Carlo Righetti, alias Cletto Arrighi
I quattro amori di Claudia

PARTE SECONDA.

CAPITOLO XVI.   Strappiamo i gelsi.

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CAPITOLO XVI.

 

Strappiamo i gelsi.

 

 

Le Millo e la Fox stavano da qualche giorno in campagna e il Mario a Roma, quando Osvaldo si determinò di lasciar Milano, per andare a trovarle. Tanto più che doveva conferire col sindaco di U... sui mezzi migliori di impiantarvi quel tale opificio, col quale tentar di trattenere dall'emigrazione i contadini del territorio, secondo l'ultima volontà del principe di Bandjarra.

 

Era un sabbato.

 

Egli giunse alla villetta, verso le quattro, e, dopo aver parlato colle tre donne di tutt'altro, domandò conto a un terrazzano del sindaco di U...

Gli fu risposto che quel giorno sarebbe stato a pranzo in castello.

In castello? — domandò Osvaldo — Che castello?

La villa del signor barone di Trestelle.

Che uomo è questo signor barone?

Oh una gran brava persona! Anzi se andrà a trovarlo gli farà un gran piacere. Egli invita tutti i forestieri a vedere la villa!

Ha moglie?

Sicuro. Vive colla moglie e una nipote, la signora Claudia.

Claudia! — ripetè Osvaldo.

E questo nome lo fece trasalire.

Ma non ci pensò più che tanto.

Egli sapeva che di Claudie ce ne sono molte in Italia!

 

Dopo pranzo s'avviò a piedi alla villa del barone.

Trovò un domestico che pisolava, seduto su una panchetta di sasso, accanto alla porta. Lo svegliò, gli domandò del sindaco e lo pregò di annunciargli la sua visita.

 

Fu introdotto nel vestibolo d'onde si scorgeva la lieta terrazza, sulla quale — tranne la Claudia, che quel giorno era a letto indisposta — stavano radunati press'a poco gli stessi personaggi dell'anno dianzi: il curato, il signor Filandro e il sindaco di U... grande spirito di contraddizione.

 

Un signore, arrivato in questo punto da Milano domanda di parlare con lei — disse il servo al sindaco, presentando al barone una guantiera, su cui stava un biglietto di visita.

Il barone lesse: Osvaldo Millo.

Chi sarà mai? — sclamò — non l’ho mai sentito a nominare questo Millo.

Il conte Osvaldo Millo! — sclamò il sindaco — È l'esecutore testamentario del principe di Bandjarra.

Ma fencasaltò su la baronessafenca, fenca afanti. Non c'è pisogno ti fare tanta complimenta, in campagna, tiafolo! Tanto più se è un conte.

Fallo venir avanti — disse il barone al servo.

 

La Miss abbajò, grugnì, guaì, si grattò, poi balzò in piedi ringhiosa.

Cenisio, scodinzolando, andò a fiutare il nuovo arrivato.

Non lo conosceva, ma era vestito bene, e veniva accolto con garbo dai padroni. A lui bastava!

Nessuno più aristocratico d'un cane!

 

L'abbordo fu cordiale; quale conviensi in campagna fra persone che non si conoscono, ma che si vedono volontieri.

Il solo a sagrare di quella visita fu l'ex consigliere Filandro. Il quale, in quel punto, stava discorrendo del grande onore, che gli aveva reso lo Shah di Persia, quando era venuto a Milano, e dei consigli che gli aveva dati lui per le riforme interne del suo Stato.

 

Osvaldo, dopo i convenevoli, espose il suo essere, e lo scopo della visita.

Il sindaco aveva avuta dalla Pretura di X.... ligure... una vaga comunicazione del lascito fatto dal principe di Bandjarra a favore del borgo di U... ma col suo spirito di contraddizione era andato a supporre che la fosse una solenne burletta.

Tanto più — disse — che il nome di Tomaso Bussi è sconosciuto a U....

Lo sorispose Osvaldo. — La è infatti una famiglia estinta. Il principe non lascia eredi legittimi. Egli partì da U... che era ancora fanciullo.... Ma conservò una memoria grata di queste montagne, e me ne parlava spesso a Madras, dove io lo conobbi; era preoccupato appunto dal fatto dell'emigrazione crescente...

