Gerolamo Boccardo
Manuale di antichità romane

CAPO SETTIMO     Il giorno civile e le sue divisioni – Feste, Giorni fasti, nefasti, intercisi, innominati, comiziali – Mesi, Calende, None e Idi – Calendario – Monete, Pesi e Misure ragguagliate con quelle del sistema decimale.

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CAPO SETTIMO

 

 

Il giorno civile e le sue divisioniFeste, Giorni fasti, nefasti, intercisi, innominati, comizialiMesi, Calende, None e IdiCalendarioMonete, Pesi e Misure ragguagliate con quelle del sistema decimale.

 

§ 50. Dacchè gli uomini scelsero il giorno, il νυκθήμερον ossia il periodo tra due successivi levarsi del sole, come unità prima di misura del tempo, dovettero pensare, da una parte, a dividerlo in parti più brevi, o in frazioni di giorno, e dall'altra, a ripeterlo più volte, per formare somme più o meno grandi di giorni. Ma la divisione del giorno dipese dovunque dal momento in cui lo si faceva cominciare, e da quello in cui lo si finiva.

A Roma non seppesi, primitivamente, distinguere che il mattino, il mezzogiorno e la sera; la legge delle Dodici Tavole non fa menzione che del levarsi e del cadere del sole: vi è usata la voce ora. Un usciere dei consoli aveva l'incarico di annunziare con un grido l'istante in cui cominciavasi a scorgere l'astro del giorno dal palazzo del Senato, tra la tribuna ed il luogo ove si collocavano gli ambasciatori ed altri stranieri; nel modo istesso proclamavasi il mezzodì; l’ultima ora della giornata era quella in cui il sole declinava dalla colonna Mœnia alla prigione; talchè era difficile il riconoscere i veri limiti del giorno, quando il sole era da dense nubi nascosto.

§ 51. In seguito però si aumentarono le parti o frazioni del giorno. Questo fecesi cominciare da mezzanotte, distinguevasi quindi il canto del gallo, cantinicium: l'alba, diluculum; il sorger del sole; l'antimeriggio; il meriggio; il pomeriggio; il tramonto; la sera; il crepuscolo; l'accendilume, prima fax; il cominciar della notte, intempesta nox ecc., denominazioni incerte e tali che palesano l'ignoranza di coloro che le adopravano.

§ 52. A poco a poco però s'introdussero in Roma alcuni grossolani strumenti, inventati in Grecia per la misura del tempo. Verso l'anno 293 avanti G. C. il Console Papirio, consacrando il tempio di Quirino, vi pose un quadrante solare o gnomone. Le clessidre e gli orologi ad acqua cominciarono pure a venire in uso.

Con questi e simiglianti materiali aiuti, la giornata (cioè non il νυκθήμερον, ma bensì il giorno naturale, l' compreso tra il levare ed il cader del sole) potè dividersi in dodici ore, che avevano una diversa lunghezza, a seconda delle differenti stagioni, essendo più brevi le ore d'inverno, e più lunghe quelle dell'estate. La notte poi, grazie ad alcuni altri acconci strumenti, fu divisa in quattro vigilie di tre ore ciascuna, più lunghe in inverno e più brevi nell'estate.

§ 53. Hora viene dal greco ὥρα, e forse dall'orientale  (aur), luce. Ogni ora del giorno era consacrata al Sole, a Venere, a Mercurio, alla Luna, a Saturno, a Giove, a Marte, vale a dire ai sette pianeti degli antichi; e, siccome sette non divide esattamente dodici, ventiquattro, indi seguiva che la prima ora del giorno non era giammai due volte di seguito sacra allo stess'astro.

§ 54. Distinguevansi a Roma, primieramente, due grandi categorie di giorni; i festi ed i profesti. I primi erano consacrati a feste ed a solennità religiose, e in essi offrivansi sacrificii, celebravansi giuochi, sospendevansi almeno durante alcune ore le ordinarie occupazioni: e questi giorni prendevano il nome di feriae. I giorni profesti erano quelli destinati agli affari privati e pubblici. Tra gli uni e gli altri, eranvi i giorni intercisi, dei quali la metà solamente impiegavasi al culto degli Dei.

I giorni profesti suddividevansi in due classi, i fasti o judiciarii, nei quali era permesso di rendere giustizia nei tribunali; ed i nefasti, nei quali questa permissione era sospesa, come nei tempi di messe o di vendemmia.

