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CAPITOLO VIII.
Ercole S... detto Bamboccia, è uno dei più matricolati birbanti, che conti Milano nell'anno di grazia 1876.
Egli esercita la nobile arte dell'agente segreto.
Forse, questo sciagurato, non ha sortito da natura un'indole perversa; giacchè, dal gajo carattere e dai modi urbani, non lo si crederebbe una birba sconsacrata!
Forse, dal giorno, che nel suo interno la virtù ed il vizio cominciarono ciascuno a tirar l'acqua al proprio mulino, egli non aveva dato ascolto che al secondo!
Non sono io che ha inventata questa specie di lavorio contemporaneo dei due antagonisti: il bene ed il male, nell'animo umano. È Diderot!
Il fatto è che Bamboccia non era un furfante tutto di un pezzo. Ci è diventato grado a grado trascinato dalla prepotenza di certe circostanze sociali. Egli ha dei mezzi spontanei ed efficaci, per parere un buon diavolo; e li pone in pratica con molto effetto. È a suo tempo faceto e arrogante, modesto e altero cogli amici, e costoro sono ben lontani dall'imaginare che razza d'un serpente scaldino nel loro seno.
Egli, come dissi, aveva fino all'altro giorno soffiata la tromba, come agente segreto. Nei momenti perduti poi era anche sensale di illegittimi amori.
Dico fino all'altro giorno, perchè il mutamento delle eccellenze prefettizie portò al povero Bamboccia un colpo mortale.
Per dar colore alle polpette aveva sgorbiata qualche tela, che aveva esposta nel 186... a Brera, col suo nume a caratteri di scatola in un angolo chiaro.
Abbominevoli crostacei, come diceva un suo collega d'arte.
Del resto agente e sensale sono due parole pulite, per non dire spia e ruffiano. Il Manno nella fortuna delle parole non accenna a queste due sporche; ma nota con arguzia che noi, a furia di educazione, attenuando continuamente la crudità di certe espressioni, finiremo col non intenderci più affatto. La dannata e ipocrita indulgenza per le cose turpi ci ridurrà un qualche giorno a qualificare il parricidio come una piccola mancanza di rispetto al babbo.
Agente! Quanti onesti agenti diplomatici, quanti probi agenti teatrali, quanti bravi agenti di campagna dovrebbero protestare contro la indegna confusione di termini?
Bamboccia è il tipo di quei zingani degradati e falsi che nella Scapigliatura trattai in questo modo:
«Come accade anche nei partiti estremi, che accolgono nel loro seno i rifiuti degli altri, anche la Scapigliatura conta un buon numero di persone disoneste, le quali finiscono collo screditare la classe intera; ma codesti signori sono come nel ferro le scorie; e c'è per essi un nome abbastanza conosciuto senza ricorrere a quello di scapigliatura; e sarei tentato anch'io di chiamarli cavalieri d'industria e birbi, se i guanti non mi vietassero di chiamar chicchessia col suo vero nome. Ma appunto come tali essi si perdono in quella putrida massa comune a tutti i paesi del mondo, gente che s'avvoltola nel fango senza perdono e senza poesia possibile».
Bamboccia è una piccola rappresentanza ambulante di quella parte di cronaca politica ignominiosa, che fu scritta e operata in Italia da certa gente dal 1855 in poi.
Il suo mestiere, per ciò che riguarda il soffietto, era cominciato, a Milano, appunto nel 1855. L'arciduca Massimiliano si era servito di lui per conoscere lo spirito della popolazione, a proprio riguardo. I suoi rapporti, scritti con ingegno, erano piaciuti assai anche a Cesare Cantù! Allora fu lì lì per entrare collaboratore nella famosa Gazzetta Italiana.... Dopo il cinquantanove si era presentato a Vigliani, che l'aveva ricevuto a stipendio. Era suo dovere! Il peccato per Bamboccia aveva mutato, di spessore non di colore: spia dell'Austria era spia e traditore del proprio paese; spia del Vigliani, poi del Torre, era traditore dei progressisti! A Torino nel 63 lo si vide due volte ai famosi pranzi del Susani. Quando la capitale fu portata a Firenze egli vi fu spedito e servì fedelmente il Ricasoli nei suoi progetti di conciliazione. Allora fu notato come uno di quelli, che nei caffè e nei circoli elettorali caldeggiavano a tutta possa l'idea di rinunciare a Roma capitale, per non turbare le coscienze cattoliche. Alle Cascine il giorno che i corazzieri del Re fecero la loro prima mostra egli si mostrò a braccetto di uno degli assassini di Raffaele Sonzogno. Di Raffaele Sonzogno egli si vantava amicissimo. Lo aveva conosciuto nelle sale della vecchia Gazzetta di Milano, il giorno che Rovani gli scagliò una terribile frase storica, che io non voglio ripetere!
