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CAPITOLO XII.
Passando la soglia della sua porta Steno Marazzi fu colpito da una perplessità.
Se sua madre l'avesse interrogato le avrebbe detto il vero, o le avrebbe lasciato credere d'avere riscosso quel danaro all'amministrazione del lotto?
Gli seccava di confessarle la propria storditaggine, ma capiva che non sarebbe stato capace di reggere la finzione. E se confessava? Addio il beneficio e la gioia della vincita! Il debito sarebbe pesato a lei più che a lui stesso! Era in un imbroglio!
Risolse di acconciarsi alle domande. Aveva veduto da lungi, alla finestra, la buona donna, che lo aspettava, e che, scortolo appena spuntare dal canto della via, gli aveva fatto colle mani un segno di gioia. Egli annuì col capo e rispose con un gesto, che voleva dire: li tengo qui in tasca.
Quella somma cadde giù alla buona donna assai più benefica che non la manna agli Ebrei. Si era al punto di dover fare vendetta al rigattiere dei quadri che Steno destinava all'Esposizione. Ella benedisse il lotto, e i ministri veduti in sogno, e la propria ispirazione; poi cominciò a fare progetti fioriti, e Steno fu salvo.
— Lasciami qualche cosa — le disse — perchè presto dovrò fare una corsa a U....
Sua madre credeva che egli vi andasse ancora per studiare dal vero. Gli lasciò cento franchi.
—Vai solo? — gli domandò — o colla Miette?
— No m'accompagna Bamboccia.
La signora Elisa fece la brutta ciera.
— Che vuoi? È lui che mi sta ai panni. Io non lo cerco punto; però egli ha molta affezione per me.
— Ho idea ch'egli sia un poco di buono.
Steno non rispose. Salì nello studio e si mise a lavorare.
Allora stava dando le ultime pennellate alla gran tela dell'Alpe del Romitorio.
Non era gran cosa, ma la via nuova vi era tentata con talento.
I suoi colleghi, e i suoi amici — il che non è sempre lo stesso — per quanto ritrosi a lodarlo convenivano fra loro che d'ingegno ne avesse da vendere. Ciò che invece non riusciva a vendere erano le tele, perchè non sapeva assolutamente darsi attorno e farle valere. Finiva col venderle sì, ma al rigattiere, quando passava dal suo studio a portargliele via, pagandogliele poco più del costo dei colori.
Il giorno dopo egli se ne stava appunto dinanzi al quadro, che non rifiniva di tormentare, quando entrò un servitore di piazza, seguito da uno sconosciuto.
— In che cosa posso servirvi? — domandò Steno al Cicerone.
— Non la mi ravvisa?
— Ah voi siete il Modello?
— Sissignore, sono il Battista — rispose l'altro, mentre lo sconosciuto messo a cavallo del naso un pince-nez, stava curvo dinanzi la tela. — Sono il Battista, stufo di fare il modello, perchè già tutti si diventa vecchi; e poi anche un poco per il naso, che mi si è inviperito e non mi lascia più quella bellezza per la quale...! Ho pensalo bene di godere la lingua tedesca. Mi sono messo a fare il servitor di piazza, e siccome lei sa che per lei andrei anche nel fuoco....
— Davvero? Perchè? — domandò Steno.
— Perchè! — sclamò il Battista che era leggermente brillo. — Mi domanda il perchè! Oh bella! Perchè lei mi è simpatico. Perchè lei non è un aristocratico, come certi altri pittori, che conosco io... Perchè, vede signor Marazzi, io ho fatta un'osservazione, ed è che quando io le cavo il cappello a lei, lei me lo cava a me, dopo avermi detto: Ciao. E quella risposta col cappello non può immaginarsi che piacere mi faccia, mentre certi altri che hanno superbia, perchè io sono un povero modello, mentre loro sono artisti, quando io cavo loro il cappello in strada, loro mi dicono ciao, senza neppur toccar l'ala del cilindro. Cosa credono di essere? Parlo bene? E dire a dire che me lo cava il Re, e anche il principe Umberto, se io li saluto, e loro non me lo caveranno? Non è una cosa normale!