Il senso della parola nefasti mutò in appresso, dacch'essa venne applicata ad indicare i giorni dichiarati sventurati e di mal augurio. Le espressioni dies atri, ominosi, religiosi, exempti, giorni neri, giorni tolti, avevano pressochè lo stesso significato.

§ 55. Altre denominazioni di giorni erano adoperate presso i Romani. Ecco le principali nell'ordine loro alfabetico:

Dies agonales, erano i giorni, nei quali il capo dei sacrifici immolava un ariete. – Dies auspicales, quelli in cui cominciavasi, prendendo auspìci, l'esercizio di una magistratura o di una pubblica funzione. – Dies cognitiales, quelli in cui il pretore, assistito da' suoi consiglieri, proclamava una sentenza, un decreto, un editto. Dies comitiales, nei quali il popolo poteva essere convocato nei comizi. – Dies justi e talvolta præliares, in cui, dopo i termini prefissi, era permesso di procedere contro gli accusati, o di eseguire le sentenze pronunciate contro di loro. – Dies lustrici, quelli in cui purificavansi i bambini, e si imponevano loro i nomi. – Dies pandiculares o communicarii, nei quali sacrificavasi a tutti gli Dei insieme. – Dies postulatorii, in cui le petizioni o domande presentavansi ai pretori. – Dies cognitionales, nei quali queste domande non eran permesse. – Dies sessionum comprendevano anche le serie precedenti. – Dies prolusionis, nei quali facevansi i preparativi dei giuochi pubblici. – Dies stati, i termini da osservarsi nei processi contro gli stranieri. – Dies utiles, quelli nei quali potevasi far valere il proprio diritto in giustizia.

§ 56. I mesi dei Romani, apprincipio non erano che dieci; ed erano quelli del nostro calendario, da Marzo, fino a Dicembre solamente Luglio cd Agosto chiamavansi Quintilis e Sextilis, il Quinto ed il Sesto. Marzo, Maggio, Quintile ed Ottobre avevano ciascuno trent’un giorno; ed i sei altri, trenta. Perciò i primi appellavansi pleni; e cavi gli altri. La totalità dei giorni dell'anno era dunque di 304 giorni.

§ 57. Evidentemente l'instituzione di questi mesi, che non erano solari lunari, era così assurda e così contraria ad una regolare distribuzione dell'anno, che si dovette bentosto pensare a porvi riparo ed a creare una ripartizione più razionale e più conforme alle leggi della natura. Della importante riforma alcuni fanno onore a Numa, altri al primo Tarquinio; il quale, venuto dall'Etruria, dove più progredito assai era l'incivilimento, apportò, tra gli altri, questo beneficio al nuovo suo regno.

Il riformatore, qualunque egli sia, aggiunse cinquant'un giorni agli antichi trecentoquattro, portandone così il totale numero a trecentocinquantacinque, uno di più che nell'antica ripartizione dei mesi lunari greci. Per fare due mesi con questi cinquantun giorni (poichè un solo stato sarebbe manifestamente troppo lungo) fu mestieri risecarne alcuni agli antichi mesi; e si fu ai sei mesi cavi, di trenta giorni, che fecesi sopportare cotesta perdita, onde ottenere il maggior numero possibile di giorni dispari, creduti più cari alle divinità. I quattro lunghi mesi. Marzo, Maggio, Quintile ed Ottobre conservarono ciascuno i loro trentun giorni; tutti gli altri ne ebbero ventinove, ad eccezione di Febbraio, che ne ebbe solo ventotto. Come il più breve, ed il solo formato di un numero pari di giorni, questo mese fu giudicato di tutti il più infelice ed infausto.

§ 58. Progredendo però le cognizioni astronomiche, si avvidero i Romani dei vantaggi che si avrebbero ottenuti facendo corrispondere il corso dei mesi con quello del sole nei segni del Zodiaco; o, in altri termini, mettendo l'anno civile in armonia coll'anno solare. L'anno civile di 355 giorni, infatti, era più breve di dieci giorni e di alcune ore, che l'anno solare.

