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CAPITOLO XI.
Fate conto che lo Stabilimento idropatico, dove il barone di Trestelle condusse la baronessa e la Claudia, scendendo dall'alpe del Romitorio, fosse la Salute, o Regoledo, o Abano, o che so io.
Anche i balneanti non parlavano d'altro che della valanga, del coraggio mostrato dalla signora Delmonte, in soccorso dei tre alpinisti, e della Miette l'amante d'un pittore che era salita fin su al pizzo grigio!
— Come mi trovate stamattina dottore? — diss'ella incontrando questi sotto la veranda, mentre usciva a dar un'occhiata alla valle e all'orizzonte.
— Sempre convulsivo, cara signora, — rispose il dottore toccandole il polso — lei è sanissima, ma come tutte le donne molto nervose, anche lei avrebbe bisogno di non lasciare troppo il freno alla fantasia e alla irriquietezza. Bisogna cercare di aver meno capricci, meno desideri, meno slanci.... e nello stesso tempo... meno noia.
— Strana vita a cui mi vorreste ridotta, dottore! — sclamò la Claudia. — Cavatemi metà del sangue e datemi una pozione che raffreddi l'altra metà e allora forse potrete ottenere ciò che invano sperate da me.
— Io la tratto appunto colle doccie e coi calmanti per questo — rispose il dottore.
— Com'è possibile che io rifletta prima di credere, di sperare, di agire? Se la mia irrequietezza, se i miei capricci, come voi dite, sono tali che qualche volta soverchiano la forza della mia volontà, che colpa ne ho io?
— Colpa! Oh signora! Chi parla di colpa? Io sono troppo materialista per parlarle di una cosa simile. Io parlo della sua salute, signora e sopra tutto della sua felicità. La insofferenza di ogni indugio, l'intolleranza di ogni contraddizione, le smanie di cui ella mi disse di sentirsi assalita quando trova qualche cosa che non piega subito alla di lei volontà, non sono altro che una malattia, comunissima ormai nelle donne, che con una parola derivata dal greco noi chiamiamo isterismo e che si cura appunto coll'idroterapia.
In questa dal salone uscì sul peristilio anche la Valenti, che aveva voluto accompagnare la Claudia allo Stabilimento.
Era la Valenti un'amica sviscerata della Claudia, piuttosto brutta e fredda come una rana, ma sincera.
L'amicizia fra quelle due donne non era, come il solito, un bel cuscinetto imbottito di menzogne e ricamato di dissimulazione dove a gara entrambe piantano degli spilli. Era piuttosto una coppa ricolma di cortese imperiosità da parte di Claudia e di gentile condiscendenza da parte della Valenti.
La Valenti gode a Milano di una riputazione tutta sua propria. È vedova anche lei come la Claudia, e del suo matrimonio si bisbigliano cose un poco strane. Si dice che suo marito abbia spasimato per cinque lunghi anni, non per altro, che per la di lei estrema fenomenale freddezza. Quella moglie di marmo lo aveva condotto alla disperazione per la via opposta a quella per cui tante donne vi conducono i loro amanti.
— Sai Claudia; Bretti parte per Milano fra poco. Se hai comandi...?
— Grazie — rispose Claudia. — Credo che stasera parta anche il marchese per Milano. Lo manderò lui dalla sarta.
— Ah come ci vorrei tornare anch'io a Milano se non fossimo in settembre! — sclamò la Valenti.
— Lei s'annoia? — le domandò il dottore.
— Oh tanto!
— No davvero.
— Ma le montagne, le valli, l'orizzonte non le dicono nulla? Non le parlano il loro linguaggio misterioso e poetico?
La Claudia si mise a fantasticare. La Valenti invece rispose:
— No, no, davvero. Non mi parlano nessun linguaggio.
— Ma le Alpi i torrenti, gli alberi?
— Oh gli alberi, poi! Per me non c'è nulla di più stupido d'un albero.
— E il cielo? — proseguiva il dottore, che pigliava gusto a farla cantare così.
— Ma a Milano non lo si vede forse il cielo?
— Ah è vero! Non ci pensavo! — sclamò il dottore ridendo. — Signore mie vado al mio dovere.
— A rivederle — rispose questi baciando loro le mani, con molta galanteria.
Il dottorino di quello Stabilimento non ha che 26 o 27 anni!
— E dunque? Che c'è di nuovo? — cominciò sotto voce la Valenti sorridendo.
— Taci, taci, non te ne voglio parlare!
— Nulla Annetta: Credo che il tempo voglia cambiare. Il dottore dice che è isterismo, ma io lo chiamerei piuttosto supplizio. Se tu sapessi come sono piccata!
— Del contegno di lui!
— Che cosa fa?
— Una cosa incredibile! Dopo quel primo giorno, che pareva pazzo di me, egli non pensò a farsi presentare regolarmente e non mi diresse più la parola. Sai che lassù mi fuggì, mentre io vi avevo condotti, per la seconda volta all'Alpe, solo per rivederlo! Ho saputo a dir vero che fra lui e il marchese Cacciaterra esiste una vecchia ruggine, un odio implacabile, per ragioni, credo, di elezioni politiche; ma non credo che ciò possa valere da solo a tenerlo lontano da me in questo modo.
— Io temo che sarà la Miette. Sai che è la sua amante.
