Gerolamo Boccardo
Manuale di antichità romane

CAPO SESTO     Case – Ville – Occupazioni giornaliere – Pasti principali – Riti e usanze a ciς relative – Bagni – Giuochi – Modo di viaggiare.

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CAPO SESTO

 

 

CaseVilleOccupazioni giornalierePasti principaliRiti e usanze a ciò relativeBagniGiuochiModo di viaggiare.

 

 

§ 32. Sembra che, alle origini, ogni famiglia in Roma occupasse una casa intera, piccola ma a parte, come amano fare ai nostri gli agiati inglesi; ma quando il valore dei terreni, per la cresciuta popolazione, e quello degli edifizi fatti più grandi e sontuosi, divenne più alto, cominciarono vari inquilini a vivere in quartieri sovrapposti, come dai più oggi si usa fra noi. Marziale ci avverte ch'egli occupava, a fitto, un terzo piano:

.... Scalis habito tribus, sed altis.

Silla, non celebre ancora, non pagava del suo quartiero che una pigione di 600 nostre lire all'anno. Ma nelle parti più eleganti e più ricercate della città, cari assai erano i fitti; e Cicerone parla d'una casa appigionata per 30,000 sesterzi, o 6,000 franchi.

§ 33. Chi entrava in una casa di ricche persone vedeva, per prima cosa, sulla porta un Salve graziosamente scritto a mosaico: e spesso udiva questa parola ripetuta dalla voce stridula di augelli a ciò addestrati. Altre volte invece il minaccioso avvertimento Cave Canem, eloquentemente confermato dall'abbaiare di più molossi, gli facea men gentile accoglienza.

Semplici, modeste ed al puro necessario limitate erano le mobilie dei primi Romani. Ma, col progrediente lusso, si accrebbero di numero, di varietà e di valore.

Il letto costituiva da un oggetto di grande sontuosità, e Marziale pone in dileggio un ignorante arricchito che fingeva una malattia per avere un pretesto da far entrare i suoi visitatori in una camera riccamente addobbata. I guanciali anticamente erano pieni di lana; e i materassi di paglia. Così dormivano i prischi Romani, abbastanza stanchi quando cedevano al sonno, per non aver bisogno d'altre raffinatezze. Ma la paglia fu tosto sostituita dalla fine piuma d'oche; questa pure divenne volgare, e vi sottentrò quella del cigno, alla cui ricerca più d'un proconsole spedì intere coorti.

Numerose tende, imposte ermeticamente chiuse cacciavano la luce ed i rumori dalla camera da letto. Nella sua bella villa di Laurentinum, Plinio vantavasi d'un dormitorio, ove la voce dei servitori, il mormorio del vicino mare, lo scroscio della folgore stessa, i del sole o il guizzo del lampo, potevano penetrare.

Gli stipi, i deschi, le tavole erano, nei palazzi, di preziosissimi legni esotici. Cicerone comprò un solo monopodo di citro, venuto dall'Africa, un milione di sesterzi (204,500 franchi).

I vetrai d'Alessandria fornivano le coppe ed i vasi; i fonditori di Corinto mandavano i bronzi, l'Asia i Trapezofori di rari marmi, sostenuti da dragoni graziosamente scolpiti.

Si è specialmente nelle suburbane ville che_spiegavasi, in tutto il suo splendore, questo lusso che Roma imitò dall'Oriente. Questi luoghi di delizia, nei quali i grandi cittadini della Repubblica andavano a respirare aure più pure ed a riposarsi alquanto delle fatiche del foro e del campo, divennero, sul cadere di quella e più sotto l'impero, le sedi dell'ozio, della voluttà e della corruzione. I fertili campi furono allora cambiati in giardini ed in parchi da caccia; l'Italia, ricca un di ogni agraria produzione, divenne tributaria degli altri paesi graniferi, la sua popolazione si diradò e, per dir tutto in breve con Plinio, Latifundia Italiam perdidere.