Emmissario di Langrand Dumonceau egli fu incaricato di offrire, a un giornalista, con disinvoltura, una certa sommetta, perchè scrivesse degli articoli per sostenere il mostruoso progetto combinato collo Scialoia. Al tempo di Gualterio e di Menabrea guadagnò una bella senseria, persuadendo una Giunone al verde a mostrarsi gentile, in un certo ballo a Pitti. Nicotera, una sera, non si sa per qual ragione lo pigliò a calci in quel servizio, nel cortile di palazzo vecchio. Nel 69 al tempo dell'infausto Ministero Gualterio-Menabrea fu lui che inventò la famosa cospirazione Nathan e che tirò giù dal solaio l'Idra rivoluzionaria! Sì legò a Brenna direttore della Nazione, bazzicò con Balduino, Tringalli e Civinini. Però sfuggì all'inchiesta sulla Regìa Cointeressata. Il suo nome non figura nella lista dei testimoni.
Fu lui che ordì l'affare Lai, e che stette in disparte a sorvegliare il contegno del deputalo Lobbia a cui il frate offriva i luridi servigi. Trattò per lo sconto delle cambiali Mantegazza e non vi riuscì. Finalmente, per troncare la poco lieta filastrocca, fu lui che ieri ancora riceveva dal famoso sconosciuto cento lire per non rivelare, su quel fatto, il segreto di Pulcinella!
Io mi domando: l’infamia è proprio tutta quanta sua? Certo che come uomo egli ne ha una parte maggiore e indeclinabile.
Ma ciò che rende odiosa e infame la spia, non è già appartenere alla questura, quanto l'esercitare il tradimento. Per me senza ambagi nè restrizioni, alla questura, quando mi difende dai ladri, caverò sempre tanto di cappello, e le darò il benvenuto a costo di buscarmi le ingiurie di chi crede fare del liberalismo a demolirla.
Ma il pensiero, che se a quel posto non ci fosse stato Bamboccia ce ne sarebbe un altro nasce spontaneo! E che vuol dire questo? Vuol dire che sciaguratamente il posto c'è! Il governo crede aver bisogno delle spie, come si crede che i cani abbiano bisogno di pulci. La cosa non corre diversamente pel carnefice. Dal momento che c'è la pena di morte ci deve essere il boia! Dal momento che non c'è il divorzio ci devono essere gli adulterii autorizzati! Dal momento che c'è una questura politica ci devono essere le spie.... e gli agenti provocatori!
Avvenne dunque che nel mese di ottobre dell'anno scorso, 1875, pochi giorni prima dell’arrivo a Milano di S. M. l'imperatore Guglielmo, il prefetto conte di Benevento ricevesse dal ministro dell'interno una nota nella quale gli si partecipava, come qualmente fosse venuto a cognizione del governo, che un assassino armato dai clericali prussiani, avrebbe attentato alla vita dell'imperatore di Germania, durante il suo soggiorno a Milano. Non se ne conosceva il nome, ma se ne davano i connotati e si ingiungeva al prefetto di scoprirlo e di farlo sorvegliare.
In quel torno di tempo Bamboccia dal canto suo riceveva da G.... una altra lettera nella quale gli si diceva che un certo Steno Marazzi pittore, era stato incaricato dai clericali di Germania di uccidere il ministro Bismarck.
Questo avviso, a dir vero, puzzava di inverosimiglianza lontano un miglio.