Per ovviare a tale sconcio, s'immaginò di raddoppiare questo numero di giorni, e di farne un mese intercalare di ventidue giorni che, per una strana bizzarria, ogni due anni introducevasi tra il 23 ed il 24 di febbraio. Questo mese avventizio che, ad ogni biennio, tagliava in due il miserrimo febbraio, fu detto Mercedonius, Merkedonius, o Merkedinus.

Ma, per istabilire l'accordo tra l'anno civile e l'anno astronomico, cotesto piccolo mese non avrebbe dovuto avere che vent'un giorni e talvolta anche solo venti. Essendogliesene dati ventidue e più, ne venne una prolungazione dell'anno civile che, coll'accumularsi dei biennii, creò un nuovo gravissimo disordine; fu conceduto quindi ai pontefici l'arbitrio di accrescere o diminuire, secondochè stimassero opportuno, il povero Mercedonio. Ma i pontefici si servirono di questo potere nel loro proprio tornaconto od in quello dei loro aderenti o a danno dei loro nemici ed avversari. Essi allungavano od abbreviavano Mercedonio a misura che a loro talentava che uno durasse più o meno in una magistratura, a seconda che dovevano riscuotere o pagare somme, ecc.; talchè il rimedio divenne bentosto peggiore del male, a cui con siffatto ripiego si voleva ovviare.

§ 59. Gli abusi, gli errori e gli inconvenienti d'ogni genere che da un tale stato di cose derivavano, giunsero a segno che Giulio Cesare, aiutato dalla scienza di Sosigene, astronomo alessandrino, decise di operare una nuova riforma dei calendario.

Cominciò egli dal portare al novero di quattrocentoquarantacinque i giorni dell'anno 708 di Roma. Oltre al Mercedonio che cadeva in quell'anno, aggiunse due altri mesi intercalari, l'uno di trentatre giorni, e di trentaquattro l'altro, tra novembre e dicembre. L'anno in cui questo cambiamento si fece, fu detto l'anno di confusione: esso è il 46° avanti l'E.V.

Il Calendario Giuliano (che dal nome di Cesare fu così chiamato) divideva l'anno in dodici mesi. Fra questi, sette mesi eran di trent'un giorno, e furono: Marzo, Maggio, Quintile, Ottobre, i quattro mesi maggiori, indi Gennaio, Sestile e Dicembre. Gli altri mesi ne ebbero trenta, meno Febbraio, cui ne furono lasciati vent'otto. Ma, ad ogni quattro anni, questo mese acquistava un giorno epagomeno di più: e siccome, venendo questo quadriennio, contavasi due volte il sesto giorno avanti le calende di Marzo (Bis sexto calendas Martii), così bisestili chiamaronsi gli anni di 366 giorni.

Il sistema giuliano, per tal modo combinato, aveva sciolto con molta approssimazione il problema di armonizzare l'anno civile coll'anno solare. La sola differenza consisteva ancora in ciò che l'anno astronomico non eccede di un intero quarto di giorno la somma di trecentosessantacinque giorni, per modo che, dopo avere distribuito nel corso di un secolo ventiquattro anni bisestili, un venticinquesimo è di troppo. L'errore, che, nel calcolo del tempo, apportava il calendario di Giulio Cesare, poco sensibile a tutta prima, divenne assai grave col succedersi dei secoli; ed in qual modo siavisi rimediato imparerete, o giovani, quando studierete la storia moderna.

§ 60. Aggiungeremo qui alcune indicazioni circa i nomi dei mesi del Calendario romano.

Marzo, il primo mese del primitivo anno di Romolo, cominciava all'equinozio di primavera, ed era consacrato a Marte, il Dio della guerra, come ricordano i versi d'Ovidio:

 

Arbiter armorum, de cujus sanguine natus

Credor; et ut credar pignora certa dabo.

A te principium romano ducimus anno;

Primus de patrio nomine mensis eat.

 

Aprilis derivò probabilmente dall'aperire, poichè è il tempo in cui la terra apre il suo seno alla vegetazione.

Maggio era dedicato a Maia, madre di Mercurio, ed era inoltre Major mensis consacrato ai vecchi, majores.

Giugno apparteneva alla junior ætas; o forse desumeva il nome da Giunone.

I nomi degli altri sei mesi non esprimevano che l'ordine loro: Quintilis, Sextilis, September, October, November, December.

