Carlo Righetti, alias Cletto Arrighi
I quattro amori di Claudia

PARTE PRIMA.

CAPITOLO VII.   L'alpe del Romitorio

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CAPITOLO VII.

 

L'alpe del Romitorio

 

È a due ore di salita dalla villa del barone di Trestelle.

A sette ore e un quarto dallo Stabilimento idropatico, dove il buon Stacchi faceva la sue doccie per guarire dell'amore di Claudia.

Per ora noi fermiamoci all'Alpe.

La scena che si presenta, a volerla inquadrare su d'un palcoscenico, rappresenterebbe una delle più belle vedute alpine, che si possano immaginare. Giacchè sulle Alpi, di belle vedute ce ne sono ancora!

Un prato verde di smeraldo; una casetta addossata ad una chiesa alpestre e una fonte viva a destra; un burrone, col suo ponte ardito e una macchia di faggi a sinistra; dinanzi: la vasta distesa delle pianure lombarde, e nello sfondo: la catena eccelsa delle Alpi col Rosa e col Bianco canuti e torreggianti.

Ivi, in un angolo del prato, a ridosso del monte, nel secolo decimosesto, dopo la peste, un devoto di San Gerolamo costruì una chiesuola e una casetta e si dichiarò beato, eremita ed accattone.

Non dirò da padre in figlio, ma da romito in romito, quella casa, dal maggio a novembre, fu sempre abitata da uno pseudo sant'uomo, che stimava suo dovere farsi mantenere dai contadini dei dintorni.

I personaggi della scena, per ora, non sono che due: Steno Marazzi e l'eremita.

Per togliere addirittura qualunque sospetto ch'io voglia fare del convenzionalismo antico, colla sospensione dell'intreccio, cosa che ha ormai tanto di barba, vi dirò subito che Steno Marazzi è il bambino trafugato all'Ospedale di Como da Nataniele Rota nel 1848 e che l'eremita non è altri che il compare Bricolla, il quale da contrabbandiere di zigari svizzeri, si era tramutato in baciapile.

 

Dal 48 al 75 erano corsi 27 anni.

Steno Marazzi ha dunque 27 anni!

 

Al suo sguardo estasiato si spiegava dinanzi la stupenda distesa degli orizzonti, ch'egli stava disegnando per un quadro di commissione!

Gli venne dinanzi l'eremita, che tornava dal basso.

Oh! reverendo Bricollasclamò Steno con un accento leggermente ironico — Come mai siete già di ritorno? Avete già pieno il sacco e la sporta?

No figliuolo mio: l'una l'altra — rispose l'eremita — Il mondo s'è fatto eretico, caro Steno, e non ha più nessuna carità del prossimo. Io sono tornato su, perchè m'hanno detto all'albergo che vi sono arrivati due pellegrini francesi e spagnuoli e che probabilmente stamattina verranno qua su al mio romitorio. E siccome faranno colazione su questo prato ho pensato che avranno bisogno della mia piccola cucina e delle mie medaglie benedette.

Aspetto anch'io stamattina una piccola carovana di amici, che devono salire fin qua su a trovarmi, per andar, se è possibile, al pizzo grigio.

Me l'avete detto ieri sera.

C'è anche una donna, ma voglio condurla su anche lei.

Una donna al pizzo grigio? Siete pazzo, figlio mio.

Perchè?

Perchè ci vogliono quattro ore almeno di salita e pericolosa.

Prenderemo gli asini, fin dove si può.

Non ci si va cogli asini.

Andremo a piedi.

Ci sono le valanghe.

Che importa? Le schiveremo. Dite un po' Bricolla, siete entrato giù nell'albergo stamattina?

Certamente.

Ci sono molti forestieri?

Altro che! È pieno che non sanno più dove metterli. Hanno tirato dentro anche il casino dell'Ambrogio... sa bene? presso la fonte.

E, che sappiate, sono giunti altri Milanesi in questi giorni?

Sì anche ieri sera, parecchi. E che belle donnette! C'è tra le altre una certa signora Cressini, che mi hanno detto dovrà far sbalordire per le sue toalette.