E chissà quanto avrebbe tirato innanzi il Battista se Steno, che, pur rideva, non gli avesse domandato chi fosse lo straniero.
— Ah sicuro! — rispose il servitor di piazza. Il signore è un Prussiano, che è grande amatore di belle arti e stamattina, come si fa, mi domandò quali fossero a Milano i pittori giovani di maggior voga ed io naturalmente gli ho nominato lei prima di tutti, perchè va bene se lei mi cava il cappello.... è giusto che...
— Di maggior voga io? — lo interruppe Steno dando in un nuovo scoppio di riso! — È la prima volta che sento questo!
— Io amerei comperare questi quadri se sono liberi — disse il Prussiano.
— Altro che liberi! — sclamò Steno — non aspettavano che la signoria vostra.
— Io amerei sapere la domanda di prezzo — continuò lo straniero piegando l'una sull'altra le lenti del suo occhialetto e facendole rientrare nella teca.
— Il signore domanda per dire a dire, qual è il prezzo di questi quadri? — saltò su frastagliando le parole fra le labbra il buon Battista, che cominciava a risentire più forte gli effetti dell'acquavite tracannata poco prima.
— Ho capito — disse il Marazzi — ma...
Era forse la prima volta dacchè dipingeva, che gli si presentasse questo caso. Nella sua magnifica noncuranza del denaro egli non aveva ancora preveduto che un Mecenate potesse venir in persona nel suo studio a chiedergli il prezzo dei suoi lavori. Perciò — pare incredibile ma è autentico! — la domanda del Prussiano, gli fece pressapoco l'effetto che farebbe a Schiapparelli il domandargli se sarebbe disposto a vendere la luna.
— Capisco — osservò il Tedesco, male interpretando quella titubanza — capisco che lei forse non è disposto a venderli.
— No, no, tutt'altro! Solo pensavo che il farmi dire il prezzo da me...
— Voi forse volete troppo prezzo?
— Troppo? Io non so se sia troppo!
— Non temete, perchè io sono pronto a darvi quello che voi domanderete.
— Parla bene! — sclamò il Battista dolcemente. — Non par nemmeno un Prussiano!
Ma Steno fece un gesto sublime. Gli doleva di essere creduto esoso.
— Non è per questo, Dio me ne guardi. Ma gli è perchè finora io non ci ho ancora pensato. Del resto che importa il prezzo? Se non fosse che bisogna pur vivere e pagare i debiti, io sarei contento di dipingere gratis. E lei signore se è, come credo, un conoscitore mi dirà se non altro che questo luogo che io son andato a scoprire è una maraviglia... perchè lei saprà anche, come tutto stia nella scelta del luogo! Veda signore che toni! Io naturalmente, non avrò saputo renderli, come avrei dovuto, ma anche sotto alle debolezze del mio pennello, come si capisce che quello doveva essere un sito delizioso! Non è vero?
— Sì, sì, molto delizioso!... rispose il Prussiano.
— La si figuri, là sul luogo, questi effetti di sole e questi riflessi nell'acqua e queste ombre, giù lontano! Una vera splendidezza di natura! La si tiri un po' indietro... così. Questi toni io non li ho mai potuti trovare in nessun altra ora del giorno. Toni ardenti e toni freschi nello stesso tempo! Questo è il sublime dell'arte giacchè è troppo naturale che l'ardente uccida il fresco e non soltanto in pittura. Il nordico e il meridionale fusi in un color solo è qualche cosa che non si trova che in Italia!
Il Prussiano a sentirlo parlare così credette che egli volesse far valere sempre di più la propria opera e gli disse:
— Non vi nego che è assai bello, ma infine esso avrà bene un prezzo!
Steno non udì. Era tanto infervorato nella sua ammirazione, per così dire postuma, di quel luogo, che gli rammentava anche l'incontro con la splendida Claudia, che continuò:
— Il difficile, vede signore, era quello di fissare il punto unico, sul quale raccogliere e fissare l'attenzione. Perchè, vede quanto orizzonte! Ce n'erano tre di punti da copiare e tutti belli e io voleva rappresentarli in una tela, sola, tutti e tre uniti. Ma c'era il rischio che l'occhio svagasse disperso...
