IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
CAPITOLO XI.
Osvaldo decise di non render pubblica la sua istituzione, che a Milano sarebbe sembrata una ciarlataneria o uno scherzo.
Lasciò che la voce se ne spandesse intorno senza alcuna pubblicità, aspettando chi volesse presentarsi.
La cosa anche oggi si sa da pochissimi.
I pochi che ne udirono parlare la credettero una mistificazione. Di giornali due soli ne toccarono. Nell’Unione del 19 settembre 1876 leggonsi queste parole:
«Un ricchissimo signore italiano che ha fatta fortuna all'estero, e sarebbe morto in mare il settembre scorso, ha lasciato per testamento d'istituire in una città d'Italia e anche in varie, a scelta del suo erede, una Banca di prestiti garantiti sull'onestà del mutuatario all'interesse del 4 per cento all'anno».
Verso le tre e mezza del sabbato seguente un giovine, dopo essere passato innanzi e indietro due o tre volte dalla porta della casa dove gli avevano detto che dimorasse Osvaldo Millo, prese il proprio coraggio a due mani, come dicono i Francesi, ed entrò.
— La Banca dell'onore? — domandò al portinaio.
— Banca dell'onore? — sclamò questi — Non conosco.
— Ah! sta là sotto al portico.
Il giovine traversò il cortile, spinse l'uscio con disinvoltura ed entrò in una bella anticamera, tutta linda e profumata dall'olezzo di fiori, che stavano intorno in vaghi cesti di vimini; e una cappa nera gli disse con dolcezza.
— Vuol parlare col signor conte?
— Appunto.
— La entri là, e la si diriga al segretario.
La seconda stanza era più ricca della prima, ma più severa.
Il giovine gli si avvicinò sorridente e senza falsa modestia.
— Stamattina ho sentito parlare di una specie di banco — diss'egli fra l'incredulo e il grave — e sono venuto per assicurarmi che...
— Che la cosa è sussistente? — lo ajutò Mario.
— Precisamente.
— Lei fa domanda di prestito? — domandò il segretario.
— Appunto.
— Favorisca a venire con me — disse l'altro levandosi. — Andremo dal direttore, che si farà un dovere di ascoltarla.
Il giovine, che all'aspetto e all'abito, non si sbagliava a dirlo un artista, restò lì un momento come perplesso, poi chinò il capo e seguì il segretario nel gabinetto, pur un altro uscio su cui stava scritto direzione.
La era questa una magnifica stanza quadrata a tre finestre, che davano su un giardino. C'era in essa un confortabile squisito, e nessun lusso. Sedie maestrevolmente imbottite, che coi bracciuoli ricurvi sembravano tanti inviti a sedere; c'erano quadri di autori appesi alle pareti, due grandi librerie piene di volumi, e un pianoforte.
Vi spirava un'aria imponente di severità e di grandezza.
Osvaldo Millo, al suo scrittoio stava leggendo la Rivista di Edimburgo. Levò il capo, salutò Mario e vedendo lo sconosciuto visitatore starsene sulla soglia, stese la mano e gli disse:
— Venga avanti signore.
Mario lo presentò, e Millo lo invitò a esporre la sua domanda:
— Sarei indiscreto — incominciò l'altro — se la pregarsi di dirmi il programma di questa banca.
— Questa è una istituzione privata, la quale si propone di venir in aiuto con piccole somme a coloro i quali, non avendo per garanzia di restituzione che l'onestà, non potrebbero trovare danaro o non potrebbero trovarlo che ad usura.
— Io sono precisamente in questo caso — rispose il giovine.
— Steno Marazzi ex garibaldino.
— Vuol ella dirmi la somma che le abbisogna, e a che scopo?
— Deve sapere che io ho 28 anni, e che per quanto cerchi di vendere i miei scritti e i miei quadri ci riesco poco, perchè assolutamente non so fare e sono troppo inesperto per riuscirvi con profitto. Vivo con mia madre, e dò qualche lezione di letteratura e di disegno, ma anche qui c'è un guaio: io, non so il perchè, m'imbatto sempre in scolari che non hanno la bosse del disegno, e dopo cinque o sei lezioni, vedendo che non ne caverei nulla di buono, li consiglio a smettere, e così perdo le lezioni; perché: o mi danno ascolto e cessano; oppure, siccome nessuno vuol sentirsi dire la verità, cambiano il maestro. Gli altri maestri so che non fanno così! Ma io non sono capace di non dire la verità.
— Ebbene?