§ 34. Alla umile tavola da mensa dei primitivi Romani sottentrarono le tavole preziose di cui sopra si fece cenno. Intorno alla mensa sdraiavansi sopra le siguras i convitati, separati da soffici cuscini di porpora, nel Triclinio, così chiamato dai tre sedili che lo componevano. Nel Biclinio, a due letti, si cenava. Sopra ogni letto erano tre commensali, o al più quattro: – un maggior numero sarebbesi ritenuto indecente. Si adagiavano posando la parte superiore del corpo sul gomito, e l'inferiore tenendo distesa per modo che il primo convitato accostasse i piedi al dorso del secondo, e questi la testa avesse a mezza vita del primo, divisi però sempre dal cuscino; e così via di seguito. Il più onorevole dei posti era quello di mezzo e, dopo questo, quello in capo di tavola; gli invitati solevano talvolta farsi accompagnare da alcuni non chiamati dal padrone di casa, e questi designavansi col significativo nome di Ombre. A' piedi dei letti sedevano i Parassiti, i Clienti, i Servi.

Prima di porsi al pasto, i convitati si lavavano; indossavano una veste più succinta, detta appunto Vestis Cenatoria o Synthesis, e, toglievansi le suole dai piedi.

§ 35. Di tre parti componevasi il servizio delle vivande. La prima detta Gustus o Gustatio, composta di cibi leggeri ed acconci ad eccitare l'appetito. Chiamavasi anche Antecæna, Antecænium, Promulsis. La seconda era la Cena, la cui principale portata Caput cænæ nomavasi. Colui che disponeva sulla mensa i piatti e le vivande, era lo Structor, e lo scalco si diceva Carptor. Imbandivansi finalmente le Mense Seconde, cioè le frutta, i dolci, ecc.

Al cominciare della cena eleggevasi a sorte un Magistrato, o Thagliarcus, il quale presiedeva alla mensa, e stabiliva l'ordine delle portate e dei vini.

I convitati si incoronavano di fiori, di mirto o di amaranto; e, se maggiore era il lusso, ungevansi di preziosi aromi. Il triclinio intero era coperto di fiori: e le pareti eran graziosamente dipinte di scene di vendemmia, di satiri, e di baccanti.

I più doviziosi nell'atto del cenare, godevano lo spettacolo di danzatrici, di pantomimi e di gladiatori; i più modesti e frugali udivano qualche amena lettura, o ascoltavano allegra musica, o disputavano piacevolmente.

§ 36. Le ore e il numero dei pasti variarono nei diversi tempi di Roma. – Dapprima, nell'età della parsimonia e della frugalità, bastò un solo, ed all'ora nona del giorno. Ma, in appresso, si moltiplicarono le mense: al mattino. l'Ientaculum, o asciolvere: indi il Prandium, all'ora sesta: poscia la Merenda, piccola refezione tra il pranzo e la Cæna; – quest'era di tutti i pasti giornalieri il più abbondante e copioso: e finalmente i più golosi aggiungevano la Comessatio, prima del recarsi a dormire. A gente occupata del continuo a mangiare, bere, digerire e (pur troppo dobbiamo con ribrezzo ricordarlo) a procurarsi il vomito per preparare spazio a nuove ingordigie, qual tempo rimaner poteva al lavoro?..

§ 37. Il vino costituiva la principale bevanda: ma i più eleganti vi mescevano unguenti ed aromi. Il magistrato della mensa regolava l'ordine ed il numero dei vini e dei bicchieri, e la natura e successione dei brindisi e degli evviva.

§ 38. Il lusso dei bagni, così pubblici come privati, usitati, del resto, presso tutti i popoli antichi, sorpassò appo i Romani ogni limite, come attestano le rovine delle Terme e degli altri edifizi a ciò destinati. Quivi riunivansi i bagni freddi, tiepidi, caldi e le stufe; grandi bacini per esercitare al nuoto la gioventù; basiliche e sale, nelle quali disputavano i filosofi, i retori ed i poeti: viali lunghi ed ombreggiati da magnifici alberi, per comodo del passeggio. Essi usavano ancora di far mondare il corpo durante il bagno da schiavi a ciò destinati; ed all'uscirne si facevano ungere d'olii e d'unguenti aromatici. Furonvi imperatori, quali Comodo e Galieno, che si bagnavano persino sette od otto volte al giorno.

I bagni furono anche adoperati da loro come mezzo curativo e terapeutico nelle malattie; e, ad edificazione dei moderni idropatici, possiamo citare Musa, medico d'Augusto, che lo guarì con bagni freddi.

credasi che i bagni fossero soltanto pei ricchi; chè anche i più poveri potevano approfittarne, mediante la retribuzione di un quadrante, equivalente a circa due centesimi di nostra moneta.

§ 39. Numerosi e svariati furono i giuochi dei Romani. Ludi convivales eran detti quelli che avevano luogo durante i pranzi e le cene.

