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CAPITOLO XV.
Quando fu in strada si mise a correre verso l’Esquilino. Gli toccava di attraversare tutta Roma. Ma dato un centinaio di passi, riflettè che avrebbe dovuto domandare nuovi indizi della abitazione di sua madre, per non mostrarsi troppo a chiederne conto in tutte le porte di via Labicana,
Tornò all'albergo, e si mise subito a letto, tentando di dormire per trovare, senza troppa sofferenza, il domani. E quanto quella notte insonne gli sia sembrata lunga è inutile dirlo.
All'alba mandò un garzone in via Labicana a scoprir terreno. Questi tornò un'ora dopo annunciandogli avere trovato che la signora Clelia abitava in una camera a piano terreno, ad un tal numero che gli indicò.
I quartieri dell'Esquilino sono, come si sa, di recente costruzione. Su quel terreno dove s'elevava un giorno il memorando Castro Pretorio, e dove passava la via Tiburtina che conduceva Agrippa ai lavacri di Tivoli, la marra del giornaliero ha aperto le vie Rattazzi, e Fanti e d'Azeglio ed altri simili illustrazioni contemporanee più o meno mediocri.
Via Labicana è in gran parte un'antica strada. Mario la conosceva. Si ricordava d'essere stato da fanciullo in quei contorni in una certa vigna Manganelli, a mangiar fichi!
S'avviò, e dopo lungo girare si trovò perfettamente disorientato. Quei luoghi non avevano più nè l'antica fisonomia, nè i vecchi santi, e perfino la famosa sporcizia romana era quasi scomparsa; di immondezzai quasi punto nel nuovo quartiere.
Finalmente gira e rigira si trovò dinanzi alla casa indicatagli dal garzone ed entrò in essa, mentre invece a lui il cuore, voleva uscire dal petto.
L'uscio era aperto. Non ce n'era altri e non poteva sbagliare. S' avanzò, senza far motto, e si trovò di fianco alla spalliera di un letto. Là udì una voce di donna che parlava sommosso e in tuono pietoso:
— Vergine del buon consiglio! — diceva — che cosa vi salta in capo?
Egli s'arrestò non veduto, coperto com'era dalla spalliera del letto.
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— Per quanto me ne possiate dire, nessuno mi leverà dal capo la mia idea — seguitava la donna.
Un'altra vocina flebile e quasi spenta, rispose dal letto qualche cosa, che il Mario non potè intendere.
Ripiglió la prima:
— Perchè se è vero che Lui veda e Lui provveda non ci può essere ciò che temete; altrimenti la sarebbe una grama ingiustizia!
La donna a letto diede una risposta che pur non giunse fino all'orecchio di Mario:
— Non dirò questo! — sclamò la prima. — Il mondo di là chi vi dice che non ci debba essere? Quello che io vi dico si è che non può essere un luogo di tanta pena come ci vorrebbe far credere don Calisto.
— Sicuro che li troveremo tutti i nostri poveri morti. Chi vi dire di no? Che donna benedetta! Colle vostre fissazioni vi ammalereste anche se non lo foste già da un pezzo. Vi amareggiate continuamente la vita con queste memorie. Lasciate un po' andare! Ormai quello che è stato è stato. A quest'ora il vostro Beniamino è là beato ad aspettarci tutti noi, a braccia aperte; e credete che egli avrà già perdonato anche a quell'altro disgraziato, perchè lassù deve essere un luogo dove si perdona a tutti quanti.
Un singhiozzo represso fece volgere il capo alla donna che parlava. E vedendo là sulla soglia dell'uscio uno sconosciuto diede un sobbalzo sulla sedia e sclamò:
— Gesummaria che spavento!
Mario fu lesto a mettere l'indice attraverso le labbra. La donna si levò e gli mosse incontro:
— Chi è? — domandò la giacente.
— È una persona che cerca di me — rispose la vicina.
E uscì fuori sul ripiano con Mario.
— Che cosa desidera vostra eccellenza?
— Io sono mandato a portare un po' di soccorso alla malata — rispose Mario senz’altro — Ell’è la sora Clelia Arcangeli, non è vero?
Mario aveva cavato dal taschino del farsetto due monete d'oro e le mostrava alla donna.
— Oro! — sclamò quella che non ne vedeva più da un pezzo.— Ditemi, eccellenza, chi gliele manda, che io possa entrare a darle la bona nova.
— Ditele che gliele manda suo figlio.
— Suo figlio! — ripetè la donna un poco sgomenta — Quale figlio?
— Il solo che le sia restato.
— Il condannato?
— Vergine del dolore! — sclamò la donna — non so che ben fare allora...
— Perchè?
— Temo di recarle più dolore che gioia.
— Oh perchè?
