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CAPITOLO V
Un'ora dopo che il brik genovese era entrato nel porto italiano sulle coste liguri, la notizia del naufragio del transatlantico nelle acque del Coromandel si sparse colla rapidità propria delle brutte notizie. La processione dei curiosi e degli interessati cominciò intorno all'albergo dove erano discesi Osvaldo Millo, Mario, Forestina e il capitano. E la folla si fece in poche ore enorme e tutti domandavano: che è accaduto? E tutti rispondevano: chi sa? finchè la voce si diffuse che nel naufragio era annegato un ricchissimo negoziante, che nel suo testamento aveva lasciati cinquanta milioni.
Durante la prima ora, se non altro si era detta una cifra possibile; ma di mezz'ora in mezz'ora essa aumentava, che dico? si moltiplicava. Al domani i milioni lasciati dal principe di Bandjarra erano già divenuti duecento poi cinquecento. Dopo tre giorni si cominciava a parlare del miliardo!
Ah come corrono i Liguri, quando si tratta di cifre!
Poi sbucciò un'altra fiaba. Circolò sordamente la voce per la città, che il principe fosse stato assassinato e che il naufragio non fosse che una invenzione, per coprire con un falso testamento quel tenebroso dramma di mare.
Allora vi fu in quel borgo un po' di subbuglio. Un assessore municipale, per non dire il sindaco in persona, venne a visitare i naufraghi, dai quali seppe lo stato delle cose, e le pratiche già iniziate coll'autorità giudiziaria per la consegna del testamento di Tomaso Bussi, di cui era esecutore il conte Osvaldo Millo.
L'autorità giudiziaria, trattandosi di un presunto morto in naufragio, di cui non si era trovato il cadavere, avrebbe dovuto dichiarare che l'apertura del testamento non sarebbe avvenuta che fra sei anni, come dispone il codice italiano.
Se non che questa volta doveva accadere uno dei casi più strani, che mai possa passare nella mente fantasiosa di un avvocato italiano!
Al pretore di C... presentavasi un certo cav. Nataniele Rota, già presidente d'una conferenza di San Francesco di Paola della città di Maria Santissima, il quale mostrava un fior di sentenza, con cui fin dal 1852 veniva dichiarato che Tomaso Bussi di U... era presunto assente, come quello che aveva lasciato luogo a credere d'essersi suicidato fuori del porto di Genova. In forza della quale sentenza il Sanvincenzino, domandava al procuratore che fosse rilasciato l'idoneo decreto, per l'apertura immediata del di lui testamento, essendo passati gli anni necessari per ritenerlo morto, non che i sei mesi prescritti dall'articolo 26 del codice italiano.
La confusione e l’assurdo erano evidenti. Che Tomaso Bussi infatti, a norma delle leggi fosse stato dichiaralo presunto assente, il che vuol dire un morto che potrebbe anche ritornare, era giustissimo. Ma dal momento, che per dichiarazione del capitano, del conte Millo e di Mario Fox, egli era scomparso nel naufragio, quella prima dichiarazione cadeva per sè stessa e diventava nulla. Giustizia avrebbe voluto che dovessero ricominciare a scorrere altri sei anni, ritenendo fermo che Nataniele Rota fosse sempre il di lui procuratore.
Qualcuno fece notare tutto ciò a Nataniele Rota, l'ex contrabbandiere di bimbi.
Ma egli cominciò a distinguere. Gli fu notato pure che le sue distinzioni erano troppo sottili. E allora egli diede al procuratore del re una risposta così concettosa, che questi tacque e annuì:
— La si ricordi, signor procuratore, disse il Paolotto, che le distinzioni troppo sottili spesso non sono tali, se non per coloro che fanno delle confusioni troppo grosse.
Il fatto è che si trovarono delle ragioni così impellenti e così forti per chiudere un occhio che fu ritenuta valida quella sentenza del tribunale di Genova, in forza della quale si riteneva Tomaso Bussi, presunto assente già fin dal 1852 e perciò defunto nel 1857; il decreto per l'apertura del testamento non trovò opposizione neppure in camera di Consiglio, e venne fissato per la cerimonia dell'apertura il venerdì successivo.
I plichi del testamento sappiamo già che erano due; uno segnato colla lettera A; l'altro colla lettera B.