— Avvenne che, l'altro giorno, mia madre mi raccontasse ridendo di aver avuto un sogno, nel quale gli erano comparsi tre ministri del Regno d'Italia: Minghetti, Sella, e Ricasoli, recanti ciascuno un cartello su cui stava scritto un numero, e mi soggiunse: Io non ho mai messo al lotto di mia vita, ma questa volta mi parrebbe far torto a quei tre signori, se non mettessi i loro numeri. Quando esci, entra in un botteghino e giuocali; e mi lasciò sul cassettone i tre numeri col danaro su una cartolina. Io risposi di sì, ma poi quando fui in strada, tenni la mia brava cartolina e il danaro in tasca e mi scordai di metterli.
— E sortirono! — disse Osvaldo.
— E lei teme forse che sua madre non creda che la fu una dimenticanza?
— Oh questo no — rispose il giovine — io sto certo che mia madre mi crederebbe, ma ne avrebbe una scossa, e un disinganno grandissimo, che io vorrei risparmiarle. Tanto più che se ella sa di aver vinto questi danari deve aver già fatti dei conti molto seri. E il disinganno sarebbe atroce. E poi la si metta nei miei panni; con che viso dovrei presentami a lei a mani vuote?
— Lei dunque userebbe della somma che io le presterei per rimediare a quella dimenticanza?
— Sissignore.
— E quand'è che ella spererebbe di poterla restituire?
— Non appena potessi vendere i quadri che ho nello studio.
— Di paesaggio. L'Alpe del Romitorio e un bosco.
— Ebbene mi lasci la sua domanda colla cifra della somma che la mi chiede, e domani il mio segretario le darà la risposta. Dove dimora lei?
Steno gli disse il nome della via dove stava di casa, ma si grattò in testa malcontento.
— È troppo aspettare, forse?
— Dio mi guardi — disse — dal pretendere qualche cosa di più; ciò che ella mi promette è già tale speranza di beneficio che sarei molto indiscreto se non le dimostrassi tutta la mia riconoscenza; soltanto che...
— Che cosa?
— Oggi mia madre avrà saputo i numeri usciti, e mi aspetterà colla somma riscossa o col biglietto. Io dovrei presentarmi a lei senza nè l'uno nè l'altra.
— È vero! — sclamò il Millo. — Il caso è urgente!
«Non ho bisogno di informazioni! La fìsonomia non falla».
Aperse il cassetto dello scrittoio, ne trasse una cartolina, su cui stava stampato: Bono di Cassa, pigliò la penna in mano e tenendola sospesa domandò a Steno:
— Di quanto la somma?
— Il lotto mi avrebbe pagate circa cinquemila lire.
«Pagate al porgitore la somma di lire cinquemila, facendogli firmare questo bono che vi servirà di ricevuta e come obbligazione del debitore».
Lo timbrò e lo porse allo scapigliato.
— Che cos'è questo di grazia? — domandò il Marazzi.
— È il buono, che le deve servire per riscuotere alla cassa il danaro — rispose Millo col tuono di voce naturale e indifferente d'un banchiere, che sbrighi una delle più ordinarie operazioni del suo ufficio.
Steno spalancò gli occhi. Guardò alla cartolina, quasi non credendo a sè stesso, si levò, e con voce leggermente commossa, disse a Osvaldo e a Mario, che lo stavano osservando:
— Dallo stupore che vedo dipinto nei di lei tratti — ripigliò Osvaldo Millo colla stessa calma di prima — capisco che ella non aveva molta speranza di ottenere questo prestito. M'inganno io forse?
— No davvero! — sclamò il Marazzi — La è una avventura tanto straordinaria e nuova, che in verità c'è da strabiliarne. Giacchè, infine, ella non sa chi io mi sia, non la mi conosce, non le ho quasi detto chiaramente il mio nome.
— Caro signore! — rispose Osvaldo — Queste cose o non le si fanno, o le si fanno così, senza di cui perderebbero ogni merito di spontaneità. Se io la conoscessi, la cosa non avrebbe alcun rilievo. Sarebbe uno dei soliti prestiti fra amici. Del resto ella dice che non so chi ella sia; io so che ella è un galantuomo, perchè questo lo si vede. Per ingannarmi sarebbe necessario ch'ella avesse nell'animo un grado tale di ipocrisia e di cinismo, da metterla nel rango dei genii del delitto. Tutte cose impossibili in un artista, in un garibaldino, in un Milanese!
— Eppure nessuno mi crederebbe se io uscito di qua raccontassi ciò che mi accade.
