Carlo Righetti, alias Cletto Arrighi
I quattro amori di Claudia

PARTE SECONDA.

CAPITOLO VII.   Parole e assenzio.

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CAPITOLO VII.

 

Parole e assenzio.

 

Il giorno dopo in qualche caffè di Milano si parlò assai dell'arrivo di una certa bella avventuriera, moglie, o amante che fosse, del segretario di un principe indiano, che stava alloggiato all'albergo della Ville.

Tutti i giovani ricchi, e più o meno gaudenti, i quali pensano che si vive una volta sola, e che è necessario non sprecare il tempo dai venti ai quaranta, se non si vogliono avere dei rimorsi dai quaranta ai sessanta, a quella gradita notizia si misero in orgasmo.

Era l'epoca in cui Milano ridiventa animato per pochi giorni — fra il ritorno dai bagni e la nuova partenza di ottobre, per le ville.

Nei cappannelli di eleganti, sul Corso, fra le quattro e le cinque si discorreva della bionda straniera, chi diceva olandese, chi inglese, chi indostana, discesa la sera dianzi all'albergo della Ville.

Degli esploratori erano stati spediti per averne notizie precise; qualche sensale non patentato stava già disponendo le sue fila.

Seguiamo uno di costoro. All'aspetto non lo direste un uomo che s'occupi di fiutare l'amore per gli altri! A Milano sono radi, ma messi bene; noi siamo ancora ai primordii della corruzione; si cerca di esercitarla in guanti bianchi e di frodo.

La sua età è un'ignota. Potrebbe avere 30 anni come potrebbe averne 50.

Egli è brutto, come pochi uomini sanno esserlo! Le parti del suo viso, fanno a pugni l'una coll’altra! Più brutto d'un macaco! Il suo naso è indescrivibile! Sembra il naso d'uno scheletro appiccicato alla faccia d'una scimmia.

Lo chiameremo Bamboccia.

Nessuno ha mai saputo finora — tranne i pochi che lo sanno — come egli faccia a vivere; eppure pranza al restaurant, veste elegante, fuma degli attorcigliati, calza guanti di capretto, e passa talvolta sei o sette ore di seguito al caffè, dove è capace di bevere dai quindici ai venti assenzii in fila, senza avere pensato mai al delirium tremens!

 

Verso le quattro entrava canterellando nel caffè favorito. Cinque o sei giovinotti gli furono intorno:

Hai scoperto?

Sai chi sia?

Rechi notizie?

Bamboccia alzò le due mani coperte da guanti lavati color di lavanda, appiccicò la lente all'occhiaia destra, e disse:

Garçon un assenzio... Questa sera vi garantisco di dirvi nome, cognome, patria, condizione, e che cosa la sia venuta a Milano a fare.

È proprio così bella?domandò uno dei circostanti.

Per me è tanto bellarispose il fiutamisteri, — che, per amore della salute pubblica, le proibirei di andare intorno per le strade.

Oh che esagerato!

Giacchè, quando si ha nel petto un senso estetico sviluppato, come mi vanto di averlo sviluppato io... non sono artista per nulla! fa male a vedere certe cose, che si è sicuri e persuasi di non poter raggiungere.

Parla per te, in caso! — sclamò un terzo simpatico giovinetto.

Lei taccia! — sclamò, tanto per parlare anche lui, un quarto, con quella arroganza amichevole, che vorrebbe essere disinvoltura e non è infine che un segno di imbarazzo, giacchè cela malamente la paura di parer un imbeccille a non dire la propria.

Gli è un vezzo comunissimo a Milano!

Ma Bamboccia, che invece era uno scorbellato di prima riga, adulatore coi più forti, beffardo coi più deboli, dopo aver traccannato l'assenzio, disse a quello che aveva sclamato: «parla per te: »

E neppure per lei, vede, se delle volte mai la si facesse delle illusioni!

La voce nasale e la flemma, con cui aveva pronunziata quella frase, provocarono le risa addosso al compagno, che fattosi rosso come una lazzeruola, balbettò:

Io? Chi dice gobbi? Io non pretendo a nulla, io!

Così va beneripigliò il canzonatore esimiogiacchè non vorrei conservarle addosso dei pruriti innamorativi per quella creatura celesteGarçon un assenzio!

Io so, signori, quello che sarà piuttosto, fra tutti noi, il predilettoriprese Bamboccia.

Chi?

Chi mai?

Chi mai sarà?

Bamboccia alzò lentamente un braccio, stese l'indice, e segnò un certo figuro, che se ne stava modesto e sbadato, a bocca aperta, a succiarsi quella conversazione; poi disse:

Eccolo! Sarà piuttosto il nostro bravo contrappuntista.

Lui, il maestro, non capì subito la minchionatura; ma gli astanti, che s'erano voltati tutti a guardare nella direzione segnata dall’indice di Bamboccia, scoppiarono in una fragorosa unanime, omerica risata.

Il povero maestro è conosciuto a Milano come forse il più brutto uomo della Lombardia.

Vedendo che tutti lo guardavano e ridevano diventò scarlatto, chiuse ermeticamente le due sottili fessure, che gli tengono luogo di occhi e, volgendo le spalle al crocchio, borbottò;

Andiamo, andiamo; sciocchezze, che non mi garbano! Non mi si piglia a gabbo, me!

Non è tanto facile imaginare la orrenda bruttezza di quel viso!