Sulla copertina di quest'ultimo si leggeva: «È indispensabile il non aprire questo plico, se non dopo che s'avverino le condizioni contenute nell'altro segnato A, giacchè in caso contrario riuscirebbe nulla ogni mia disposizione testamentaria.» «Tomaso Bussi di U...»
— Quali saranno mai le condizioni del plico A? — domandò Forestina a suo marito e a Osvaldo.
— Domani lo sapremo — rispose Mario Fox.
— M'immagino — rispose il Millo — che si tratterà della ricerca di suo figlio, dell'istituzione della Banca dell'onore e della fabbrica a U...
— E il plico B che cosa credete voi che conterrà?
— Non è difficile capirlo! Conterrà la sostituzione dell'erede, nel caso che non si trovi il figlio, o che si scopra che è morto.
— E a chi spetterà di cercare questo erede? — domandò di nuovo la curiosa figlia del deserto.
— Toccherà probabilmente a me, che accettai di essere l'esecutore testamentario.
— Dio voglia che fra voi due non abbiano a sorgere mai contestazioni! — sclamò la donna.
Il Millo guardò in viso il marito di Forestina, come se volesse scrutare la segreta intenzione di lei nel dir quelle parole, poi rispose:
— Io sono certo che fra me e Mario non sarà per sorgere mai, neppure il sospetto di una contestazione. Io non saprei imaginare un fatto più doloroso di quello, che dovesse mettermi con voi in discordia, per causa di questa ipotetica eredità — proseguì rivolto a Mario. — Per la vita e per la morte fu la frase che uscì dal vostro labbro nel momento terribile... E io non dimenticherò mai che vi debbo la prima.
— A che la discordia del resto? — soggiunse Mario. — La vostra volontà sarà sempre la mia.
— Credete voi d'essere stato contemplalo nel testamento? — domandò Forestina colla sua ingenuità?
— Se vi rispondessi di no, mentirei — rispose il Millo. — Io non so perchè quell'uomo bizzarro mi portasse così grande affetto, quantunque sapesse che in politica e in scienza io la pensava tutt'al rovescio di lui. Egli mi disse, un giorno, che alla sua morte anch'io sarei stato molto agiato; a cui, pregandolo io di non dirmi simili cose, soggiunse: oh ce n'è per tutti! Ho 28 milioni.
— Si direbbe a sentirvi parlare che a voi non importi nulla di diventar ricco? E che quasi ne abbiate dispiacere — disse Forestina!
— Averne dispiacere sarebbe stoltezza! Il disprezzo delle ricchezze per me è cosa che non ha senso. Dal momento che il danaro può rappresentar un mondo di belle e buone cose, sprezzar il danaro sarebbe come disprezzar le cose belle e buone.
— Vi sono però delle cose belle e buone — sclamò Forestina con uno sguardo significante — che neppure i milioni non daranno mai!
— Pur troppo! — sclamò Mario con una torva espressione di dolore.
Il senso arcano della esclamazione di Forestina, Osvaldo lo comprese; ma finse di non capirlo. Quello di Mario gli sfuggì. Egli non sapeva del delitto di lui, nè del suo rimorso.
Venne il domani, giorno stabilito alla lettura del testamento.
Il magistrato aveva nominato curatore lo stesso Conte Osvaldo Millo, il quale avea giurato nelle di lui mani, di custodire gelosamente i beni della supposta eredità giacente.
Nella sala della Pretura, in un seggiolone più antico di quello che la necessità portasse stava il pretore; e a lui vicino il notaio del luogo Antonio Ranco. Alla sua destra il sindaco, un assessore, e due avvocati del Municipio. A sinistra Nataniele Rota, Osvaldo Millo Mario Fox, il capitano e altri fra i naufraghi, ammessi alla lettura come gente, che poteva vantare qualche diritto sulla eredità.
Scoccate le due, l'ora fissata, il notaio dopo le formalità di legge, si levò prese in mano il primo plico lo sciolse e a voce alta e chiara lesse:
«L'anno 1876, oggi, martedì giorno 20 del mese di settembre alle 11 pomeridiane dinanzi a me notaio ecc. Roberto Gasparino capitano del B... battello transatlantico e dei signori Conte Osvaldo Millo di Firenze, e Mario Fox di Madras fu depositato il testamento del signor Tommaso Bussi nativo di U... in due plichi suggellati in quattro angoli con ceralacca rossa, dichiarando che in esso si conteneva la sua ultima volontà, scritta e sottoscritta di suo pugno, colla clausola e condizione formale, che il secondo plico contenente il nome di erede sub conditione, non dovesse aprirsi se non quando si fosse appunto avverata la sospensiva espressa nel primo plico portante sulla sua coperta la lettera A... Seguono le firme di tutti i nominati nell'atto.
