Carlo Righetti, alias Cletto Arrighi
I quattro amori di Claudia

PARTE PRIMA.

CAPITOLO IV     Il secondo amore di Claudia.

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CAPITOLO IV

 

 

Il secondo amore di Claudia.

 

In tal modo cominciò questo affetto sotto gli occhi del padre e della nonna; puro come acqua di fonte alpestre, e tutto pieno di caste aspirazioni, e di riguardose delicatezze.

La Claudia entrava allora nei diciasette anni. Aveva da poco trascorsa quella età misteriosa in cui le figlie di Eva da adolescenti diventano donne; in quell'età in cui le madri avvistate e galanti scorgono con un misto di dispiacenza e di compiacenza che a loro il petto si arrotonda e si fa seno.

La nonna dopo pochi mesi morì.

In questo tempo Osvaldo non aveva mai avuto il coraggio di stringere di domande la fanciulla, per sapere da lei chiaramente la causa del tentato suicidio. S'era accontentato della spiegazione che gliene aveva data il padre Michele.

Osvaldo aveva fatto della sua amante una specie di Beatrice, di Laura, a cui offriva i delicati effluvi della sua tenerezza medioevale. Neppure un bacio le aveva chiesto mai, che gli sarebbe parso di profanare al contatto delle sue labbra la sognata innocenza della fanciulla, la quale nel segreto del cuor suo egli aveva già destinata a compagna della sua vita.

So che le anime volgari stenteranno ad ammettere queste cose. Me ne duole per esse!

Dal canto suo la Claudia, contraccambiava l'adorazione del giovinetto, con affetto non meno intenso e sincero. Pel suo primo amante essa non aveva provato vero amore. Era stato un inganno, un'aberrazione, una seduzione, nulla più! A Osvaldo essa doveva la vita, e la riconoscenza in cuor gentile è dolcissima ispiratrice di amore. E Osvaldo era così bello e così interessante!

In tal modo corse un anno intero, e in casa si parlava già di matrimonio. Il padre Michele però, si mostrava perplesso. Egli aveva ricevuto da Vienna una lettera, da un certo suo fratello, che da poco era stato creato barone dell'impero austriaco e s'era fatto ricchissimo alla Borsa, il quale gli comunicava la sua risoluzione di tornar finalmente in Italia, e lo chiamava a Milano, dove contava di accasarsi, per finirvi i suoi giorni.

Gli diceva fra le altre cose:

«Io non ho eredi, e so che tu invece hai tre figlie, la prima delle quali , come ho potuto rilevare dalla fotografia, che me ne mandasti. Io e mia moglie ameremmo fare con voi una famiglia sola nella nostra Milano, o quanto meno adottare la Claudia, che a conti fatti dev'essere ormai una fanciulla da marito».

Queste promesse montarono la testa al babbo Michele. Pure non si sentì il coraggio di contrariare i suoi due innamorati. Rispose al fratello, che ci avrebbe pensato, e intanto tirava in lungo.

 

Il giorno anniversario del tentato suicidio di Claudia, essa e la Nina se ne stavano, la prima leggendo, la seconda mondando il riso sulla tafferia, nella camera famosa, quando a un tratto la Claudia lasciò cadere il libro in grembo e scoppiò in lagrime.

Che c'è? — sclamò ridendo la Nina. — Malinconia, malinconia fammi il piacere vattene via!

Vi sarete accorti, lettori, che la Nina era un capetto ameno, che voltava tutto in burla.

Ti ricordi or fa un annorispose le Claudia — verso quest'ora?

Sì; ebbene?

Se non era lui, oggi, di me non sarebbero rimaste che le ossa in cimitero.

Brava! E invece sei viva, e sei felice! Di che ti lamenti?

Oh io non sono felice! Io tremo sempre.

E di che cosa tremi?

Ch'egli venga a conoscere il mio fallo. Tu non sai. Quel signor Bettino Delmonte è tornato a Firenze. L'ho veduto stamattina passar qui di sotto. Se Osvaldo sapesse!

E foss'anche?

Oh guai a me! Tu non conosci l'Osvaldo se dici così. Egli è geloso anche del passato. Guai a me se sapesse ciò che m'è successo.

Bene, ma in caso aspetta allora a disperartiosservò la precoce fanciulla. — Io sono più giovine di te, e sono più filosofa.

Gli è che tu non hai provato quello che ho provato io.

È vero; e ne senza!

L'Osvaldo mi crede una santa; egli ha per me certe espressioni, che tu non potrai sentire mai in eterno.

Euh che fumo! — sclamò ridendo la Nina. — Ne ha lui la privativa?