Dei due mesi aggiunti da Numa o da Tarquinio, l'uno prese il nome da Giano (Januarius); e l'altro dai sacrificî espiatori (Februalia), coi quali i Romani purificavansi delle colpe commesse negli altri mesi, poichè sembra che allora Febbraio finisse l'anno, e Ovidio dice:

Qui sequitur Janum veteris fuit ultimus anni.

Dopo la riforma giuliana, Marco-Antonio, allora console, dichiarò che, a perpetuarne il ricordo, il quinto mese, Quintilis, divenuto il settimo dacchè Gennaio e Febbraio furono ridotti i due primi, porterebbe quindi innanzi il nome di Julius, che noi diciamo Luglio. Nell'anno 730 di Roma poi fu emanato un decreto, col quale dichiaravasi che nel mese di Sextilis Augusto cominciò il suo primo consolato, ottenuto tre volte gli onori del trionfo, soggiogato l'Egitto e finita la guerra civile, e che, per conseguenza, cotal mese muterebbe il nome in quello di Augustus.

E così la nomenclatura dei dodici mesi fu definitivamente costituita; e (nonostanti i tentativi fatti a più riprese per cambiarla) essa si è conservata fino a noi.

§ 61. I Romani non conobbero la settimana, e la loro divisione del mese in aggregati minori di giorni differiva assai dalla nostra.

Ogni mese era ripartito in tre sezioni ineguali e variabili: la prima cominciava col giorno delle Calende, e comprendeva altri cinque od altri tre giorni successivi, secondo i casi come or ora vedremo, giorni che chiamavano VI°, , IV°, III° prima delle None e vigilia delle None. Nella seconda sezione che andava ora dal 5 al 12 inclusivamente, ora dal 7al 14 inclusivamente, trovavansi il giorno detto delle None, e sette giorni avanti gli Idi. Cominciava la terza sezione talvolta il 13 del mese, tal altra il 15, e componevasi del giorno degli Idi e di quindici o di diciotto giorni avanti le Calende del mese susseguente.

In Marzo, Maggio, Luglio e Ottobre, le None erano il giorno 7 del mese, e gli Idi il giorno 15: negli altri mesi, le prime cadevano il 6 e gli Idi il 13. Il solo giorno delle calende era invariabilmente il d’ogni mese.

La prima sezione del mese adunque era di quattro o di sei giorni: la seconda sempre di otto, ma cominciava e finiva a differenti epoche; e la terza constava di sedici o di diciannove giorni.

Eccettuati i tre giorni di calende, di none e di idi, tutti gli altri giorni del mese assumevano nomi complessi giusta l'ordine retrogrado che occupavano avanti di ciascuno di quei tre termini iniziali: l'ultimo di questi ordini chiamavasi vigilia, e l'antipenultimo dicevasi terzo giorno avanti gli idi, le none e le calende: le altre espressioni, quarto, quinto ecc. avanti le calende, le none, o gli idi, erano sempre effettivamente false, cioè superiori di una unità al numero ordinale retrogrado ch'esse dovevano indicare. Il giorno 17 dicembre, per esempio, che realmente non è che il quindicesimo avanti le calende di Gennaio, si designava per 16.

È difficile, invero, ideare una più strana, più complicata e più scura ripartizione del mese.

§ 62. Di nove in nove giorni avea luogo in Roma un pubblico mercato, in questo senso che, se il primo mercato erasi tenuto il primo giorno del mese, il secondo aprivasi il nono giorno, ed il terzo al decimosettimo: talchè, fra i due mercati, non contavansi che sette giorni. Il periodo così formato componeva una Nundina o Novendina.

Lettere Nundinali, dicevansi le otto prime lettere dell'alfabeto A, B, C, D, E, F, G, H, le quali erano disposte in colonne nel calendario, e ripetute periodicamente da capo a fondo dell'anno: l'una di queste lettere designava, per ogni anno, i giorni di mercato. Quando era la lettera A, il giorno nundinale era il 1, il 9, il 17 ed il 26 di febbraio, e via discorrendo; e l'anno appresso la lettera D serviva all'uso medesimo.