Ma, ma, ma! — sclamò Steno ridendo— che cosa ne sapete voi di toalette e di bellezze?

Caro signor Steno; lei non ha mai voluto persuadersi che io non sono un prete; ma un uomo come qualunque altro.

Lo so. Ma io non so concepire gli eremiti non preti.

È un errore! Nella Tebaide andavano spesso a farsi romiti gli schiavi pagani, che fuggivano dai padroni.

Ah ah! Anche della erudizione?

Che vuole? Un po' di tutto. Io mi sono fatto eremita per una pura combinazione. Ho voluto provare anche questa, dopo la gran delusione che ho avuto!

Delusione d'amore?

No. D'interesse. Io ho dato a Nataniele Rota tutto quel poco che avevo perchè mi cedesse i suoi diritti verso vostro padre.

Ah siamo ancora ? Me l'avete contato. Ma io allora che cosa dovrei dire?

Voi, se non altro, avete trovata vostra madre.

Ma ammalata e povera!

A pensare che se non si fosse suicidato vostro padre, ora non gli sarebbe mancato che un anno a compiere il termine segnato, per pigliar la somma di premio dalla Assicurazione inglese. E allora sareste stato ricco anche voi, caro Steno. E anch'io avrei toccata la parte... di Nataniele Rota, che quello ormai non ne ha più di bisogno, giacchè è diventato prefetto. Sicuro! Ricchi tutti! Quasi un milioncino da spartire.

E fu allora che voi avete deciso di far il romito?

Oh no. Fu molto tempo dopo. Vostro padre si annegò fuori del porto di Genova, nel 52. Io col Rota, eravamo andati ; ma, mancandoci quella speranza, ci guardammo intorno, e ci aggregammo ad una Conferenza di San Vincenzo di Paola. Questo romitorio l'ottenni appunto dai Paolotti. Qui se non altro colla questua posso campare la vita; e poi ci sto volontieri anche per essere più vicino a lei, signor Steno, a cui voglio bene.

Volete bene a me?

Lei non sa ancora che noi l'abbiamo portato fra le braccia, che lei aveva appena due mesi.

E dove m'avete portato?

All'Ospedale di Como. Sa bene!

Ah foste voi? Perchè non me lo avete mai detto?

Cioè; io veramente no. Ma ero insieme a Nataniele. Io faceva passare dei sigari, invece.

Ho capito! Voi un collo di sigari e il vostro amico, un collo di... me?

Sissignore! — rispose Bricolla.

Voi avete dunque già fatti molti mestieri a quel che pare?

Io? Oh molti! Quasi quasi non li rammento bene io stesso. A venti anni ero contrabbandiere di tabacco in Isvizzera e facevo i viaggi con Nataniele; ma poi subito la vita cominciò a pesarci a tutti e due, e dopo la battaglia, di Novara andammo a Genova; nel 59 ci attaccammo all'esercito francese, io come garzone di un vivandiere, lui come ordinanza di un capitano. Il colonnello lo prese sotto la sua protezione... per... per certi piccoli servigi che gli rese durante la campagna e ci condusse tutti e due con lui in Francia. Ma il colonnello morì e io lasciai Nataniele, e tornai in Italia con dei campioni di vino d'una casa di Bordeaux. Ma io allora aveva un difetto, ed era quello di bevere spesso i miei campioni; così che gli affari mi andarono a rotta di collo. Un signore inglese mi offerse un franco e mezzo al giorno, oltre il guadagno che potevo fare, vendendo delle Bibbie legate in tela, per una lira. E ne vendetti parecchie. Ma i miei padroni spirituali, i Sanvicenzini mi proibirono naturalmente di fare quel traffico, e mi promisero un collocamento; e siccome ero ammalato mi mandarono intanto qui ai Bagni, dove feci conoscenza dell'eremita, mio predecessore. La vita quieta, che venivo spesso a far quassù, mi sorrise. Un giorno egli mi moriva nelle braccia; allora chiesi alla Congregazione di poterlo sostituire e mi fu concesso.