Quando mi parla, quel suo linguaggio pieno di rispetto, io mi sento diventar piccina piccina dinanzi a lui; e ci sono dei momenti che sto per buttarmi a' suoi piedi e dirgli: no, Osvaldo, io non sono quella fanciulla pura e innocente che mi credi..; ma poi ho paura e mi ritraggo.

Ah mio Dio, come siamo diverse noi due — sclamò la Nina soffiando sulla tafferia, che teneva in mano. — Io invece gli uomini vorrei trattarli tutti come... guarda... vedi questi granelli di riso?...

E sì dicendo scosse di sotto in su la baciletta e fece saltar in aria il riso a più riprese:

Bene come questi granelli di riso!

La Claudia dovette ridere suo malgrado:

Ma dimmi un po' — ripigliava la Nina — come ti venne addosso tutto a un tratto questa paura?

Tutt'a un tratto? No. L'ho sempre avuta, fin dal giorno che l'Osvaldo mi disse che mi voleva tanto bene perchè...

Perchè cosa?

Le sue parole non saprei ripeterle, ma il senso l'ho qui scolpito..: perchè mi credeva degna del posto che mi aveva fatto nel cuore accanto alla memoria di sua madre.

Ti ha detto così?

Certo!

E non ti domandò mai nulla del motivo che ti fece fare quel salto in Arno?

Me lo domandò, ma così timidamente che non ebbi il coraggio di confessargli il vero. Tanto più che io non potevo far comparire bugiardo il babbo, che glielo raccontò alla sua maniera.

Naturale! Sarebbe bella che si avesse a spiattellare ogni cosa a questo mondo.

Ora puoi imaginarti quale sia il mio tormento ogni volta che mi dice quelle sue frasi tutte piene di fiducia e di ammirazione. Io, che se fossi come egli si imagina, mi sentirei a sollevar in cielo, invece resto confusa, senza rispondergli, e allora egli crede che io gli mostri freddezza ed è geloso.

Sai che cosa gli hai a dire?

Parlasclamò Claudia, come se sperasse un suggerimento da quella bizzarra.

Che non t'inghirlandi troppo — rispose la Nina ridendo. — Del resto se io fossi in te non avrei tante fisime; una volta che fosse diventato mio marito, e legato a me per sempre, chi ha da fare ci pensi, nessuno più me lo distaccherebbe.

Ma mi disprezzerebbe, e non mi vorrebbe più! — sclamò la sorella. — E poi quella sua zia bigotta, figurati se mi vorrebbe in casa.

Allora si va a star da soli. La capanna ed il suo cuore!

 

In questo entrò il sor Giovanni.

Il signor Giovanni era un medico filosofo assai brutto, di quella bruttezza spirituale e camusa, che piace tanto in Socrate. Il naso grosso, gli occhi piccoli e vivacissimi, le sopracciglia ad arco, rilevate verso i polsi, un po' mefistofelici.

Ragazze mie vi disturbo?

Oh, signor dottore, come sta?

Siccome vado a Pistoja, e lascio andare a Siena anche la Metella, così vorrei pregarvi di tener qui la chiave del mio uscio e di darci unocchiata.

Volentieri, e starà via molto? — domandò la Nina.

O no, non potrei neanche; ho di molti ammalati.

Mi dica sor Giovanni — gli domandò la Claudia andandogli presso graziosamente, — ieri sera ha veduto il mio Osvaldo?

Sì, l'ho veduto quando andai a litigare colla zia.

La gobba? — domandò la Nina.

La è proprio così bigotta come dicono?

Altrochè, la è una S. Vincenzina in tutta regola. Ma ha il morto. Tenetela da conto perchè un giorno o l'altro ne avrà parecchi.

A me, che importa dei denarisclamò la Claudia.

E la Nina.

Oh grulla!

Basta ch'egli mi voglia sempre bene, per me lo amerei anche in camicia.

E la Nina.

Oh scema!

Lei crede, signor Giovanni, che l'Osvaldo mi voglia bene?

Credo che ve ne voglia fin troppo, con quella sua testa esaltata e sempre nelle nuvole.

A questo punto la Claudia tese l'orecchio, e si levò dicendo:

È lui!

Chi lui! — domandò la Nina.

L'Osvaldo.

Non sento nulla io.

Oh lo sento ben io!

Il campanello della pusterla suonò. La fanciulla si mosse verso l'uscio, che dava sul ripiano. L'Osvaldo montò rapidamente le scale, ed essa, gli si buttò nelle braccia più tenera del solito.