Fatto il conto dei loro giorni festivi, riconosciamo che più d'un terzo dell'anno civile era consacrato all'ozio ed al passatempo. Fuvvi, durante l'Impero, un'epoca in cui, sopra 365 giorni, il popolo di Roma era, durante più di 200, distratto da ogni produttivo lavoro. Questa santificazione dell'ozio, congiunta all'orgoglio di un popolo militare, sdegnoso di procacciarsi coll'industria ciò che poteva ottenere con la forza dell'armi, ci spiega la povertà sociale ed i meschini progressi del commercio e delle arti utili in Roma.

§ 40. Tra le più famose festività dei Romani furono le Saturnali, d'antichissima origine italica. Al principio forse non erano che solennità agrarie, fatte al cessare delle messi e d'ogni campestre occupazione; ma poscia, introdotte nelle città, degenerarono dal pristino scopo, e divennero occasione ai più orribili disordini ed alle immoralità più nefande.

Assai peggiori furono le Baccanali, nelle quali una plebe di ubbriachi vestiti di pelli di cervo all'asiatica, correvano ululando, portando tirsi, e percuotendo cembali e tamburi. Uomini travestiti da Pani, da Satiri, da Sileni, donne, dette Menadi e Baccanti, si abbandonavano al più schifoso e spaventevole delirio.

§ 41. Ma i prediletti ludi romani erano i Circensi, instituiti primamente da Romolo, in onore del Dio Conso, o Nettuno, d'onde Consuali furono anche detti. Dal Circo Massimo eretto da Tarquinio Prisco ricevettero l'altro loro nome. Era questo immenso edificio capace di 150,000 persone almeno, aveva una periferia di otto stadii, o mille passi. Ivi, spettante il popolo, il Senato, il Principe, facevansi sei principali specie di giuochi: la Corsa, la Lotta o il Certame ginnico, il giuoco di Troja, la Caccia, la Pugna equestre e la Naumachia.

§ 42. La corsa eseguivasi su Carri o su Cavalli. Gli Aurighi, o condottieri, erano divisi in quattro compagnie, distinte dai colori delle vesti: la fazione Albata, o bianca: la Russata o rossa:, la Veneta, o cerulea: e la Prasina, o verde, alle quali Domiziano aggiunse l'Aureata e la Porporea: e quando queste fazioni portate vennero a Costantinopoli, si tramutarono in partiti politici, che insanguinarono spesso le strade di quella capitale.

§ 43. Il certame ginnico od atletico consisteva nel far prova di forza e di prestanza muscolare. Vi pigliavano parte i Cursores, i Pugiles, i Luctatores, i cui nomi indicano abbastanza le funzioni.

§ 44. I giovani di nobil casato eseguivano il Ludus Trojæ, correndo a torme su focosi destrieri, e facendo una finta battaglia, quale Virgilio descrive nel quinto della Eneide (v. 561 e seg.).

§ 45. La caccia circense era una pugna di fiere e belve tra loro, o con uomini; se crediamo a Seneca, i primi combattimenti d'animali ebbero luogo a Roma nel VII° secolo dalla sua fondazione, vivente Pompeo. Ma da altre fonti sappiamo che, prima di quell'epoca, eransi uccisi a colpi di freccia nell'anfiteatro più centinaia di elefanti, di lioni e di pantere.

La frequenza di simili spettacoli e la moltitudine delle sacrificate bestie crebbero a più doppi sotto l'Impero, quando una delle più serie e gravi cure del governo era di dilettare la feroce e stupida plebe, sempre chiedente Panem et Circenses. – Giulio Cesare offerse al circo ben 400 chiomati leoni, e fece combattere fanti e cavalieri contro 40 elefanti. Novemila animali, di cui 5000 feroci, furono uccisi nella festa che inaugurò l'anfiteatro di Tito. I giuochi che celebrò Trajano, dopo la sua vittoria sul Dace Decebalo, durarono 123 giorni, e costarono la vita a undicimila bestie feroci e domestiche. Dugento leoni caddero in un sol giorno trafitti sotto gli occhi di Adriano. Il solo imperatore Marco Aurelio mostrò, da filosofo qual era, un giusto orrore per quelle inutili e pericolose ecatombe; ma Comodo, l'indegno suo figlio, non solo richiamò in onore quelle feste sanguinose, ma scese anch'egli armato e seminudo nell'arena.

