Carlo Righetti, alias Cletto Arrighi
I quattro amori di Claudia

PARTE SECONDA.

CAPITOLO X.   Le idee del principe di Bandjarra.

Precedente

Successivo

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

CAPITOLO X.

 

Le idee del principe di Bandjarra.

 

Lo stesso giorno che era sbarcato nel porto ligure, dopo il naufragio, Osvaldo Millo aveva scritto a Firenze, informando la zia, sua sorella e il sor Giovanni del suo arrivo in Italia, del naufragio patito, dell'eredità fatta, e della necessità in cui era di trattenersi, prima laggiù, poi a Milano, almeno i tre mesi imposti dal testamento del principe di Bandjarra. E li esortavagiacchè quantunque ricco non intendeva mutare il sistema di vita — a venir a Milano.

La zia gobba e l'Adelina accompagnata dal dottore, vi giunsero, che Osvaldo non v'era ancora arrivato.

Ma aveva loro telegrafato che sarebbe partito col diretto del giorno dopo.

La zia era tutta in orgasmo. Osvaldo, divenuto milionario, era il trionfo delle sue idee.

Sa lei che sono ormai quasi quattro anni che egli è partito da Firenzediceva al dottore.

Pur troppo!

 

Poco dopo l'omnibus dell'albergo entrò nel cortile e un cameriere salì ad avvisarli che il conte Osvaldo Millo era arrivato.

Allora tutti gli mossero incontro giù per le scale. ci fu un serra serra e uno scambio di baci, di abbracci, e di dolci lagrime; poi rientrarono tutti in camera.

Osvaldo non ebbe neppure l'opportunità di presentarli a Mario e a Forestina.

Non seguirò passo passo quel tumulto di affetti, di curiosità, di domande d'ogni genere che s'affollavano intorno al giovine missionario e il racconto or triste, ora lieto della sua vita e la descrizione del naufragio, e tutto, insomma, ciò che il lettore già conosce.

Quella conversazione durò un bel pezzo, finchè Osvaldo mostrò desiderio di andare in camera a riposare dal viaggio.

Nell'avviarsi seguito dal sor Giovanni il giovine prese a questi la mano e gli disse:

Mi lasci salutarla ancora perchè poc'anzi assediato com'ero da ogni parte, mi pare di non averle fatto abbastanza festa.

Povero figliuolo! — sclamò il filosofo. — Chi me l'avrebbe detto!

Lei è forse un po' in collera con me?

In collera no — rispose il signor Giovanni. — Nondimeno! La ti par cosa da nulla l'esser scappato via da Firenze, in quel modo, senza nemmeno darmi il tempo di salutarti, senza nemmeno dirmi guarda che me ne vado?

È vero! — rispose Osvaldo toccato dal rimprovero. — Ma se sapesse!

Puoi bene imaginarti se non ho saputo tutto! Ho saputo del tuo duello, e come quel disgraziato con cui ti sei battuto sia morto della sua ferita, e ho saputo che la Claudia, da te abbandonala sui due piedi, fu sposata da lui al letto di morte; poi scomparve da Firenze con sua sorella e suo padre e nessuno ne ha saputo più nulla.

È forse morta?

Chi lo sa? Quand'io tornai a Firenze da Pistoia, nessuno in casa me ne seppe dar nuova. Fatto sta che quando tua sorella mi disse che tu eri partito e che ti eri fatto quasi missionario, puoi figurarti che razza di pensieri mi si pararono dinanzi. Missionario per la fede cattolica? Ma dunque egli ha patteggiato coi clericali? Lui, lui, un membro della gloriosa classe dei tipografi, tutti razionalisti, imbrancarsi coi nemici d'Italia? È possibile dicevo fra me, che il mio Osvaldo, che io vedevo già avviato a diventare tutto quanto si può desiderare di meglio pel nostro paese, che ha tanto bisogno de' suoi uomini di ingegno e di cuore, precisamente ora, che la risurrezione nazionale è compiuta sia andato laggiù a cercare di cambiare il modo di pensare a degli Indiani, che hanno le loro religioni più vecchie delle nostre, e che sono contentoni di tenersele?

Oh sor Giovanni! Di religione io non parlava quasi punto a quella gente, se non quando la loro si opponeva alla umanità ed alla civiltà! Io ho creduto far cosa che tornasse di utile e di sollievo al prossimo!

Ma, in nome di Dio, c'era bisogno di portarsi in India per far del bene al prossimo? Non sai tu quante belle cose restavano a farsi qui in Italia, senza andar in capo al mondo a mutar in cristiani quelli che credono a Budda, a Brama, a Siva e a Vattelapesca?

Osvaldo era rimasto interdetto. Il sor Giovanni lo rincorò.