— Bisogna dire che codesto sor Mario sia stato un gran cattivo soggetto... Lo conoscete bene, voi?
L'infelice a cui era diretta questa crudele domanda abbassò il capo sul petto, e, con una specie di ombrosa ritrosia, domandò:
— Credete voi, ch'ella non gli vorrà perdonare?
— Chissà! Ell’è fiera! Essa lo odia! Però è madre... Chissà! Venite con me.
Mario seguì la donna machinalmente, e si trovarono entrambi accanto al letto.
— Sapete la buona nuova, sora Clelia? — cominciò la comare — c'è questo signore che è venuto a portarvi del buon danaro.
E fe' saltare sul palmo le monete d’oro.
— Perchè? — domandò la malata con indifferenza.
E un lieve rossore colorò quel viso sfatto dai patimenti.
Allora volse gli occhi agrottati sulle sembianze di quello sconosciuto, che stava lì ritto e immobile a guardarla, e ve li fissò come attonita. Poi la sua fronte si oscurò terribilmente e da suoi occhi semispenti dardeggiò una strana luce. Cercò di alzarsi a sedere sul letto, mandò un gemito inarticolato e disse:
— È lui!
Un gran singhiozzo, trattenuto a stento, scoppiò allora dal petto dello sventurato. Lei, colle dita arroncigliate nelle coperte del letto, si sosteneva sollevata, cogli occhi spalancali nelle sembianze di Mario, come colpita da catalessi!
Disse a voce chiara, ma lugubre:
— Caino!
— Oh madre, madre mia! — gridò Mario disperato.
Le si buttò al collo, la ricinse amorosamente colle braccia, piangendo e baciandola sulla fronte, sulle guancie, sulla bocca, e articolando indistinte parole di pietà e di perdono:
— Caino, Caino! — ripetè la madre.
E si irrigidì nelle braccia di lui.
A quella nuova ingiuria il pover' uomo si ritrasse inorridito.
La madre cadde supina sul letto cogli occhi vitrei e spenti.
Mario aveva stretto fra le braccia un cadavere.
Il povero figlio uscì da quella casa come pazzo.
Chiudeva gli occhi che non potevano sopportare la luce del giorno, e le realtà della vita, poco prima quasi inavvertite. Ciò che succedeva, ciò che udiva intorno a sè, il rumore dei carri e dei venditori, l'indifferenza di chi andava pei fatti suoi, l'aspetto dei passanti, gli parevano una fantasmagoria uggiosa, insopportabile. Poi cercava di negare a sè stesso l'orrenda sciagura, riportandosi appunto a quella vita così non mutata da dianzi. Poi dubitava della propria ragione e della propria memoria. Ciò che gli era accaduto non poteva essere che un brutto sogno e chiudeva gli occhi e li riapriva come per destarsi. «È impossibile che una madre sia così spietata, pensava.» Ma ne era anche morta!
Si guardò intorno, e capì d'essere segnato a dito. Allungò il passo. Sentiva di riodiare gli uomini più che non li avesse odiati anche là nell'isola dell'infamia; ma, più ancora degli altri, esecrava sè stesso.,..
Di lì a poco tornava alla lusinga di un'allucinazione.
«Ho inteso male. — diceva — È impossibile ch'ella abbia pronuncialo la maledetta parola!»
Ma non c'era verso! L'aveva udita e riudita.
Che sconforto!
Quando appunto gli era cominciata a sorgere la speranza che la società gli fosse per rimettere il suo delitto, ripiombava nella fatale maledizione.
Senz'accorgersi era andato verso il Tevere; ma al suicidio non pensava ancora; lo intuì sordamente quando giunse sul ponte.
Mise i gomiti sul parapetto e la testa nelle mani che credeva gli scoppiasse.
I passanti si fermavano a guardarlo. Nè egli si curava di loro.
A un tratto un raggio di consolazione discese su quella tenebra di dolore. Fu come un arcobaleno dell'anima! Sentì una gioia improvvisa. Gli venne in mente che al mondo gli restava ancora un conforto.
La immagine di Forestina bella e amorosa gli era comparsa dinanzi e si sentì come salvo.
Giammai la tenerezza per la sua cara donna gli era entrata nell'anima con tanto ardore. Come sentì di adorare sua moglie in quel punto! Come le fu riconoscente del sollievo ch'essa gli apportava, senza saperlo.
Stette a Roma tanto per poter posare una corona di sempre vivi sul sepolcro recente e su quelli già antichi di suo padre e di suo fratello; lasciò una discreta somma perchè i preti dicessero delle preghiere in suffragio delle loro anime; ordinò le lapidi pei loro sepolcri; poi riparti per Milano, ansioso di stringere al seno la sua Forestina, la sola creatura che gli restasse da amare al mondo, in tanta desolazione.