vetrine del Pozzi; voglio dire quella che rappresenta la «Rigolette» dei Misteri di Parigi. Chi l'ha veduta non può a meno di ricordarsi di quella deliziosa acquatinta e non avere ammirata la dolce espressione dell'ovale, raccolto in un scialetto, che disegna il gentile contorno; e chi non l'ha veduta si figuri una di quelle fisonomie di fanciulla bruna, cogli occhioni voluttuosi e intelligenti, come ciascuno di noi ne ha sognati sull'origliere de' suoi quindici anni
La dolente guardò come trasognata in faccia al giovine: si strappò giù il velo che portava in testa alla milanese, quasi vergognosa d'essere stata colta con tante lagrime negli occhi, e, svoltando rapidamente nella via, che conduceva all'Arno, scomparve.
Il giovine, nel breve momento che passò fra il comparire e lo scomparire di quella visione, trovandola tanto bella e tanto infelice, sentì scattar nel cuore quella magica molla di ogni affetto, che ancora non si può chiamare amore, ma che se ne potrebbe dire il battistrada; miscuglio indefinibile di pietà, di simpatia, di curiosità, e di ammirazione.
Il suo primo slancio fu di seguirla; il secondo fu quello di continuare la propria via. Questa rapida lotta avvenne fra la curiosità e la timidezza. A che scopo tenerle dietro, s'egli sapeva di non avere il coraggio di accostarla?
Se non che un sospetto lo assalì! Ella era come disperata e si avviava verso l'Arno.
La fanciulla, svoltato il canto, i rapidi passi aveva mutati in corsa. Giunta al parapetto del fiume, si arrestò, sporse il capo a guatar l'acqua fulva, che le passava di sotto, e, prima che il giovine le fosse di dietro, scavalcò rapida l'ostacolo, alzò un istante1 gli occhi al cielo, quasi a domandar perdono del suicidio, e scomparve.
Il giovine vide la mossa, poi udì il tonfo. Alzò le braccia in alto, mandò un grido, ebbe l'ali ai piedi. Cavarsi il soprabito e la giacchetta, saltare anch'egli il parapetto e gettarsi nel fiume dietro la sventurata, fu un punto solo. In Arno c'era poca acqua. In quattro salti le fu vicino; diede uno sguardo sulle due sponde, per cercare un luogo di approdo, e scopertolo poco lungi, cominciò, senza lasciarsi afferrare da lei, che brancolava con un braccio fuori dell'acqua, a spingerla verso il guado, finchè la ridusse in punto, dove i suoi piedi posarono sul fondo sodo. Allora raccoltala nelle braccia la portò fuori svenuta.
Non c'era intorno anima viva. Nessuno si era accorto di quel fatto. La fanciulla sarebbe parsa fuori di vita, se lo sbattere dei denti e il tremito convulsivo delle membra non avessero provato il contrario.
Anche lui tremava di freddo e grondava dalla testa ai piedi; ma era raggiante d'aver salvata quella bella creatura da morte.
Quando fu sulla via si guardò intorno. Neppure un cane! In quel punto i duecentomila fiorentini e i diecimila buzzurri, che non erano ancora andati a Roma, stavano intorno ad una pappatoria o ad un presepio! Di botteghe, lì, non ce n'era punto; le più vicine erano assai lontane e chiuse anch'esse.
Allora il giovine pensò, che il miglior partito era quello di portare la svenuta nella casa istessa, dond'era uscita poco prima. Levò dalla sbarra, come potè, un po' coi denti, un po' colle mani, i panni che vi aveva deposti, prima del tuffo, e rifatto il cammino, entrò nella misteriosa casetta, spingendo la punteria, che fè girare i campanelli.
— Chi è? — domandò una voce di donna, che partiva dal primo piano, col più spaccato accento lombardo.
— Amici! — rispose il pietoso, montando la scala.
I battenti dell'uscio sul ripiano si schiusero, e comparvero una vecchia, una giovinetta e una ragazzina. Dietro a queste, in ombra, un baffone grigio, che aveva l'aria d'un veterano.
La vecchia e la ragazza, se la scala non fosse stata buia, si avrebbe veduto che avevano gli occhi rossi di pianto.
A levare un grido di sorpresa e di spavento fu prima la giovinetta, e dietro a lei la nonna. Il veterano si ritrasse indietro, e la bimba guardava ad occhi spalancati.
— La Claudia, morta! — sclamarono ad una voce le donne.
Il giovane era tutt'altro che un Ercole, e colla sua svenuta, che gli giaceva abbandonata sulle braccia, montava a stento i gradini della scala.
— No, no! È fuori di sè soltanto! — disse alle donne.
Giunto sul pianerottolo, queste si ritrassero in silenzio, ed egli le seguì nella camera, dove, veduto un letto, vi adagiò la fanciulla.
Lo sforzo per lui era stato soverchio. Si sentì scemare ad un tratto gli spiriti, cadde su d'una sedia e parvegli che la vita gli sfuggisse coi sensi.
Quando rinvenne si trovò dinanzi al camino, su cui ardeva il tradizionale ceppo. Si sentì un poco rimesso e quasi asciutto. La vecchia e le ragazze gli stavano intorno e lo sostenevano. L'uomo ingrugnato, colle due mani raccolte sul pomo di un bastone, stava seduto in un canto, senza dir parola, presso un desco mezzo sparecchiato.
Il giovine rese mille grazie alle donne, che ripetevano con accento milanese:
— Oh giusto, giusto! Grazie a lei, piuttosto.
Vide che intanto la salvata dalle acque, era stata messa a letto, e pareva dormisse.
— Come stà? — domandò sottovoce alla vecchia.
— Non si è ancora svegliata — rispose questa; poi riprese interrogando:
— Come è mai successo? Vergine Santissima!
Il giovine raccontò semplicemente il fatto.
— Quando l'ho veduta gettarsi in Arno — concludeva — non ho potuto a meno di saltar giù anch'io.
La nonna diede un rapido e furtivo sguardo al baffone, e accortasi che in quel punto non sarebbe stata veduta da lui, il quale aveva posata la fronte sulle mani raccolte sul bastone, afferrò la destra del giovine con uno slancio quasi giovanile di riconoscenza, labbreggiando parole di gratitudine e di tenerezza.
— E così ho avuto la fortuna di....
S' arrestò sul di. Si capiva che non voleva dire: di salvarla.
Doveva essere un tipo di delicatezza quel giovine!
A quell'anima stranamente gentile la parola salvarla sarebbe parsa una millanteria! Egli aveva ritirata dolcemente la sua dalla mano della vecchia, e quasi si sarebbe detto, tanto era modesto, ch'egli si scusasse con lei del suo eroismo
In quel punto batterono le cinque a Santo Spirito.
Il giovine le contò, e gli corse alla mente che i suoi di casa lo aspettavano a pranzo.
Balzò in piedi, e cercò intorno i suoi abili.
La giovinetta glieli presentò, e lo aiutò ad infilar le maniche.
— Il mio cappello — disse sorridendo, e cercandolo intorno cogli occhi.
— Quand'ella è venuta su, di cappello non ne aveva in testa.
— Ah, forse l'ho perduto in Arno!
E dato un ultimo sguardo alla svenuta riprese:
— Mi raccomando, non la sgridino; le perdonino di cuore.
Salutò con un leggero chinar del capo il veterano, e uscì, seguito sul ripiano dalle due donne, che non rifinivano dal mandargli dietro mille benedizioni, e baci raccolti dalle labbra sulla punta delle dita.