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CAPITOLO VI
Mario Fox, il giorno dopo, partì per Como, in cerca del fortunato erede del principe di Bandjarra.
A Como gli fu risposto, che aveva vissuto fino a 14 anni a P... di Valtellina, presso gli allevatori, coniugi Venosta.
Mario telegrafò a Osvaldo il risultato di questa prima inchiesta.
Ne ebbe in risposta di recarsi in Valtellina dai Venosta per avere ulteriori informazioni.
La stessa sera il marito di Forestina sbarcava a Colico, e verso mezzogiorno del dì seguente smontava dalla diligenza all'albergo del villaggio valtellinese, dove era stato allevato il figlio di Tomaso Bussi e di Elisa Kollestein.
La strada da Colico a Bormio in quei giorni era battuta da molte illustrazioni italiane, che si recavano alla inaugurazione del nuovo osservatorio meteorologico ai Bagni Nuovi di Bormio.
Il villaggio di P..., dove Mario si arrestò, va superbo di aver dati i natali allo scopritore del pianeta Cerere.
Nel punto ch'egli scendeva dalla vettura nel cortile della locanda.... vide un uomo, alto della persona, montare nella diligenza, che doveva fare appunto il viaggio a rovescio, ch'egli aveva fatto poco prima.
Non ci badò, ed ebbe torto; giacchè l’occhiata che quello sconosciuto gli scoccò di traverso accennava a qualche cosa che gli avrebbe giovato di sapere.
Uscito dall'albergo, dove i padroni nuovi non riuscirono a dirgli quali fossero i Venosta che egli cercava, si mise per la contrada massima, a caso, e veduto un tale che se ne stava appoggiato allo stipite della sua bottega da rivendugliolo, a guardar di qua e di là, come sfaccendato, gli domandò se conosceva e dove stessero di casa questi Venosta, sconosciuti all'albergatore.
— Ecco là — rispose quegli additandogli una casupola in fondo alla via — quella porta piatta, dove entra ora quella vacca, col ragazzo e quel cane.
Mario vi andò. Sotto 1'androne della porta trovò un uscio, e mise il piede sulla soglia.
Al suo affacciarsi una vecchia che filava poco distante gli domandò:
— Chi cerca?
— I Venosa, di grazia, dove stanno?
— Siamo noi! — rispose la vecchia, e alzò lo mani con un movimento di sorpresa che pareva dicesse: Un altro!
Ma dissimulò, e voltasi a un bambino, il quale colla sua brava bulletta — come si dice tanto a Milano che a Firenze — uscente dalla fessura deretana delle brachine, stava lì a bocca aperta a guardare il cittadino, gli disse:
— Va un po', Tonio, a chiamar il Vincenzo.
Il ragazzo, dondolando come un anitroccolo uscì.
— Viene da Sondrio lei?
— No, da Milano.
— Fin da Milano, anche lei? — sclamò ammirando la vecchia — Ma lei però non è Milanese?
— No.
— È forse venuto per vino?
— No. Sono venuto per avere informazioni su un trovatello, che all'ospedale di Como mi dissero aver nome Tomaso e che fu allevato in questa casa.
— Gesù santissimo! Altro che allevato da noi, povero Tomasino! Soltanto che ora è la miseria di 14 anni e più, che ci ha abbandonati.
In questa entrò un contadino. La donna gli comunicò la cosa, strizzandosi l'occhio, poi soggiunse:
— Se io fossi stata a casa, quella donna non ce l'avrebbe condotto via così! Ma lui, lui — seguitò additando il Vincenzo — per la golaccia del danaro se lo lasciò rubare, senza nemmanco avere la precauzione di farsi dire appuntino, dove sarebbe andato a finire.
E qui fra la vecchia e il contadino corse un altro sguardo di intelligenza traditora, che Mario non vide.
— Ma questa donna — domandò Mario — chi credete mai che fosse?
— Io credo che fosse sua madre.
— Signor no — saltò su il Vincenzo — non me l'ha voluto dire.
— E come sapete dunque che fosse sua madre?
— Madonna! Lo si capiva lontano le miglia, tutti i suoi occhi, la sua bocca, il naso, tutto. Era lui sputato! E poi da certe lettere che gli scriveva, al Tomaso, quando lo avvisò che, essendo morta quella tal persona che si opponeva al riconoscimento, sarebbe venuto a levarlo...
— Le avete queste lettere?
— Non ce ne restò per caso che due — rispose il Vincenzo.
— Si potrebbero vedere?
— Va a pigliarle. Guarda che sono riposte nella cassapanca sotto i panni della Teresa a sinistra.
— Se io volessi comperarle me le vendereste?
— Per farne che cosa?
— Per tentare di andarne in traccia.
— Per fargli del male! — sclamò la donna con amarezza.
— No per fargli del bene.
Giunse Vincenzo colla lettera. Mario la lesse. Portava la data del 1862.
«Finalmente ostacolo che si frapponeva alla nostra riunione è scomparso. Io sono libera di stringerti fra le mie braccia. Se tu qualche volta hai pensato alla tua povera madre, la quale fino ad oggi fu nella impossibilità di riconoscerti e di averti con sè, questa notizia ti deve colmare di gioia. Verrò io stessa domenica a farmi riconoscere e a prenderti. Io sono povera, ma pensa, per pietà, figlio mio, che tu mi faresti morire di dolore se non mi ricevessi amorosamente. Dirai a' tuoi allevatori che io li rimeriterò delle spese e delle cure che hanno avuto per te in questi 14 anni, ma che non tentino di trattenerti perchè io sono:
L'altra anteriore, datata dal 1859, diceva:
«L'uomo che si oppone al nostro ravvicinamento è partito per la guerra e io sono più libera di scriverti. Se tu sapessi con quanta difficoltà sono riuscita a strappare a un impiegato dell'ospedale di Como il secreto della tua dimora costì. Oh se tu sapessi da quale smania di vederti io sia invasa, mio adorato figlio! Ma per ora è impossibile, e ne saprai le ragioni quando potrò parlarti. Verrà certo un giorno che potremo essere riuniti per sempre. Il cuore me lo dice.
«La tua sventurata madre».
— Quanto volete a cedermi queste due lettere?
Il Vincenzo aperse le braccia e piegò il collo.
— La sua buona grazia — rispose.
— Ma che buona grazia! — saltò su la vecchia. — Possiamo essere sicuri noi che non è per fargli del male ?
— Credete voi buona donna al giuramento?
— Se ci credo!
— Ebbene giuro che è per fargli del bene.
— Allora tanto meglio.
Mario lasciò loro cento franchi.
E partì per Milano, a raggiungere Osvaldo e Forestina.