Quando il notaio depose questo primo documento sulla tavola, il silenzio era tale che si sarebbero intesi i battiti del cuore di ognuno.
Il primo plico fu aperto, e il notaio proseguì:
«Io sottoscritto Tomaso Bussi di U....... «principe di Bandjarra, domiciliato a Madras, volendo far ritorno in Europa, e pensando che la vita in mare è in mano di Dio, dispongo, pel caso di mia morte, della mia sostanza, che si trova per la maggior parte sulla Banca d'Inghilterra e che ascende a circa 28 milioni di lire, a favore di colui del quale seguono i connotati precisi e che riconosco come mio figlio con questo atto di spontanea volontà, aggiungendo tutti i documenti, che devono servire a farlo trovare e ritenere quale vero mio figlio, qualunque nome egli fosse per portare al presente.
«Nel caso che il detto mio erede fosse premorto a me, o non si presentasse, o avesse commessa qualche cattiva azione, per cui potesse essere dichiarato indegno dall’esecutore testamentario o non volesse per qualsiasi ragione accettare la eredità, eleggo in sostituzione colui che si troverà nominato nel secondo plico B, il quale plico voglio ed esigo per ogni effetto di ragione, sotto pena di nullità, che non debba essere aperto, se non dopo tre mesi dalla lettura del presente, e cioè quando siasi acquistata la certezza che mio figlio non abbia potuto o non abbia voluto adire 1'eredità.
«Per la parte disponibile faccio i seguenti legati:
«1. A Osvaldo conte Millo di Firenze esecutore testamentario: un milione di lire italiane a titolo di amicizia e di riconoscenza.
«2. Al villaggio di U.. mio paese nativo, un milione di lire per la costruzione ed esercizio dell'opificio, a innalzare il quale, in unione al Sindaco, è incaricato Osvaldo Millo, esecutore testamentario.
«3. Ai poveri della città di Genova, mia seconda patria: lire 100,000.
«Durante il tempo che si impiegherà nella ricerca di detto mio figlio, il conte Osvaldo Millo, ripeto, amministrerà l'intera sostanza senza restrizioni o controllo di sorta, a seconda delle intenzioni e dei voti da lui espressimi nel tempo ch'io ebbi l'onore di essergli amico a Madras e a Bombay.
«Tale è l'ultima mia volontà, scritta con piena cognizione di causa e mente «serena.
«Firmato.
Il notaio depose gravemente il manoscritto sulla tavola e si sdraiò nel suo seggiolone. Allora tutti, tranne Osvaldo, Mario e Forestina, cominciarono a parlare.
— C'è da farne venti cause! — si sentiva soverchiante la voce di un avvocato.
— Se fosse un figlio adulterino si opporrebbe al riconoscimento l'articolo 180, — sclamava un altro avvocato. —
— Non abbiamo finito — disse il notaio, prendendo in mano un fascicolo, che stava nel plico unito al testamento — è necessario che io dia lettura di quest'altro documento.
Tutti si riassisero in silenzio.
«Notizie che aiuteranno le ricerche del mio erede.
«A scusare l'abbandono della mia creatura dirò innanzi tutto che egli nacque nell'agosto del 1848, quando, essendo ritornati gli Austriaci a Milano, dovetti esulare dalla Lombardia.
«Non voglio di sua madre, dare alcuna indicazione che potrebbe comprometterla nel caso che fosse vivente ancora. Già, fino dal maggio, ella si era celata in un villaggio della Svizzera, ed il figlio fu accolto nel Brefetrofio di Como, due mesi circa dopo la sua nascita.
«Al suo collo stava appeso un sacchetto di seta in cui erano stati posti tre contrassegni tagliati diagonalmente, i quali corrispondevano a quelli uniti alla presente memoria e nella quale gli imponevo il mio nome Tomaso Bussi, col quale spero sarà facilmente ritrovato.
«Non credo di avere successori legittimi; se ce ne fossero valga per loro la legge.»