§ 63. Se il primitivo calendario romano portava, come vedesi, l'impronta dell'ignoranza e della barbarie e se, anche quando fu riformato, non si spogliò mai interamente della confusione e dell'arbitrio che avevano presieduto alla sua formazione, il sistema metrico, invece, il complesso delle misure ci presenta in modo mirabile quei caratteri d'ordine, di regolarità e d'armonia, che rendettero il popolo romano dominatore e legislatore del mondo. Egli è che qui non si richiedevano profonde ed esatte cognizioni scientifiche e bastava aver il senso dei bisogni della vita civile, per comprendere che un buon regime di pesi e di misure è una delle prime e più essenziali condizioni a cui è sottoposta la prosperità di una numerosa associazione.

§ 64. L'unità delle lunghezze era il piede, che dividevasi in 4 palmi, ed il palmo in 4 dita. Il palmo di cui facciamo qui parola è il palmus minor, essendovi un'altra specie di palmo, palmus major, che valeva 12 dita, o tre palmi minori.

I multipli del piede romano erano:

Il passo, passus major, di 5 piedi; eravi inoltre il passus minor, o gressus, di 2 piedi ½;

La decempeda, di 10 piedi, misura simile alla nostra auna, e che Augusto poneva, in luogo di lancia, nella mano dei soldati ai quali voleva infliggere un umiliante castigo;

L'actus, di 120 piedi;

Il miglio, o milliarium, di 1000 passi o 5000 piedi.

Può aggiungersi, come misura specialmente usata nelle costruzioni, il cubitus, di 1 piede ½.

§ 65. L'unità agraria era il jugerum, che suddividevasi in 2 actus quadratus. L'actus quadratus era un quadrato di 120 piedi romani di lato, e ripartivasi a sua volta in 4 clima; il clima comprendeva 36 decempeda quadrata, la quale formava 100 piedi quadrati.

I multipli del jugero erano:

L'Hæredium, che valeva due jugeri;

La Centuria, di 100 eredii;

Il Saltus, di 4 centurie disposte in quadrato.

Distinguevansi tre sorta di actus: l'actus minimus, di 120 piedi di lunghezza e 4 di larghezza; l'actus quadratus, summenzionato; e l'actus duplicatus, lungo 240 piedi e largo 420.

§ 66. L'unità di capacità era l'amphora, o quadrantal: dividevasi in 2 urne ed in 3 moggi (modius); sicchè l'urna valeva 1 moggio ½. L'urna suddividevasi in 4 congii; il congius, in 6 sestarii; il sextarius in 2 emine; l'hemina, in 2 quartarii o 4 acetaboli (acetabulum), o 6 bicchieri (cyathus), o 24 ligule.

Il Culeus valeva 20 anfore.

Quando si voleva esprimere un'anfora perfettamente esatta, dicevasi Anfora Capitolina; perocchè i tipi di tutte le unità di misura erano depositati nel Campidoglio.

La capacità dell'anfora era quella d'un piede cubo, come indica l'altro suo nome quadrantal.

§ 67. L'unità di peso era l'as o la libra, che dividevasi in 12 oncie; ogni oncia spartivasi a sua volta in 24 scrupoli; talchè la libbra conteneva 288 scrupoli.

Ecco i multipli e le suddivisioni della libbra, col loro valore corrispondente

 

 

ONCIE

 

LIBBRE

Scrupulum

1/24

As o Libra

1

Sextula

1/6

Dupondius

2

Sicilicus

¼

Tressis

3

Duella

⅓

Quadrussis

4

Semuncia

½

Quincussis

5

Uncia

1

Sextussis

6

Sescuncia

1 ½

Septussis

7

Sextans

2

Octussis

8

Quadrans, o Teruncius

3

Nonussis

9

Triens

4

Decussis

10

Quincunx

5

Vigessis

20

Semissis, o Sembella

6

Trigessis

30

Septunx

7

 

 

Bes

8

 

 

Dodrans

9

 

 

Dextans

10

 

 

Deunx

11

 

 

As o libra

12

Centussis

100

 

A proposito di questi nomi, non devesi omettere una importante osservazione: che cioè i Romani li adopravano in due diversi sensi

Nel loro significato proprio, per esprimere cioè i pesi;

Per estensione d'idee, ad esprimere una frazione, o (più raramente) un multiplo di un totale qualunque. Così, per esempio, volendo significare che un cittadino aveva ereditato da un altro 1/12 della sua fortuna, dicevasi hæres ex uncia; di un altro, che avesse ereditato i 3/4, dicevasi hæres ex dodrante.