Ma la chiesetta e la casa di chi sono?

Di patronato privato....

E la messa chi la dice?

Un prete qualunque.

 

In questa s'intesero delle voci che s'avvicinavano dall'erta, fra cui un riso fresco e soave di fanciulla.

È la Miette disse il giovine.

Si alzò e andò incontro ai sorvegnenti.

Buon giorno Miette, sei stanca? — fu la prima domanda, che egli mosse ad una fanciulla, dal tipo francese, che col suo bravo alpenstok e la sua borsetta ad armacollo, aveva preceduti di una decina di passi i compagni.

Per tutta risposta Miette si gettò al collo del giovane pittore e lo baciò passionatamente, coll'abbandono di una donna che sente di averne un supremo diritto.

Ma Steno accolse quei baci, con mal dissimulata indifferenza; s'avrebbe detto ch'egli cercasse di schivarli. Ella o non se ne accorse o finse di non accorgersene e se ne stette aggrappata al collo del suo Steno, col viso alzato, sorridente a guardarlo per maggior tempo di quello che una ragionevole tenerezza comporti.

I due signori, che intanto erano giunti sul prato, fingevano di non vedere quell'abbracciamento così prolungato!

Mio caro maestrosclamò l'un d'essi, il più giovane — io non ne posso più!

E si sdraiò lungo e disteso sull'erba.

Che vergogna! — sclamò il maestro. Ecco la gioventù del giorno d'oggi!

Gioventù? So ben che la mi burla caro Fortuzzi. Ho 35 anni suonati.

Ma corpo di Faccio! — Era l'esclamazione favorita del maestro Fortuzzi, che aveva mutato Bacco nel direttore d'orchestra della Scala — se lei ha 35 anni io ne ho 52, e pure non sono stanco e resto in piedi!

Ah lei ha fatta una vita differente dalla mia! Vuol mettere un vecchio Garibaldino con un povero... vaurien?

Steno che intanto s'era sciolto dall'abbraccio di Miette era venuto a dar loro la mano.

Spero bene che non rinuncerete all'idea del picco grigio? — disse egli.

Ah niente picco, caro mio! — rispose Stacchi: lo sdraiato — m'hanno detto giù allo stabilimento, che tra le altre cose c'è pericolo di valanghe.

Sicuro che di valanghe ce ne sono sempre da quelle parti. Ma si possono schivare!

No, no, no — gridò il primo — Non mi ci pigliano. Tu Steno ci tieni proprio a montare in cima?

Lo credo io! — sclamò Miette. Siamo venuti fuori da Milano per questo.

Figuratidisse Steno — se io vorrei far la figura di scendere poi all'albergo, dopo otto giorni che sono quassù, senza essere andato a piantare la mia bandiera sul pizzo grigio? Tanto più che ho spampanata la cosa e ho fatte delle scommesse di andarci colla Miette.

E se la valanga ti coglie?

Che m'importa? Venga pure! Meglio per me.

Oh! — sclamò Miette Ed io?

 

L'eremita frattanto era entrato nella sua casetta ed ora ne usciva con una scatola fra le mani.

Che cos'è? — domandò Fortuzzi.

Santini, medaglie, abitini benedetti da sua santità in persona.

Ah grazie grazie! — saltò su l'altro. — Noi due siamo Ebrei!

Sicuro! — aggiunse Steno — sono Ebrei!

Vergine del buon consiglio! Non lo sapevo!

Perchè non avvisarmi jeri, va bene? che voi avevate di questi capricci? — domandò lo Stacchi a Steno.

Quali capricci?

Quelli di mutarvi magari in sorbetti sotto le valanghe?

Ma credevi tu forse che si potesse andare al pizzo grigio in tiraquattro per un viale coi paracarri e coi cipressi?

No, sapevo che si doveva montare, ma non credevo che ci fosse pericolo, va bene? d'essere seppelliti sotto la neve.

Caro mio — disse Steno — se tu fossi ne' miei panni, ne godresti.

O ne' miei.

Mio Dio! Non fatemi ora l'uomo stanco della vita! — sclamò Miette Non è più di moda!