Ma Bamboccia, quantunque fiutasse 1'equivoco, stava per andar a comunicare la notizia al conte di Benevento, quando dal questore ricevette l'avviso di presentarglisi.
Allora stette a vedere come si mettevano le cose.
Il conte di Benevento avea già fatto chiamar il questore e gli aveva comunicata la confidenziale da Roma.
— Ha lei un uomo svelto, su cui contare? — aveva domandato al questore il prefetto. — Guai a noi se avvertiti lasciassimo che accadesse un simile attentato qui in Milano!
— L'ho — aveva risposto il questore.
— Bamboccia forse?
— Per l'appunto.
— Ci avevo pensato anch'io! Questa sera al mio alloggio laggiù. Lo avvisi di trovarvisi.
— A qual ora eccellenza?
— Verso le nove, se non lo disturba, caro commendatore.
Alle nove il conte di Benevento, il questore e Bamboccia stavano riuniti nella casina che il primo teneva in via.... pe' suoi colloqui segreti. Là riceveva qualche giornalista, qualche consorte, qualche spostato, che non amasse farsi vedere sulle scale della prefettura.
A onor del vero nessun piede di donna aveva mai lasciata orma in quelle stanze. Tanto più che c'erano de' buoni tappeti!
Fu primo il prefetto a rompere il silenzio:
— Si tratta di una scoperta difficile e delicata, e abbiamo pensato di approfittare de' suoi conosciuti talenti....
— Si tratta di scoprire un tale, che trovasi in Milano, o che vi deve arrivare, non si sa d'onde, per uccidere S. M. l'imperatore Guglielmo, quando verrà a Milano fra poco.
Bamboccia diè un piccolo balzo sulla sedia, e stava per dire: lo tengo anch'io!
Ma si trattenne.
— Se ne conosce il nome? — domandò invece.
— No, ma si hanno i connotati.
E porse una carta a Bamboccia.
— I connotati non valgono gran che! Chi è che non ha dai 25 ai 30 anni e non ha capelli, barba e occhi castagni?
— C'è quella voglia di lampone sulla schiena che è un indizio6 sicuro.
— Una voglia sulla schiena non la si può vedere!
— Piuttosto — sclamò il prefetto — non arrivo a capire come mai si ignori il nome di una persona, della quale si sa che tiene sulla schiena una voglia di lampone!
— È subito spiegato — rispose Bamboccia. Questi signori mutano di nome ogni sei mesi, che dico? ogni volta che hanno da commettere un reato. I nomi vecchi non farebbero che imbrogliare.
— Non ci pensavo! — disse il prefetto, e proseguì rivolto a Bamboccia.
— Si sente lei di poterlo scoprire?
— Sì.
— Si compiaccia di dirmi in che modo ella fa conto di operare?
— Il mio metodo è sempre lo stesso — rispose Bamboccia. — Lo stesso che usai quando il signor commendatore qui presente — accennando al questore — mi chiese l'incarico di scoprire un inviato della Internazionale di Ginevra.
— Che lei ha trovato subito! — disse il prefetto con accento di lode.
— Sarà necessario agire alla stazione della ferrovia, presso gli albergatori, e presso i bagni pubblici. Io disporrò le fila presso gli inservienti bagnaiuoli, che sono in grado di scoprire la voglia di lampone sulla schiena.
— Che furbo! — disse il prefetto al questore.
— Ha bisogno di danaro? — gli domandò questi.
— Il danaro, signor commendatore, è sempre necessario — rispose Bamboccia ridendo. — Quanto più me ne dà, tanto più ne piglio.
Il prefetto cavò una piccola chiave di tasca, andò ad una cassetta di ferro nel muro, l'aperse, ne cavò un biglietto di cinquecento lire e lo porse a Bamboccia.
— Ecco per ora; mi raccomando!
Bamboccia uscì. Il prefetto e il questore stettero a parlare de loro affari.
— Steno Marazzi! Steno Marazzi! — sclamava la spia, rileggendo la lettera da... quando fu uscito dalla palazzina del prefetto.— Questo nome non mi è nuovo! Dev'essere un pittore! So dove trovarlo! Lo conosco di vista!