§ 68. Abbiamo già veduto di sopra il rapporto che esisteva tra l'unità di capacità e quella di lunghezza. La stessa osservazione può farsi di presente circa al rapporto esistente fra l'unità di peso e quella di capacità. L'anfora doveva contenere 80 libbre di vino.

È questo uno dei più notabili caratteri del sistema metrico romano, e che dimostra la sua sapiente regolarità. In un buon regime di misure, è sommamente importante che esista e si mantenga fra le varie unità una relazione tale che, data l'unità fondamentale di lunghezza, possa con essa ricostrursi tutto il rimanente sistema. Su questo principio venne, come è noto, ordinato il moderno sistema decimale; e, per quanto i Romani avessero errato prendendo come tipo del peso specifico il vino, la cui densità è variabile, pure dagli addotti esempi si scorge che l'accennato principio non fu ignoto agli autori del sistema metrico di Roma.

§ 69. La prisca moneta romana era di bronzo, molto pesante ed incomoda. L'unità pecuniaria era l'as di bronzo di una libbra, d'onde le espressioni æs grave, emere per æs et libram.

Servio Tullio o, secondo altri, Numa fu il primo che coniò un'effigie sull'asse libbrale. Si disputa fra gli eruditi se Servio Tullio sia pure stato il primo a battere moneta d'argento. Ciò che è sicuro si è che, nell'anno 485 di Roma, coniavansi denari d'argento del valsente di 10 assi libbrali di bronzo, e del peso di 1/40 di libbra.

Il denaro ripartivasi in 2 quinarii, ed il quinario in 2 sesterzii. La libella equivaleva ad 1/10 di denaro; la sembella, ad 1/20: ed il teruncius ad 1/40 del denaro. Queste piccole monete d'argento valevano rispettivamente, all'origine, 1 libbra, ½ libbra, ¼ di libbra o 3 oncie di rame.

Il sesterzio onde abbiamo qui parlato, non confondasi con un più grande sesterzio, moneta fittizia o (come dicono in banca) moneta di conto, di 4,000 piccoli sesterzi. Il primo esprimevasi col maschile sextertius; ed il secondo, col neutro sextertium. Spesso però negli autori e nei monumenti, sextertium solo, genitivo contratto di sextertia (per sextertiorum), significa 100,000 sesterzi; ed allora il numero delle centinaia di mila è determinato dagli avverbi semel, bis, ter, quinquies, decies, centies ecc.; cosichè bissextertium equivale a 200,000 sesterzii. Il sextertius trovasi sovente espresso nei classici anche con due sigle differenti. cioè IIS e HS, espressioni abbreviate di 2 assi e ½.

Plinio riferisce che, nell'anno 547 di Roma, si coniò moneta doro, in ragione di 1 scrupolo per 20 sesterzi; e che più tardi, si trassero 40 denari o aurei dalla libbra d'oro; sicchè la nobile moneta fu dapprima ragguagliata allo scrupolo e poscia alla libbra, di cui l'aureus era la quarantesima parte. Ma, da Augusto in poi, il suo peso andò diminuendo, fino a non essere più che 1/45 della libbra. Tito Livio, che scriveva poco dopo la creazione dell'aureus, attribuisce ad 1 libbra d'oro, ossia a 400 aurei, il valore di 4,000 sesterzi, cioè a 1,000 denari. L'aureus valeva dunque 25 denari. Per lo che tra l'unità argentea e l'aurea romana, vi era circa lo stesso rapporto che è oggi tra la nostra lira e la lira sterlina inglese.

Le zecche romane o non adoperavano punto, o usavano pochissima lega nelle loro monete, il cui titolo perciò era altissimo. Si è trovato che la più parte delle loro monete d'oro contengono almeno 23/24 di fino metallo.

§ 70. Nelle tavole seguenti, offriamo la conversione delle varie misure romane in nostre misure odierne:

 

Tavola A

Conversione delle lunghezze romane in metri.

 

Metri

Dito 1/16 del piede

0 019

Palmo minore 1/4 id

0 074

Palmo maggiore 3/4 id

0 222

Piede

0 296

Cubito

1 piede ½

0 444

Passo minor o gressus

2 piede ½

0 741

Passo maior

5

1 481

Decempeda o pertica

10

2 963

Due pertiche

20

5 926

Actus

120

8 889

Miglio (1000 passi majores)

5000

1481 481

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tavola B

Conversione delle misure agrarie romane in ettari.