§ 46. Marco e Decio Bruto, nei funerali del loro padre, ordinarono la prima lotta di Gladiatori: spettacolo pel quale era tanto maggiore la predilezione del romano popolo, quanto la emozione del veder scorrere umano sangue è più viva di quella di assistere all'agonia delle belve. Giulio Cesare offerse una volta alla piaggiata plebe seicentoquaranta coppie di gladiatori; e Tito continuò quelle inumane giostre per cento giorni.

Ecco l'immensa arena, tutta gremita di genti affluite dalle più remote provincie, impazienti di pascere lo sguardo nell'ultimo palpito dell'atterrato lottatore. Da quella ondeggiante e clamorosa massa di popolo escono confusamente

Voci alte e fioche e suon di man con elle.

Ma ecco aprirsi i cancelli, e a due a due uscirne stupidamente baldanzosi i gladiatori. Quasi per addestrarsi all'opera di sangue cominciano ad armeggiare con ispade lusorie di legno; – ma la plebe, sitibonda di vere ferite e di vere morti, pone fine al fanciullesco trastullo. Su, vere spade, snudatevi; e voi che dovete, morendo, divertire i dominatori del mondo, atteggiate le labbra all'ultimo sorriso! Comincia la pugna, un incalzarsi, un ferire, un parare, un ritrarsi a tempo ed un assalir subitaneo, finchè il men destro o il più sventurato cada ferito: ma che? il caduto alza un dito in atto di chiedere grazia; se la plebe lo giudica valoroso e degno, grida al vincitore di fermarsi e di riserbarle un campione di futuri piaceri. Se cadde vilmente, o se la moltitudine vuol sino alla feccia gustare il feroce spettacolo, miriadi di bocche sclamano: Recipe Ferrum! e l'ultimo colpo tronca al moribondo la vita. Attorno al caldo cadavere accorrono gli epilettici, e bevono avidi il sangue, creduto rimedio alla loro infermità....

Una società, deturpata da cotali macchie, sebbene illustre per militari e per civili imprese, non merita che la posterità ne pianga la caduta. E benedetto il cristianesimo, che chiuse le orrende porte del Circo!

§ 47. L'ultimo spettacolo di cui questo era il teatro, era la Naumachia, ossia una finta battaglia navale. Da sotterranei meati entrava l'acqua nell'anfiteatro: le navi comparivano e tutte le evoluzioni compivano che un'armata sul mare contro l'altra adopera.

§ 48. Un popolo avvezzo a questo genere di passatempi non poteva avere, per i più pacati e spirituali divertimenti del teatro comico e tragico, quella propensione ch'ebbero invece i più culti Greci.

Più che dell'intrinseca bontà e dell'artistica bellezza de' drammi, i Romani dilettavansi della magnitudine e sontuosità dei teatri. I primi dei quali furono posticci e destinati a durare pochi giorni o al più un mese. Capace di 80 mila persone, sostenuto da 360 colonne di marmo, di vetro e di legno dorato, ornato da 3,000 statue, fu quello che eresse Scauro. Il primo a edificarne uno stabile fu Pompeo, emulato poscia da Augusto, che fabbricò quello detto di Marcello. La bizzarria, più che le sane regole dell'arte, presedeva spesso a quelle colossali costruzioni; e la più applaudita fu quella ordinata da Cajo Curione che, nei funerali del genitore, eresse due teatri capaci di girare sopra un pernio, con entro gli spettatori; i quali così, finita la rappresentazione drammatica, venivano, senza muoversi, trasportati in un anfiteatro. Talvolta questi edifizi di legno costarono la vita a migliaia di spettatori e Tacito racconta che quando rovinò quello di Fidene, 50,000 persone vi rimasero morte od offese.

Le varie parti del Teatro erano la Scena, il Proscenio, il Postscenio, il Pulpito e l'Orchestra.

Gli spettacoli scenici erano: la Commedia, la Tragedia, la Satira, e la Mimica.

§ 49. I popoli moderni si divertono forse meno, ma lavorano di più. – E più frequenti e facili sono eziandio fra loro i viaggi. Gli antichi Romani, per trasportarsi dalla città nelle loro ville o nelle provincie, faceansi portare in lettiga. Le carrozze, quali oggi le abbiamo, non erano conosciute; esisteva la posta dei cavalli, quella delle lettere, se non per servizio pubblico del governo. Magnifiche però furono le strade dai Romani costrutte, con lo scopo specialmente di agevolare il trasporto delle truppe e la dominazione sopra i soggiogati paesi.

 


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