Ma che emigrazione, che emigrazione, che emigrazione! — sclamò il sindaco che quando contraddiceva rinterzava sempre l'ultima parola del preopinante.

 

I miei lettori codesto sindaco lo hanno già sentito nominare, ma non abbastanza quanto si merita.

Il sindaco di U... è uno spilungone magro, con un enorme pomo d'Adamo, che non si cura di nascondere sotto alla cravatta. Insieme alla povertà di spirito spicca in lui come vezzosa appendice, uno spirito di contraddizione così insistente e formidabile, da avergli meritato, nel suo villaggio, il titolo di dottor Negativa. La contraddizione, è in lui, un bisogno, una seconda natura, una necessità! Piuttosto che assentire ad un'idea altrui morirebbe sul rogo come Giordano Bruno.

Sua moglie, che conosce l'umor della bestia, ottiene da lui tutto ciò che vuole dicendogli sempre all'opposto di quello che pensa di conseguire. Lo spilungone sindaco non s'è ancora avveduto dal giuoco, e ci casca sempre.

 

Osvaldo Millo che invece non lo conosceva udendo la triplice negativa, gli guardò in faccia con una certa sorpresa; poi si volse al barone.

Lei, signor barone, che m'hanno detto essere uno dei maggiori possidenti di qui, sarà in grado di darmi dei consigli e unirsi a me per far le cose meglio che si può, a seconda del testamento.

Il barone, fece l'atto modesto di chi vorrebbe lasciar credere di non esser degno dell'onore che gli si rende.

Il Millo continuò.

Oltre al vantaggio immediato che un grande stabilimento industriale arreca ad un paese, il principe di Bandjarra opinava che esso sarebbe anche un mezzo di attaccare al suolo i padri dei fanciulli che vi avrebbero trovato lavoro, giacchè, fatti così più agiati, gli adulti non sarebbero spinti a lasciare la terra, che forse oggi da sola non basta a sostenerli.

Stupende idee! — sclamò il barone.

Ma intanto fra andava ruminando:

Fosse mai un fior di imbroglione, codesto fiorentino? Timeo danaos et dona ferentes.

La è questa una idea altrettanto cristiana, quanto spontanea, la quale ricorre molto spesso nelle menti dei banchieri, del giorno d'oggi!

A nessun altro sarebbe venuto un tal dubbio! L'aspetto di Osvaldo parlava troppo in suo favore! Ma lui... eh sì... lui... era uomo pratico! Lui non si lasciava consigliare dalla fisionomia. Pas si bête!

 

Il principeprosegui Osvaldo Millo — aveva poi altri progetti su cui confesso di non poter dare un giudizio. Egli per la lunga convivenza cogl'Inglesi, non approvava il sistema di agricoltura a mezzadria, che credo essere in voga qui in Lombardia. Diceva che è un metodo antidiluviano, soggetto alle stolide abitudini di contadini ignoranti e superstiziosi, e avrebbe applicato anche qui l’higt farming, che fa così buona prova in Inghilterra, promovendo quella nobile casta dei gentiluomini campagnoli, che sono la provvidenza del contado.

Ma che campagnoli, che campagnoli, che campagnoli! — sclamò il sindaco.

Qui parlò anche il consigliere Filandro:

Mi ricordo, quando io era in Inghilterra e invitavo a pranzo qualche volta quel buon diavolo di lord Parlmenston, che anche lui era del parere, che noi specialmente in Lombardia, che siamo coltivatori di bachi da seta, abbiamo bisogno invece del sistema della mezzadria.

Come dico io non potrei esser giudice competente. Però giacchè lei ha parlato dei bachi da seta mi permetto di pigliar la palla al balzo. M'hanno detto che quest'anno il raccolto dei filugelli fu debolissimo. È vero?

I tre assentirono.

Io ritorno dall'India dove la coltivazione dei bachi da seta in questi ultimi anni ha raggiunto un grado di perfezione che deve dar molto a pensare alla Lombardia.

Ma che pensare, che pensare, che pensare! — sclamò il sindaco.

Osvaldo Millo cominciava a pigliar gusto a quella triplice contraddizione.

Guardò in faccia al barone, che tratteneva a stento il riso. Capì presso a poco con chi avesse a che fare e proseguì:

Il principe di Bandjarra mi soleva dire di aver preveduta da molto tempo la rovina della coltivazione serica in Lombardia.