E avrebbe continuato a dilungo anche lui chissà fino a quando, se il Battista non gli avesse dato del gomito nel fianco, sclamando:
— Il signore, per dire a dire, è persuaso di spendere. La sputi una volta.
Poi voltosi al Prussiano gli chiese:
— Vuole questa tela soltanto o anche quest'altra ?
— Io compero tutto quello che c'è da vendere — rispose il Prussiano.
— Non sono che due — osservò il Marazzi.
— Dunque?
— Bene, dite voi Battista. Io starò a quello che direte voi.
— Lei mi permette signore, che la faccia io questa benedetta domanda? — chiese il Battista allo straniero.
— Ebbene, facciamo dunque così. Il quadro grande vale benissimo quattro mila franchi, e questo mille e seicento che fanno in tutto cinquemila e seicento; parlo bene?
Il Marazzi diventò color di ciliegia. Un'ingiuria non gli avrebbe fatta arrubinar la fronte così, come l'inaspettata domanda del Battista.
Egli pensava che se avesse dovuto venderli come il solito non avrebbe preso più di mille franchi di tutti e due.
Ma la sua maraviglia non ebbe più limite, quando, per tutta risposta, il Prussiano si sbottonò il soprabito, pose la mano nella tasca interna, ne trasse il portafogli, levò cinque biglietti da mille e sei da cento e li porse a Steno dicendo:
— Ecco signore. Se voi volete farmi una piccola ricevuta, io manderò poi più tardi il facchino dei mio albergo a pigliare i quadri. Battista ritirateli e preparateli lì di fuori in anticamera.
— Ricevuta! — sclamò Steno a cui brillava il cuore. — Il difficile sarà forse a trovare un calamaio in questi paraggi.....
Il Prussiano staccò dal portafogli un foglietto vi scrisse su colla matita, e la presentò al Marazzi da firmare.
Questi stava per mettervi il suo nome, senza neppur leggerlo, colla matita che il Prussiano gli rimetteva, quando s'accorse che invece di 5600 la ricevuta portava la somma di 6500.
Fece osservare lo sbaglio a quell'altro.
— È vero — disse senza scomporsi il Prussiano — Ho sbagliato!
Di quella cartolina ne fece nel pugno una pallottina che buttò via, ne scrisse un'altra, cui Steno pose il suo nome poi salutò gravemente il pittore, e se ne andò.
— Voi Battista lasciatevi vedere più tardi — gli sussurò dietro il Marazzi. — Non ho spiccioli!
Poi stette immobile un buon minuto, cogli occhi fissati sull'uscio, da cui erano usciti i due visitatori, guardò ai biglietti di banca che aveva deposti su uno sgabello quando gli toccò firmare la ricevuta e fregandosi le mani con quel giubilo onesto che dà il pensiero di una buona azione.
— Vado subito a restituire le cinque mila lire alla Banca dell'onore — disse. — I quadri ora che ho gli studi in pochi giorni li rifaccio; li so a memoria; così la mamma forse non s'accorge neppure ch'io li abbia venduti. Lo dirò, se viene in studio, che li ho prestati ad un amico. Lavorando otto o dieci ore al giorno, in un paio di mesi, li posso metter lì tutti e due.
Mentre si lavava le mani per uscire entrò Bamboccia tutto trafelato.
Si capiva che aveva fatti quattro a quattro i gradini della scala.
— Che c'è di nuovo? — gli domandò Steno.
— C'è, c'è una cosa incredibile! — sclamò l'amico Ciliegia, mettendo la sua trippa a sedere. — C'è che Gignous ha venduto stamattina due acquarelli.
— Tanto meglio per lui! — sclamò il Marazzi.
— Sì non dico! Sai che io non sono invidioso; ma però è un ingiustizia. Ti aspettavi tu che Gignous, vendesse i suoi lavori, mentre nè io nè tu non abbiamo venduti ancora i nostri.
L'ingenuo rammarico di Bamboccia — che, ben inteso, non era che una lurida finta — fece ridere Steno.
— Povero amico! — sclamò, mentre si asciugava le mani.
L'amico intanto si guardava attorno.
— Ma dico! — sclamò — dove sono andati i tuoi?