E del resto il milione ereditato aggiustava molte cose anche nella sua testa filosofica!

 

Giacche ci siamo — disse Osvaldo poco dopodatemi un consiglio, voi che siete al corrente di ogni cosa. Dovete sapere, caro sor Giovanni, che uno dei progetti del principe di Bandjarra era quello di fondare una Banca dell'onore, vale a dire un banco a prestito sull'onestà individuale. Credete che la cosa sia pratica?

Il pensiero è nobilerispose il dottore — se non m'inganno è il Cash Credit senza garanzia. Bellissima idea, ma inattuabile.

Perchè inattuabile? — domandò Osvaldo.

Perchè perderai tutto il capitale e non acquisirai altra certezza se non che il mondo è pieno di spudorati bricconi.

Questa idea non entrava nell'anima retta di Osvaldo.

 

Il giorno dopo, egli volle consultare un notaio, al quale espose l'idea e ripetè la domanda fatta al sor Giovanni.

Il notaio si peritava a rispondere.

Lei non è Milanese? — domandò ad Osvaldo.

No signore: sono Fiorentino.

Mi duole dover dire innanzi a un Fiorentino una cosa che non farà molto onore alla mia città.

Oh, signor mio, tutto il mondo è paese. Ciò ch'ella potrà dire di Milano si potrebbe applicarlo, e forse con maggior forza a Parigi, a Londra, a New Jork, dappertutto.

È vero anche questo!

Ebbene?

Io, dalla mia coscienza di notaio sono obbligato ad avvisarla, che facendo prestiti sull'onore senza garanzia, ella perderà in due mesi tutto il capitale.

Osvaldo sorrise e domandò:

Su quali dati può ella asserire questa brutta cosa?

Deve sapererispose il notaio — che a Milano questa idea venne già ad altri. Nel 1863 si tentò di istituire la Compagnia del credito sul lavoro, la quale doveva essere precisamente un Cash credit, senza bisogno di garanzie. Se ne fecero promotori il sindaco Beretta, l'assessore Visconti-Venosta, il deputalo Macchi, e Fano e Luzzati e Boldrini e Hanau e Galbiati ed altri... Ma com'era da aspettarsi non riuscirono a nulla. E di quelle idee oggi non rimase in florido assetto che la Banca popolare la quale è tutt’altra cosa.

E mi saprebbe dire la ragione per cui il credito sull'onore non ebbe fortuna?

Io non vorrei dare una risposta troppo cruda... ma la mi pizzica le labbra! Del resto le ragioni mi paiono troppo complesse, per poter essere dette così sui due piedi. Le basti sapere, giacchè la mi interroga così, che io ho poi una opinione mia particolare, divisa in pectore da molti, ma non ancora divulgata e che riguarda questa benedetta parola credito!

Mi potrebbe lei esporre questa sua opinione?

Io sono modestamente di avviso che tutti gli sforzi che si fanno al giorno d’oggi per dar forza al credito, per allargare il credito, per rinforzare il credito, siano la rovina e non il vantaggio della società, come finora s'è voluto far credere.

Lei crede questo?

Non solo ci credo, ma sto scrivendo un libro intitolato: Morte al credito.

Ella mi fa scendere dalle nuvole. Io finora ho sempre udito dire che il credito fosse la ricchezza delle nazioni.

La ricchezza, vera sta nel lavoro e nella produzione, non già nel credito. Non si è mai domandato lei, a quale causa si debbano ascrivere i terribili rovesci finanziari di questi ultimi anni?

Alla febbre delle speculazioni, dicono!

La febbre delle speculazioni, signor mio, è una frase, che non ha un significalo preciso. La speculazione, nel linguaggio comune, non è altro che: lavoro con un lato di rischio. Il dire adunque che la causa dei grossi rovesci finanziarii sia nella smania di speculazione sarebbe press'a poco come dire che la causa di una morte in duello sia la smania di esercitarsi in sala di scherma o al bersaglio. Dio volesse che agli Italiani s'aumentasse a mille doppi la smania di lavorare speculando, giacchè per tal modo s'aumenterà la produzione nazionale e potremo toccare quel desiderato punto, in cui le statistiche segneranno una esuberanza di esportazione in confronto della importazione. Lei vede, adunque, che non è la smania di speculazione, ma è il modo di speculare, è il voler guadagnar senza lavoro, quello che conduce a rovina. Ora il modo è precisamente ed essenzialmente fondato sul credito, il quale oggi non è più ciò che era una volta. Il credito una volta era la fiducia che si aveva nella onesta d'un terzo, non solo, ma della capacità che egli avesse di far fruttare il capitale prestato, in modo da cavarne l'ammortamento graduale o la restituzione in una sol volta, non che il proprio mantenimento e gli interessi. Che cos’è oggi invece il credito? Oggi non è altro che quel giuoco che si fa in conversazione quando non si ha nulla di meglio a proporre e che noi Milanesi chiamiamo: pizz tel doo pizz tel mantegni.