Ma, caro lei, quando sarà cessata totalmente l'atrofia ritorneranno i bei tempi della nostra seta! — interruppe il sindaco.

Ecco, secondo lui, la famosa utopia! Egli mi dimostrava che cessando pure la malattia, i bei tempi per la seta lombarda non potranno ritornare mai più... Essere quindi necessario trovar il rimedio e buttarsi ad altre industrie.

Ma perchè, ma perchè, ma perchè?

Perchè le circostanze di una volta, che pure da certi miopi agricoltori, si aspetta che ritornino di anno in anno, non possono più fare la ricomparsa. La concorrenza vi ucciderà!

Sento dire infatti — saltò su il barone, che non aveva ancora aperto bocca, tutto intento a studiare gli indizi sull'essere di Osvaldo Millosento dire, infatti, che la Persia, la China, il Giappone e la Turchia hanno triplicata la loro produzione serica, per cui oggidì la importazione, resa ancor più facile dai nuovi mezzi di comunicazione, avvilirà sempre più la nostra seta.

Ma che avvilire, che avvilire, che avvilire! — sclamò il sindaco — La nostra seta sarà sempre la prima seta del mondo.

Ammesso pure! — rispose il Millo — ma come le dissi ho vissuto in Asia tre anni e parlo con cognizione di causa. si ottengono dei bozzoli finissimi, a un prezzo tale che a lungo andare la concorrenza da parte nostra riuscirà impossibile. Un giorno il principe di Bandjarra, che pensava molto al suo paese e al giorno che vi sarebbe tornato, mi diceva che se i proprietari dell'alta Lombardia facessero i calcoli precisi, e tenessero conto di tutto quello che spendono veramente per la coltivazione dei bachi, un giorno così proficua, si convincerebberostrano a dirsi — che oggidì essa è una speculazione in complesso passiva, tentata ancora da ciascuno, in forza di speranze troppo spesso tradite e del così faceva mio padre.

Passiva in complesso? So bene che la mi burlasclamò il contradditore. — Non sa lei che la produzione delle greggie, in tutto il mondo è ancora ben lontana dall'essere quella che il consumo vorrebbe. Io ho le cifre a memoria, caro signore. Il mondo consuma annualmente dieci milioni di chilogrammi di seta, e non ne produce che nove. Questo è sacro!

Dove diamine ha pescate queste cifre? — domandò Osvaldo ridendo della imperturbabile sicumera del sindaco.

E, come l'altro tardava a rispondere, proseguì:

Dire che il mondo consuma dieci, mentre non produce che nove è cosa assurda. Dove andrebbe a prendere il resto? E le enormi rimanenze che giacquero in tutti i magazzini di Italia e di Francia per tanti anni?

Le rimanenze non c'entrano colla produzione. Sono affari della speculazione, signor mio. Si sa che in ogni ramo di commercio la speculazione è la più gran nemica della produzione.

Bravo! Ella porge argomenti alla mia tesi. Qualunque sia dunque l'evento della coltivazione serica, il coltivatore d'ora innanzi sarà rovinato. Fa molti bozzoli? Il prezzo basso non franca la spesa. Ne fa pochi? Piglia pochi quattrini, e il prezzo alto va a solo vantaggio della speculazione, che ha i suoi depositi degli anni felici e che può tirare la seta dal gran produttore la China.

Ma come può dire lei che il prezzo anche basso non franchi la spesa della coltivazione, se questa non fallisce?

Io mi maravigliodisse il Millo — come lei, signor sindaco, che questo calcolo avrebbe dovuto averlo già fatto, se ne mostri così ignaro! Si capisce che anche lei, come tutti i coltivatori lombardi, non pone in conto di spesa di coltivazione che quelle veramente vive e borsuali e non mette in deficit le fallanze degli anni sfortunati. Ella ha ereditato forse da suo padre i gelsi del fondo, i locali per l'allevamento, le tavole avite, la legna pel riscaldamento dei locali, i termometri e gli altri ordigni, i fuscelli e le frascate per mandar le bestioline al bosco, e non loro nessun valore, nemmeno quando la fallanza totale del raccolto le dovrebbe consigliare a far il calcolo della perdita. Ma la provi di grazia a riguardare la coltivazione serica come qualunque altra speculazione, tenendo conto, oltrechè del denaro sborsato per la semente, o per la foglia mancante, o per la manutenzione degli utensili, anche del valore di tutta l'altra roba, e del lavoro, che è pur necessario per ottenere i bozzoli; faccia una media proporzionale di tutte le perdite sofferte negli anni disgraziati e poi me lo saprà dire.