Il signor Giovanni si accomiatò da tutti insieme, e la fanciulla col suo amante, venne a sedersi vicino alla finestra senza badare alla Nina.

Qui, l'amoroso favellio, cominciò rotto da silenzii, in cui quei due felici, parlavano cogli occhi, coi sorrisi, collo stringersi delle mani. In amore, il silenzio ha delle voluttà più squisite della parola. Si direbbe che l'orecchio allora ascolti una melodia interna, che nessuna voce potrà rendere giammai.

La Claudia poco dopo disse all'Osvaldo ridendo.

Saluta la Nina, che, non 1'hai veduta.

È verosclamò l'Osvaldo alzandosi — Mi perdoni cara Nina, se non l'ho salutata dianzi.

So ben che la mi burla, — sclamò la pazzarella — per salutare, io aspetto sempre che sia passato il sentimentalismo.

Nina, non dir sciocchezzegridò sua sorella.

Tu le chiami sciocchezze? Verità sacre! Glielo dica lei piuttosto di non volerle troppo bene, perchè alla lunga il soverchio rompe il coperchio.

Troppo! — sclamò Osvaldo — In che modo si potrebbe voler troppo bene? L'amore è come il firmamento, non ha confine.

Ecco; ben detto, — osservò l’altra celiando. E aggiunse quasi parlando con stessa — Sono proprio tutti e due da cogliere; sono due colombi ad una fava.

Nina, bada che mi secchi, se continui.

E l'altra, alzando le spalle:

Ma sta a vedere che non potrò scherzare neppure se mi tocca da far da candelliere.

Io mi domando qualche volta, se lei va a tavola come tutti gli altri uomini, oppure se si pasce d'aria fresca e di rugiada.

Ma perchè, — dimandò il giovane.

Perchè mi pare che lei sia uno di quelli che vivono soltanto di poesia.

Magari si potesse — rispose Osvaldo, con ammirabile convinzione. — Non le pare Nina, che la vita sarebbe assai migliore, se non avessimo tanti bisogni e tante necessità?

Oh io no, vederipicchiò la fanciulla, scuotendo l'indice della destra — io so, che quando ho appetito e che mi pappo un buon intingolo, corpo mio fatti capanna; e so che quando mi arrivano quei di Pisa, e vado a letto sotto le care coltri, e mi distendo giù in quel soave tepore, provo un piacere da non dirsi. Senza questi bisogni anche i piaceri andrebbero perduti.

Oh, la Nina è una ragazza positivadisse sua sorella.

Il signor Michele Valle, il padre, entrò in questo. Quanto mutato da quel giorno! Egli pareva ringiovanito. I suoi baffoni bianchi, davano un maestoso risalto alla schietta gaiezza del suo viso aggrinzato dalle fatiche dei campi.

Con lui, Osvaldo aveva già fatto parola pel matrimonio. Il giovine guadagnava otto franchi al giorno; e poi il sergente, sapeva che la zia di lui aveva da parte il marsupio — il marsupium dei Latini, il dolce marsupion dei Greci.

Egli mostravasi tutto lieto, quando poteva fare dalle chiacchere col suo futuro genero. L'ex sergente era un uomo rozzo ma pieno di buon senso ed assai istrutto per un sergente! Aveva sul sapere, sul carattere e sul talento del conte una idea grandiosa. Andava spesso a trovarlo in stamperia per vederlo in mezzo agli operai, che danno al mondo — come diceva lui — la vita della intelligenza, e per ammirare quelle macchine che egli chiamava i cannoni rigati della mente umana. Il veterano divideva co' suoi contemporanei una specie di rispetto curioso per la tipografia, e si godeva tutto nel caratteristico frastuono, prodotto da quei mastodonti di ferro in movimento.

Su una sola delle questioni sociali, Michele e il conte Osvaldo, non andavano d'accordo: sul duello.

Il Millo diceva — come il solitoessere il duello un avanzo di barbarie. Egli lo definiva dal solo lato storico, come se il duello odierno fosse una derivazione dei duelli del medio evo o dei così detti giudizi di Dio! Pregiudizio strano per dividere il quale, bisogna rinunciare alla evidenza. Il Valli sosteneva infatti, che nessuno aveva mai voluto capirlo sotto il suo vero aspetto, tranne forse Mauro Macchi. Le sue ragioni, se non altro, erano chiarissime; e quando egli finiva di sciorinarle al Millo, questi si mostrava tanto scosso da esse, che non sapeva come ribatterle.