Ciò che ella diceosservò Osvaldo — varrà forse nelle grandi intraprese e pel credito degli Stati; ma nel caso mio il credito deve essere appunto tutto personale, tutto di fiducia, tanto che se le restituzioni non accadranno la perdita non intaccherà che il mio capitale e non quello dei terzi. Ora io sono preparato a perdere anche un piccolo milione per tastare il polso alla onestà milanese.

Quand’ella mi dice così non ho più nulla a replicare! — sclamò ridendo il notaioà tot seigneur, tout honneur! e tirò una riverenza.

Io ho, si può dire, l'incarico segreto, il fedecommesso di perdere un milione di franchi allo scopo di seminare nel popolo lombardo la idea che il galantomismo possa essere anch'esso una buonissima speculazione.

Non c'è che dire! — sclamò il notaio. — L'idea è grande.

Non è dunque il timore di perdere danaro che mi trattengacontinuò il Millo, — ma un dubbio di tutt'altro genere, vale a dire che i Milanesi non abbiano a crederla una burla. Dico il vero, se non si presentasse alcuno a chiedere danaro ne sarei mortificato.

Questo, magari, non lo crederei! — sclamò il notaio ridendo.

Eppure io ho imparato a mie spese a dover credere nella incredulità e nella diffidenza umana per tutte le azioni generose, di cui non si può capire a prima vista il movente. L'anno scorso a Madras venni in discorso con un Inglese sullo scetticismo umano, in fatto di disinteresse. Io ero ottimista, egli pessimista; allora per guarirmi egli mi propose la famosa scommessa che lei forse conoscerà. Cavò una guinea dalla borsa, e promise con me che sarebbe andato in giro gridando: chi vuole questa sterlina per una roupia, io gliela cedo, e che durante un'ora non sarebbe stato capace di trovare con chi barattarla. A me la cosa parve inverosimile e accettai la scommessa. La crederebbe? I passanti, udendo quella strana proposta si fermavano sorridenti a guardar l'Inglese, poi alzando lo spalle, tiravano di lungo. Altri gli stavano intorno e come gente superiore ad ogni gherminella spiavano se fosse venuto il gonzo che si lasciasse adescare. Non ci fu che un povero marinaio italiano, il quale avrebbe arrischiato volontieri il soldo contro la insidiosa guinea; ma questi non l'aveva! Io perdetti la scommessa.

Le faccio osservarerispose il notaio — che la cosa è assai differente. Nel caso dello Inglese la stravaganza è manifesta e nello stesso tempo mette sospetto. Nel caso della Banca dell'onore invece è manifesta la idea del beneficio morale e sociale, e di mistero non ce n'è, ce ne può essere. Tutt'al più si potrà sospettare che possa mancare il capitale, ma se lei vuol distruggere anche questo pericolo, non ha che a far deposito della somma destinata alla scopo, in modo che la esistenza della somma e la serietà della istituzione siano accertate per mezzo di atto pubblico.

No; questo saprebbe di ciarlataneria, che io detesto. Io ho disposto un milione allo scopo, ma voglio far la cosa molto modestamente. Chi non ci crede, tralasci!

Il notaio strabiliava di aver trovato un originale di tanta forza; ma si raccolse subito nella gravità della sua professione e disse:

Avrei piuttosto a farle un'altra piccola osservazione.

E quale?

Ella mi ha detto di aver fissato al quattro per cento l'interesse delle somme che presterà.

Ebbene?

Questo non mi sembra opportuno.

Perchè?

Perchè in tal modo la sua banca sarà invasa anche da speculatori, i quali potranno dare una eccellente garanzia di restituzione, ma verranno a levare da lei il danaro al quattro per cento, per darlo a prestito ad altri al nove, al dieci, al venti, al cinquanta per cento.

Ah no signoresclamò Osvaldo Millo — ciò non accadrà. Io non concederò prestiti se non a coloro, i quali mi persuaderanno che non li levano per farne mercato; se non a coloro, insomma, i quali non potrebbero trovare prestiti in altro modo.

E come potrà sapere la signoria vostra? — domandò il notaio

Non la tema! Avrò un piccolo ministero di polizia. E poi gli occhi!

Il notaio si levò.

La ringrazio del disturbo ch'ella si è presa per me — disse Millo stringendogli la mano.— Ella accetterà spero di essere il notaio della mia banca.

Questi si curvò in segno di adesione e così si lasciarono.

 

 


Precedente

Successivo

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA1) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2009. Content in this page is licensed under a Creative Commons License