Insomma, dunque — ripigliò uno del gruppo — l'hai veduta o non l'hai veduta la signora?

Per veduta l'ho veduta!

Non le hai parlalo? Su dunque. Non farti cavar le parole col graffio.

L'ho veduta, oggi, a mezzogiorno, mentre uscivo dalla porta di Steno Marazzi ... Ma cameriere, dico... questo assenzio? Ell'era in un ignobile brougham e teneva la sua mano appoggiata sulla intelaiatura del cristallo, alzato per un quarto; una mano da regina, come dicono quelli che non sanno, che le regine talvolta hanno le mani molto brutte... testimonio la regina di Spagna.

Tocca via, senza digressioni!

Quella mano mi mise addosso una grande curiosità di vedere chi fosse la creatura che la possedeva; perchè io, di natura mia, non sono punto curioso, ma, se mi ci metto, guai!

Poca frangia, Bamboccia!

Mi misi, dunque, in un brougham anch'io, dicendo al cocchiere di sferzare la sua rozza dietro il legno, che stava per sparire, e di fermarsi a cinque passi dietro di esso. Giunto dinanzi al Rainoldi il mio veicolo si arrestò; io saltai fuori in fretta, e arrivai in tempo a vedere una cosa che mi diede i sudori e mi fece vedere le lucciole....

L'esageratore s'arrestò per godere della curiosità de' suoi ascoltatori.

Che cos'hai veduto?

Tira via! — gridarono molti.

Garçon un altro assenziodisse con maestosa flemma il Bamboccia. — Finche l'appetito non arrivi si stimoli lo stomaco, lasciò scritto Epicuro!

E dunque?

Non voglio dirvelo; voglio che lo indoviniate. Sarà l'uovo di Colombo.

L'hai veduta lei a uscir dal legno?

Ma prima? — domandò Bamboccia che pigliava gusto a far inuzzolire quei gazzerotti.

Prima cosa?

Prima come?

Prima chi?

Siete una massa di cretini! — sclamò il raccontatore, al quale, in fatto di insolenze, era lasciata una specie di carta bianca.

Gli è un garbo milanese anche codesto!

Prima che una signora esca di carrozza cosa si vede?

Si vede ad aprire lo sportellorispose uno degli ascoltatori.

Bravo! E dopo?

Ma dopo, che tu sia stramaledetto, la si vede uscir lei, mi pare!

Oh savii, della Grecia, che non siete capaci di azzeccarne una! — sclamò Bamboccia — Io vi dico che quello che si vede uscire innanzi tutto da una carrozza, dove sia una signora, non è tutta lei, ma un estremità importantissima di lei.

Il piede! — sclamarono molti.

Ah! Ci siete arrivati?.. Il piede, a cui, naturalmente sta attaccata una gamba, più o meno ben tornita, la quale si può vederla sino ad un punto più o meno elevato a seconda dell'abitudine che ha la signora di rilevare la gonna dinanzi a per non incespicarvi.

Ebbene?

Bene non vi dico altro! — rispose Bamboccia, dimenando il capo e le mani e stralunando gli occhi — Ci sono delle sensazioni in questa vita delle quali si dove essere custodi gelosi nel sacrario della propria coscienza! Ebbi un giramento di capo, mi sentii fischiare e battere tutti i polsi...

Oh guarda !

Poverino!

Erano vent'anni che non provavo nulla di simile!

Era piccolo?

Sottile?

Ineffabile! — sclamò Bamboccia — E sì che fu un lampo; ma quello stivaletto che mi balugginò dinanzi un istante, io l'avrò qui indelebile per tutta la vita.

E puntò l'indice alla fronte.

Ma, infine, lei? Lei... la proprietaria del piede?

Lasciatemi contare a modo mio — sclamò Bamboccia — Non vi piace forse a sentirmi descrivere?

Sì sì... lasciatelo descrivere.

Ella dunque uscì, e infilò la porta dell'albergo, tanto che in viso, allora, non la potei vedere. Uscendo ella aveva rivolta la testa verso il caffè dell'Europa, dove io andai a postarmi per attenderla all'uscita, giacchè ella aveva fatto fermare il brougham alla porta. Non saprei dirvi precisamente quanto tempo aspettassi; so che dovetti bevere quattro assenzii e leggere tutta la quarta pagina del Secolo. Finalmente vidi il portinaio dell'albergo precipitarsi allo sportello della vettura. La bella uscì con un signore ed entrarono nel legno.

E sta volta l'hai veduta bene?

È un angelo del cielo! Si direbbe che fu plasmata di aria e di luce.

E sai chi sia?

Naturalmente! Entrai nell'albergo e m'informai.

E che cosa sapesti?

Seppi che è mistress Fox, moglie del segretario d'una specie di Nabab, arrivato ieri da Madras, e possessore di una trentina di milioni.

Ah è dunque vero! — sclamò uno degli ascoltatori: figlio del cassiere della banca di Trestelle — Mio padre infatti raccontò stamattina che si aspettava da Londra questo riccone, che aveva fatta fortuna in Asia.

La curiosità aumentava.

Venticinque milioni!

S'udì nella sala una specie di rantolo, e un bisbiglio! Fu per così dire la sintesi segreta di tutti i desiderii, di tutte le avidità, di tutte le invidie, che si esalavano da quei petti, riscossi dalla magica parola.

Sensibili certo alla descrizione della bellezza femminile, ma più sensibili ancora all'idea di tanti milioni!

 

 

 


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