Steno non rispose e continuò a ridere.
— Sta a vedere che anche tu li hai venduti senza dirmi nulla? — gridò Bamboccia come se si fosse trattato di roba propria.
— Vedi che combinazione! Ti assicuro che anch'io fui sorpreso di ciò che m'è capitato. Credo che quel Prussiano se ne intendesse di quadri, come io di far tegole. Sono di là!
— Ma che Prussiano ?
— Quello che mi condusse qui il Battista il servitore di piazza.
— Dunque, in poche parole, li hai venduti?
— Sicuro.
— Quanto ?
Steno alzò la destra con cinque dita spiegate.
— Cinquecento? Poco!
— Cinquemila e seicento.
Bamboccia saltò in piedi; poi piegò la testa da una parte sorrise e disse:
— Tu mi gonfi?
Steno per tutta risposta gli mostrò il denaro.
Bamboccia non voleva credere a propri occhi e, per quanto fosse maestro nell'arte del dissimulare, non potè trattenersi dal mostrare pungentissimo dispetto di quella fortuna dell'amico.
— Ti dispiace? — sclamò Steno che se ne accorse.
— No, ma questo tuo caso mi leva forse la occasione di farti del bene.
— Io era venuto per proporti un grosso affare.
— Quale?
— Hai tu letto qualche giornale francese di questi giorni?
— No. Sai bene che io leggo poco anche i giornali italiani.
Era la risposta che Bamboccia aspettava.
— Sappi dunque che un gran signore francese ha disposto due milioni di franchi per le decorazioni a fresco d'un suo castello, ed è venuto in Italia a cercare l'artista. Io conosco il suo segretario e ho pensato a te. Saresti tu capace di dipingere a fresco?
— Senza dubbio!
— Ci vorrebbe un fare michelangiolesco, perchè il segretario mi dice che i saloni di quel castello sono immensi.
— Cercherò di essere michelangiolesco — sclamò Steno ridendo,
— Ci sarebbe lavoro per due anni circa, con ventimila franchi all'anno, alloggio e vitto per te e per tua madre.
— Tu scherzi! È impossibile!
— Se vuoi li faccio firmare il contratto in regola.
— E dove sarebbe questo castello?
— In Bretagna, o in Normandia, non so bene.
— Dunque bisognerebbe che stessi due anni in Bretagna, o in Normandia?
— Sicuro.
— E dopo sarei padrone di quarantamila franchi?
— Sicuro.
— Se mi fai fare questo contratto ne do sei a te.
— No. Io non voglio nulla. Io lavoro per l'amicizia.
— Accetto subito.
— Ma bisognerebbe partire domani. Lui deve partire domani infallibilmente.
— E mia madre? — domandò. Poi fra sè pensò «E la Claudia? E la Mietta?»
— Tua madre può venire con te — rispose Bamboccia.
— Chi è questo signore?
— Non posso dirtelo se prima non mi assicuri che sei pronto a partire domani.
— Ma non si potrebbe differire...?
— No. Domani o niente.
Steno stette un poco pensieroso poi disse:
— Ebbene a domani.
— Bada bene ti toccherà star lontano di qua almeno un anno, e che il genere di pittura non sarebbe precisamente il tuo.
— Oh tu sai che ho coraggio. Basta che con questo lavoro mi possa far una piccola sorte e io sono pronto.
— La bella mi aspetterà. T'ho confidato averle io detto appunto l'altro giorno che non m'avrebbe più riveduto, se non quando o lei si fosse decisa ad essere povera come me o io fossi in istato di non aver bisogno della sua dote.
— Ebbene allora se esci ti presenterò al Mecenate.
— Volentieri. Ma prima permettimi di dire due parole a mia madre.
La signora Elisa sentì i progetti di suo figlio con dispiacere.
— Chi ti propone questo affare?
— Bamboccia.
— Ahimè! — sclamò, udendo quel nome per lei di malaugurio.
— Già tu non puoi vederlo!
— E il Mecenate chi sarebbe?
— Non lo so ancora. Te lo saprò dire quando avrò parlato col suo segretario o con lui. A rivederci.
Tornò in camera si svestì e uscì con Bamboccia.