Mi dica un po', signor Osvaldo? Se lei dopo avere offeso, dico per dire, un suo compagno, ricevesse due persone pulite, che venissero a dirle: Caro signor Millo, il nostro amico tal dei tali, che lei conosce, e che è un uomo a cui stanno a cuore la riputazione e l'onore, ci manda noi due, da lei, perchè si compiaccia di trovare il modo di distruggere la dannosa impressione lasciata nei presenti, dalla scena di ieri, lei che cosa risponderebbe?

Ma, secondo!

Va bene: secondo vuol dire, che se lei capisce di avere avuto torto, può anche fare le sue scuse, e non occor altro... Ma se invece credesse di avere avuto ragione, che cosa accadrà?

Allora esporrei le mie ragioni e manderei i padrini a carte quarantanove.

No, signoresclamava Michele — che a carte quarantanove i padrini non ci andrebbero, ci potrebbero andare, pel minor male di tutti quanti.

E allora appunto comincerebbero ad aver torto, e di avrebbe principio quella tal barbarie e quel tal delitto ch'io vedo nel duello.

Ma non signorereplicava scaldandosi Michele — no signore, che non avrebbero torto niente affatto di volere definita e aggiustata in un modo o nell'altro la questione, perchè se la lasciassero così in sospeso essa si volgerebbe naturalmente in odio ed in vendetta, e il male diventerebbe più grave. Dal momento che l’offeso ha creduto necessario di rimuovere da gli effetti dell'offesa, meritata o non meritata, poco importa, è chiaro ch'egli non può acconciarsi a mettere la berta in seno, e lo schiaffo in tasca, quando i padrini tornassero da lui a dirgli, che quell'offesa se la è meritata, giacchè ormai la questione, non sta più nella causa prima e discutibile della ingiuria, ma sta nel bisogno che ogni uomo ha di non restare ridicolo in mezzo ai suoi simili. Tornare dunque indietro colle pive nel sacco, è la peggior cosa che possano fare i padrini, giacchè non otterrebbero altro che di invelenire la piaga; e allora sì, che la vera barbarie potrebbe cominciare; giacchè, aizzate le passioni, e non sorvegliate da testimoni, possono trascendere a private vendette, come succede appunto nei paesi semi-barbari, dove non ci sono le questioni d'onore trattate col duello. Per togliere dunque ogni conseguenza funesta, per vietare a quei due nemici di offendersi di nuovo, e tanto più atrocemente quanto più nasce il puntiglio e più si tira in lungo la cosa, mi pare a me che gli uomini amanti del minor male, abbiano pensato benissimo a istituire quella specie di formola molto seria, garantita da quattro persone onorevoli, in forza della quale, è rigorosamente vietato ai contendenti di ritornare sulla offesa fatta o ricevuta. Questa formula, spesse volte è una lettera, una dichiarazione a voce, una bottiglia di Champagne, qualche volta è lo scontro sul terreno, il quale non è altro che un mezzo come quei tre primi, di sciogliere il duello, ma non è, come si crede l'intero duello.

Ebbene — rispondeva Osvaldoammetto che lo scontro sul terreno sia uno dei modi di sciogliere il duello, ma che non lo costituisca sempre, da solo; però domando io, perchè inventare questa formula assurda per sciogliere le questioni d'onore, che non possono essere sciolte pacificamente?

Perchè ci voleva pure qualche cosa di molto efficace a far rientrare in stesso chi ha torto. È facile capire, che se non si posa l'alternativa, o di dichiarare di avere torto, o di dare una prova di coraggio, nessuno vorrebbe riconoscere di avere avuto torto. Io spero che voi non vorrete avere la pretesa di cambiare l'animo umano. Il mondo è così fatto, e per rimediare al male, è necessario partire dalle passioni umane e non già dalle utopie e dalle idee astratte. Le cause necessarie del duello che è il mezzo trovato dalla civiltà per scemare le vendette e i delitti di odio sono le ingiurie e le offese che non possono andar dinanzi ai tribunali. Trovate voi il modo di togliere dal mondo le ingiurie e le offese che non possono essere spettanza di tribunali e allora non ci saranno più duelli. Ma finchè quelle offese esisteranno e finchè le offese genereranno odio, soffrite che gli uomini d'onore provvedano coi padrini e con certe regole d'onore a scemarli quei disastrosi effetti che in Corsica e in molti paesi barbari dove non c'è duello, furono per così dire consacrati col nome di vendetta! Se la legge tollerasse il duello, pel minor male, come pel minor male tollera.... qualche cosa di peggio…: la prostituzione, vedreste che in pochi anni nessuno più andrebbe sul terreno e tutte le questioni d'onore finirebbero sotto la garanzia dei padrini!

 

 

 


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