 

P. quad.

Ettari, are e centiare

Decempeda quadrata o persica di

100

2

0

09

Actus minimus

480

0

0

42

Clima

3,600

0

3

16

Actus quadratus

14,400

0

12

64

Jugerum o actus duplicatus

28,800

0

25

28

Due iugeri (hæredium)

 

0

50

57

Centuria (100 eredii e 200 jugeri)

 

50

56

79

Saltus 800 jugeri

 

202

27

16

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tavola C

Conversione delle misure di capacità romane in litri,

col peso corrispondente di grano in chilogrammi.

 

Litri

Peso di frum. in chilog.

Quartarius

0 135

0 102

Emina

0 271

0 203

Sextarius

0 542

0 406

Congius

3 252

2 439

Semodius

4 335

3 252

Modius

8 671

6 503

Urna

13 006

9 775

Anfora

26 012

19 509

Culeus

520 246

390 184

 

 

Tavola D

Conversione dei pesi romani inferiori alla libra in grammi.

 

Grammi

Scrupulum

1 133

Sextula

4 532

Sicilicus

6 799

Duella

9 065

Semuncia

13 597

Uncia

27 195

Sescuncia

40 792

Sextans

54 390

Quadrans o Teruncius

81 584

Triens

108 779

Quincunx

135 974

Semissis o sembella

163 169

Septunx

190 363

Bes

217 558

Dodrans

244 753

Dextans

271 948

Deunx

299 142

As o libra

326 337

 

Tavola E

Conversione delle libre romane in chilogrammi.

 

Chilogrammi.

As, libra o pondo

0 326

Dupondius

0 653

Tressis

0 979

Quadrussis

1 305

Quincussis

1 632

Sexcussis

1 958

Septussis

2 284

Octussis

2 611

Nonussis

2 937

Decussis

3 263

Centussis

32 634

 

§ 74. Prima di offrire nella tavola seguente la conversione delle monete romane in monete nostre, è necessario premettere una importante osservazione.

Per fare la riduzione delle unità di misura o di peso antiche in unità di misura o di peso moderne, non occorre che paragonare fra loro quantità di loro natura invariabili.

Per eseguire, del pari, la riduzione di un dato peso d'argento o d'oro monetato in altre monete di egual metallo, basta un semplice paragone fra i due pesi.

Ma se si volesse ridurre non più il peso delle antiche in peso di odierne monete, bensì il loro rispettivo valore, l'operazione si complicherebbe di un gran numero di dati, ed in molti casi diventerebbe affatto impossibile.

È dato, in altri termini, assegnare perfettamente la quantità d'oro o d'argento contenuta nella maggior parte delle antiche monete, e partendo da questa base il dire a quante lire o a quante frazioni di lira quei dischi metallici corrispondano. Ma non così lo stabilire il rapporto esistente tra la potenza di scambio che le quantità di metallo coniato nelle due epoche rappresentano. Sono queste verità che meglio imparerete, o giovani, nel processo de' vostri studi, massime se non tralascierete di meditare un giorno gl'insegnamenti di una scienza che gli antichi non possedevano, e che fece i più mirabili progressi appo i moderni, della scienza economica. Per ora la sola cosa che posso dirvi si è che l'oro e l'argento avevano, presso i Romani non che in tutta l'antichità, una potenza di scambio maggiore di quella che hanno fra noi; o, in altre parole, che quel peso metallo che oggidì può comprare certe cose sul mercato, comprava allora un numero maggiore di cose.

Ciò posto, eccovi i principali rapporti monetari che vi è utile conoscere

 

Tavola F

Conversione delle monete romane in lire ed in centesimi.

 

L. C.

Danaro d'argento (tipo dell'anno 485 di Roma)

1 63

            Id.            (  »          »       510         »    )

0 87

            Id.            (  »          »       513         »    )

0 78

Scrupolo d'oro (dall'anno 547 all'anno 707)

3 88

Aureus sotto Cesare

27 95

      »       »     Augusto

26 89

      »       »     Tiberio

26 56

      »       »     Claudio

26 35

      »       »     Nerone

25 42

      »     Da Galba agli Antonini

24 93

Soldo d'oro di Costantino

15 53

      »            Sotto i successori di Costantino

15 10


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