— Questo è probabile!
— Nessuno fra i miei amici fra cui se ne parlava era di avviso che questa Banca non fosse una solenne mistificazione, oppure una satira all'attuale Banca del popolo, che si chiama appunto così perchè il popolo non c'entra menomamente.
— Credevo che i Milanesi non fossero di così poca fede.
— Tutti si domandano a che scopo?
— È dunque così inverosimile lo scopo di fare il bene per il bene? — domandò il Millo.
— Pare di sì. Molti poi asseriscono che si deve andare a rischio di restare compromessi.
— Chi sono questi che dicono così?
— Gli agenti di cambio e i banchieri, i quali pensano essere impossibile che non ci sia sotto un tranello! Ella però m'assicura, n'è vero, che non c'è da restar compromesso accettando questi danari?
— Sta a vedere — sclamò Mario — che i signori banchieri vorrebbero che noi dessimo loro delle garanzie!
— Non c'è che un caso solo in cui ella potrebbe restare seriamente compromessa.
— E quale?
— Nel caso che, trovandosi in grado di restituire il danaro, non lo restituisse.
— Oh questo non accadrà certo! — sclamò Steno con una grande convinzione.
Ma s'arrestò leggermente sfiduciato:
— Però se non potessi restituirlo neppure entro un anno che cosa accadrebbe di me?
— Io aspetterò — rispose Osvaldo — ch'ella lo possa l'anno venturo. Oh non la dubiti! Il giorno che lei sarà in grado di far il suo dovere io lo saprò quanto lei. Allora, o ella è galantuomo e sta bene, o ella non lo è e io ho i mezzi di svergognarla in modo da essere costretto a fuggire da Milano, e sarebbe perseguitato dovunque avesse a nascondersi, fosse pur nel cratere dell'Etna o in un deserto dell'Oceania.
Steno annuiva, mentre Osvaldo pronunciava queste minaccie.
Poi domandò:
— E gli interessi quando si pagano?
— Alla restituzione, nella misura del 4 per cento all'anno.
— La è una mille e una notte bancaria codesta!
— La cassa è di là. — disse Mario — Lei sottoscriverà questa cedola col suo indirizzo e il cassiere le conterà il denaro.
Osvaldo Millo gli stese la destra, gli disse:
— A rivederla.
E il Marazzi uscì dietro il Mario.
In quel breve tragitto se egli avesse voluto dire di essere felice non l'avrebbe saputo. Il martello, che aveva provato poco prima, all'idea di avere, per la propria sbadataggine, perduta quella somma di denaro, e del dovere presentarsi a sua madre colle mani vuote era cessato, e, al vedersi servito di barba e di parucca in quel modo, avrebbe dovuto provare una gioia immensa. Eppure no. Una vaga inquietudine ed una sottile amarezza gli offuscavano la soddisfazione. Perchè? È difficile saperlo appuntino. Si trovava forse un poco umiliato da quel benefìcio senza ragione, senza corrispettivo? O forse si pentiva di non averne chiesti di più? Chi non sa che il cuore è continuamente zimbello delle più flagranti contraddizioni? Quante volte la tristezza ci assale tanto più fieramente quanto più ci regna intorno il tripudio degli altri! Quante volte l'amore s'accende e resiste se disprezzato, mentre si spegne appena corrisposto!
Steno andò al cancello della cassa dietro cui stava un vecchietto arzillo e pulito; gli rimise la cedola, con un sorriso quasi èbete. Quanto più s'avvicinava alla fortunata catastrofe, tanto più gli pareva di sognare, sapendo di sognare.
Il vecchio prese il bono, lo guardò, poi lo ripose dinanzi al giovine e accostò alla mano di lui il calamaio, dicendo:
— Favorisca a firmare e a mettere il di lei indirizzo.
E intanto che Steno scriveva si volse alla cassa, ne levò i biglietti, li guardò attraverso e li contò dinanzi al Marazzi, fissandolo negli occhi.
Steno al vedere sotto le mani la realtà dell'ormai certo, indiscutibile, palpabile danaro pensò a sua madre e si sentì montare dalle dita dei piedi e scender giù dalla radice dei capelli un sottil fremito, che correndo per le ossa e per le vene gli rifluì al cuore... e fu preso, di colpo, da una sterminata voglia di ridere.
Ma si trattenne.
La gioia gli gorgogliava in petto!
Intascò quei biglietti, guardandosi intorno, come se li avesse rubati, e se ne andò, quasi correndo, verso casa.