— Lo so. Ma che importa? Si vede lontano un miglio ch'egli non l'ama. Mentre!... Sarà dunque il mondo a rovescio per me? A pensare che ci sono qui dieci o dodici gentiluomini, eleganti, belli, ricchi, simpatici, che domanderebbero come una grazia del cielo di potermi stringere la punta delle dita, e il solo uomo fra tanti a cui io bramerei di parlare, da cui sarei gloriosa di farmi amare... mi schiva come un'appestata! C'è da perdere la testa! Oh Annetta... lo dico a te... è una cosa enorme, ma te la dico... Io temo di avere la iettatura dell'amore! Io temo di esser predestinata a perdermi!
— Parola d'onore! Ieri sera, per esempio, tu sai che come patronessa del comitato per i poveri del paese, io ero incaricata di vendere biglietti del concerto. Bene; mi fo coraggio, e andandogli vicino, fredda e modesta gliene offro. Egli si leva in piedi, facendosi rosso come una ciliegia, e sai che cosa mi risponde balbettando? Signora, il medico mi ha proibito le emozioni filarmoniche!
— Che stupido! — sclamò la Valenti.
— Io allora ebbi la franchezza di osservargli, come egli non fosse obbligato menomamente di assistere al concerto, ancorchè avesse pigliato un paio di biglietti per i poveri del paese.
— E lui?
— Lui si fece ancora più rosso e sempre balbettando mi rispose, che ai poveri del paese aveva già pensato, perchè avea già comperati dei biglietti al bureau!.
— Ah! io scommetto di indovinare! Tu non ci pensi, Claudia, ma egli è povero!
— Povero! — sclamò Claudia colpita.— È vero! Me l'hanno detto. Ah se è proprio così.... capisco!
— Io so da Stacchi che egli non guadagna abbastanza da vivere, con sua madre!
— Sì, sì! Ora capisco tutto! Povero Steno! Quel diventar così rosso! Povero Steno!
Furono interrotte dal marchese e da Stacchi che arrivavano dalla campagna col fucile in ispalla.
Claudia si levò e pregò il marchese di seguirla in salone, dove voleva mostrargli dei campioni, che so io... di stoffe, che egli doveva comperar in persona, a Milano, dove stava per recarsi la stessa sera.
Nel peristilio restarono la Valenti e Stacchi, che furono raggiunti, poco dopo, da Steno Marazzi.
— La signora Valenti, che è grande amica sua, va bene? te lo potrà dire, se non credi a me — sclamò Stacchi a un tratto.
— Che cosa? — domandò la Valenti.
— È vero o non è vero — continuò Stacchi, rivolto a lei, — che la signora Delmonte è entusiasta de' lavori drammatici di Marazzi e non manca mai, va bene? quando si danno i suoi proverbi di andar al Manzoni?
— Sì, è verissimo.
— Ma è dunque anche donna di lettere questa fata? — domandò Steno.
— Donna di lettere, veramente, per proprio conto non è — rispose la Valenti — ma ha una testina, che s'intende di tutto. Legge immensamente, e ha una memoria di ferro!
— E poi — saltò su lo Stacchi — essa, riceve in casa sua molti scribacchini!
— Ah Stacchi! Non si dice scribacchino, quando c'è presente uno scrittore.
— Non lo dico per lui! Lui è pittore più che scrittore — sclamò Stacchi. — Poi voltosi a Steno gridò: — Il fatto è che io la signora Claudia l'ho veduta qualche volta piangere alle cose tue.
— Piangere! — disse Steno. — Me ne duole!
— Io ero spesso in teatro con lei e colla baronessa, perchè le accompagnava io, va bene? quando il barone andava in Borsa. Una sera, in palco, ella mi aveva presa la mano, e me la stringeva forte. Io credevo che me la stringesse, va bene? per corrispondere finalmente alle mie proteste d'amore... perchè gli è una cosa che si può dire, senza comprometterla, dal momento che la signora è vedova e libera di disporre della sua fede e della sua mano. Dunque credevo che me la stringesse a me, e andavo in quinto cielo! Ebbene! Niente affatto, era invece l'entusiasmo per la tua commedia.
— Oh diavolo! Te ne sei accorto?
— Subito! Perchè appena fu calato il sipario ella ritirò la sua mano dalla mia e mi domandò scusa va bene? della storditaggine!
— Sicuro! Ella ha poi, il difetto di credere fermamente che io sia una specie di... imbecille. N'è vero signora Valenti?
— Sicuro!
— Ah ella crede che tu sia un imbecille?
— Già! E qualche volta anche me lo dice... Quando appunto il barone non poteva accompagnarla, e che si dava un tuo proverbio, la mi pregava di farle da cavaliere. Io mi rifiutava, perchè io, va bene? mi secco mortalmente alla commedia!
Gli altri tre risero.
— Perchè ridono? — domandò Stacchi.
— Perchè lo dite a lui — rispose la Valenti accennando Steno.
— Ma no, non lo dico per le sue! Dico in generale! Io, dove non c'è la musica, mi secco e ci capisco poco. Bisogna far fatica, pensare, sapere, riflettere, star attenti! La musica invece non esige attenzione; si sta là sdraiati e comodi... e fron fron gli è un piacere del gobbo! Si può anche dormire senza perdere il filo, va bene?
— Va benissimo! — risposero gli astanti.
— Dunque accadeva, che delle volte alle tue produzioni io mi addormentassi, e allora essa mi dava dell'imbecille.
— Certo è — disse la Valenti — che dormire in presenza d'una signora non è cosa bella.
— Ma io non dormivo per lei! Se fossimo stati soli, in casa sua, io e lei, non avrei dormito certo, va bene?
La campanella li chiamò a colazione.