Ma che saprà dire, che saprà dire, che...

Tutti, tranne Osvaldo, gli diedero sulla voce.

Questi ripigliò:

Ha ella mai pensato non foss'altro al danno dell'ombra dei gelsi?

Danno! Ombra di gelso ombra d'oro, dice il proverbio.

Petizione di principio!— sclamò il Millo. — Il proverbio nacque appunto, quando la coltivazione serica era in fiore. Ma lasciamo andare l'ombra dei gelsi che, volere o non volere, è pur sempre pel campo un danno da calcolarsi. Ha ella pensato mai all'interesse rappresentato dal capitale impiegato originariamente nella piantagione di gelsi, nella compera delle tavole e degli altri utensili, al mancato affitto dei locali che si devono tenere pronti alla coltivazione, a tutti insomma gli altri valori che sarebbero vivi e reali se non fossero stati impiegati nell'impianto di questa ormai sventurata speculazione? E invece che bella somma uscirebbe dal taglio di tutti i gelsi d'Italia? Il principe era d'avviso che la Italia dovesse avere il coraggio di strappare tutti i suoi gelsi, per volgersi coraggiosamente ad altre industrie e ad altre coltivazioni veramente indigene e proficue.

 

A questo punto il fruscio di due vesti di seta s'intese. Il barone si volse e mandò una lieve esclamazione di sorpresa;

Oh Claudia? Levata? Ti senti bene?

Ella veniva a braccio della Valenti verso di loro.

 

Il nome di Claudia come potete immaginare, fece trasalire Osvaldo una seconda volta. Si voltò indietro in fretta e... con una maraviglia inesprimibile, lui, che era a mille miglia dal supporlo, vide dinanzi a , pallida come la diva della notte e pur ancora più bella nel suo pallore, vide la donna tanto amata un giorno, da cui era fuggito per gelosia del passato; la donna per amore di cui aveva ucciso un rivale in duello e che credeva di avere ormai dimenticata per sempre.

La Claudia salutò tutti gli astanti in massa e il Mìllo con un leggero chinar del capo, che parve a tutti indifferentissimo. Poi andò a sedere un po' lontano da Osvaldo, mentre il cuore le voleva balzar fuori dal petto, rispondendo a suo zio, che la febbre le era cessata, che si sentiva molto meglio e che s'era levata per poter ballare domani sera.

 

Osvaldo Millo dal canto suo non parlò, non ' mostra di nulla. Egli sapeva dominarsi, e sembrava calmo.

Nessuno s'accorse che queste due creature, le quali un giorno si erano tanto amate, neppure si conoscessero.

 

La dissimulazione trionfava!

 

Lo zio barone e la baronessa non avevano mai saputo nulla di preciso sulle peripezie amorose della nipote. Da Firenze nessuno aveva fiatato su di lei. Essi erano a Vienna, quando la Claudia aveva fatto il famoso colpo di testa in Arno. D'altronde quel tentativo di suicidio non lo si era saputo che da pochi, anche nella stessa Firenze.

Le cronache dei giornali non l'avevano riportato, perchè la Questura l'Ospedale non ne avevano saputo nulla.

Quanto al suo matrimonio al letto di morte, dal padre Michele era stato raccontato altrimenti di quello che veramente fosse stato. Si credeva da tutti che il marito di Claudia fosse morto di ferite, per difendere l'onore oltraggiato di sua moglie.

Un'aureola di gloria vedovile cingeva anzi il capo della bella Claudia!

Sinior Millodisse la baronessa prima di lasciarlo partire — mia nipote Clautia cognosce molto siniora Forestina Fox, che anche lei conosce, e ha infitata per tomani zera che è tomenica a un piccolo fezto ti pallo per mio onomastico. Zpero che lei forrà accompagnare quella pella ziniora e zua zia e zua zorella, qui in castello, non è fero? Piccolo pallo in familia zenza catafalchi... zenza complimenta!

Osvaldo s'inchinò sorridendo e partì.

 

Ma perchè la Claudia che era a letto colla febbre era discesa in quel modo?


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