Che c'entra la moda? Credi tu, cara Miette, che un uomo veramente stanco di vivere si incarichi di consultare la moda per sapere se gli convenga o no di finirla? Non è più di moda: eppure mai come ora i suicidi furono all'ordine del giorno.

Ma che ragione ha lei, caro maestro, di odiare tanto la vita? — domandò l'amico al maestro di musica.

Io!? Ah se lei conoscesse la mia vita, non mi farebbe questa domanda.

Povero maestro! Sarei curioso di sapere! Io amo le confidenze. E giacchè siamo qui così comodi.

Io sono in vena di contarerispose il buon maestro — ma col patto di non ridere troppo alle mie spalle.

No glielo prometto.

Lei sa che io esercito la professione del maestro di piano. Ebbene. La si metta in mente tutte le disgrazie che possono capitare ad un maestro di musica, il quale per ristoro sia obbligato a vivere con una donna di servizio insoffribile, e lei avrà una pallida idea del mio martirio.

Come! Una donna di servizio?

Ah, lei, che vive all'albergo, scapolo, libero, senza pensieri, non può capirle certe cose. Lei vive d'entrata, e pranza alla trattoria e in casa non la ci sta che per dormire! Ma noi artisti poveri, senza parenti, sulla stanza ammobigliata, col capo assorto nelle nostre fantasticherie di gloria.... che ci lasciano morir di fame — tranne che essere Verdi o Vagner — siamo quasi sempre gli schiavi delle nostre donne di servizio. La mia l'ho si può dire ereditata, da una zia sorda, che l'aveva tirata in casa giovinetta e che me la refilò accanto al letto di morte, e nel suo testamento. Quando la zia morì io dovevo alla Dorotea trecentocinquanta franchi, ch'ella m'aveva prestati in illo tempore... Bene! Glieli devo ancora! E non posso disfarmi di lei! Glieli devo, e cogli interessi composti, per giunta!.

E ora dov'è?

L'ho lasciata, in casa, a Milano, e sono fuggito ai monti, appunto per rifiatare un poco, per togliermi dall'incubo della padrona del padrone... che dovrei essere io... non è vero Miette?

Miette assentì ridendo.

E l'amico Steno, perchè dice anche lui, va bene? d'essere stanco della vita? — domandò Stacchi, mentre la fanciulla s'era allontanata col suo amante.

Chissà! Non lo so bene! Io credo che egli sia molto stufo della Miette.

Ah, ho capito. Povera tosa! Essa lo ama tanto! Dev'essere una gran buona ragazza.

Appunto! Troppo buona, ancorchè francese, e troppo amante!

Forse gli fa spendere molto?

Tutt'altro! Ell'è fiera come una principessa! Morirebbe di fame prima di accettare un soldo da Steno. Tanto più che anch'egli... le tira verdi.

Non guadagna molto Steno, col teatro, e coi quadri?

Col teatro? Ah come si vede che lei è fuori affatto dal mondo artistico! In Italia nel 1873, non si guadagna nulla col teatro, tranne che essere Ferrari o Marenco, e nel mio genere Verdi o Petrella.

Io credeva che i suoi proverbj, va bene? e i suoi quadri gli avessero procacciati molti denari.

Miserie, caro signor Stacchi, miserie! Appena tanti da non morir di fame lui e sua madre.

A questo punto s'intese la voce fresca e soave di Miette che gridò battendo le mani:

Un'altra carovana, un'altra carovana, che arriva!

Steno andò anch'egli a guardar giù con molta curiosità.

È lei! — sclamò ritirandosi lestamente come chi non voglia lasciarsi scorgere.

Poi disse, a Miette, conducendola con per un braccio:

Vedo che c'è il marchese Cacciaterra. Andiamo. Non voglio vederlo! Vieni maestro?

Vengo.

E tu Stacchi?

Io resto. Io amo ancora più il marchese Cacciaterra che le tue valanghe!

Allora addio!

Addio.

I tre s'allontanarono, e Stacchi andò incontro ai sorvegnenti.

 


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