Gerolamo Boccardo
Manuale di antichità romane

CAPO QUARTO     Vestitione della toga virile – Studi ed esercizi giovanili – Modi di scrivere.

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CAPO QUARTO

 

 

Vestitione della toga virileStudi ed esercizi giovaniliModi di scrivere.

 

§ 22. Deposta la pretesta, assumevano i giovani la Toga Virile, detta anche Pura o Libera. Coloro che la indossavano prendevano il nome di Tirones, e l'atto di vestirla Tirocinium si diceva.

La vestizione della toga virile facevasi con gran pompa; il giovane candidato da numeroso stuolo d'amici era accompagnato al foro, quasi a solenne auspicio della vita civile e pubblica cui s'iniziava.

§ 23. Ogni cittadino romano doveva essere soldato. Indossata quindi la toga virile, era mandato agli accampamenti, dove obbedendo imparava l'arte del comandare.

Dopo due o tre anni, tornava in Roma e veniva consegnato ad alcun insigne oratore, o ad altro grave personaggio ed autorevole, il quale lo ammaestrasse nella scienza del giure e nel magistero della facondia.

Se i mezzi di fortuna lo permettevano, i parenti lo mandavano poscia in alcune delle precipue sedi della greca sapienza, come Atene, Rodi, Mitilene, ove i suoi studi ricevevano maggior perfezione.

Solevano poi gli eruditi giovani raccogliere nella propria casa gli amici, od anche talora in un pubblico luogo, nel teatro, nel foro o nel tempio d'Apollo palatino il popolo: ed ivi recitavano le orazioni, i carmi, o le altre opere che avevano studiosamente composto.

§ 24. Qualunque sia l'opinione che l'erudizione e la critica preferiscono circa l'origine della scrittura ed all'invenzione dell'alfabeto, che gli antichi attribuivano ai Fenici e che molti fra i moderni fanno invece rimontare ai primitivi abitatori dell'estremo Oriente, certo è che l'arte del tramandare con materiali segni l'umano pensiero fu tenuta in sommo onore dalla dotta antichità.

Si è nelle più culte città della Grecia che l'industria libraria prese incremento, per mezzo dei bibliopoli, che rizzavano botteghe, divenute ad un tempo depositi di opere e convegni di letterati. Allorchè uno di questi ultimi avea composto un lavoro, ne dava ivi lettura ad uno scelto uditorio; e dal successo che in questo primo saggio ottenevasi, prendeva norma il libraio, per arrischiare o no l'impresa di far trarre dell'opera un certo numero di esemplari. Carissimi erano in Grecia i libri: tre trattati di Pitagora, o forse del suo scolaro Filolao, furono pagati da Platone 100 mine, pari circa a 9,147 lire di nostra moneta; ed Aristotile pagò 3 talenti (16,465 lire) le opere di Speusippo, nipote di Platone.

Meno enorme divenne il valore dei libri in Roma, dacchè ne crebbe l'offerta. Ricorda il poeta Marziale che il primo libro delle sue opere, contenente 720 versi,non vendevasi che 4 denari, cioè 3 lire o 3 lire e 50 cent. Il libro tredicesimo, alquanto più voluminoso, smerciavasi a 4 nummi, o circa 6 lire nostre; ma, aggiunge il citato autore, potrebbe ottenerlosi anche per la metà di questo prezzo da chi sapesse alquanto mercanteggiare. Tanta modicità di prezzo non sarebbe spiegabile a chi non sapesse che i copisti ai servizi dei romani editori erano schiavi, i quali non ricevevano altra mercede, fuorchè un parco e magro alimento. È inoltre da notarsi che, ai tempi di Marziale, certi perfezionamenti introdotti nei processi dello scrivere da un tal Faunia, accresciuti poi dall'imperatore Claudio, il quale non disdegnò occuparsi di questo ramo di tecnologia, avevano fatto ribassare di molto il costo dei libri.

§ 25. Di tre specie erano i libri: i primi potevano involgersi, rotolarsi intorno ad un bastoncello, epperò dicevansi volumi; altri eran quadrati, e nomavansi Codici; altri finalmente si piegavano a guisa degli odierni, con la sola differenza che, invece di essere di più fogli, una sola carta o membrana sopra se stessa ripiegata, li formava.

La scrittura era originariamente consegnata a rozze pelli, a cortecce od a foglie d'alberi; e l'etimologia dei vocaboli bibbia o libro, derivanti dal greco biblos e dal latino liber, che appunto significano l'interna e flessibile parte della corteccia delle piante, indica abbastanza quest'uso.

Il papiro egizio fu una delle più adoperate fra queste cortecce. Si fu solamente ai tempi di Alessandro Magno che i mercatanti cominciarono a tessere i filamenti del papiro, ad impastarli con la fangosa acqua del Nilo, facendone così una specie di carta.

Una formidabile concorrenza al papiro sorse nel regno di Pergamo, ove, per sottrarsi al tributo librario che conveniva pagare all'Egitto, gli editori utilizzarono per la scrittura la pelle di pecora; d'onde i nomi di Pergamena, di Cartapecora, di Membrana.

Oltre a questi due precipui materiali, adoperavansi eziandio tavolette di legno o d'avorio, o con intonachi di cera, sulle quali scrivevasi con punta acuta o stilo, d'onde venne il traslato stile.

 


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