Gerolamo Boccardo
Manuale di antichità romane

CAPO NONO   Classi sacerdotali – Luoghi sacri – Preghiere. Sacrifizi pubblici e privati.

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CAPO NONO

 

Classi sacerdotaliLuoghi sacriPreghiere.

Sacrifizi pubblici e privati.

 

 

§ 79. In due grandi classi possono ripartirsi i Sacerdoti e ministri del culto pagano. Comprende la prima quei sacerdoti che, senza essere addetti al servizio di alcuna speciale deità, adempivano in generale alle funzioni ed ai riti religiosi. La seconda contiene quei ch'erano destinati al particolare servizio di una qualche divinità.

§ 80. Nella prima categoria conviene distinguere:

I Pontefici. – Istituiti da Numa, e così nomati dal primo Ponte sul Tevere, affidato loro in custodia, originariamente erano quattro, e dovevano essere patrizii. Ma nell'anno 454 la plebe cominciò ad aggiungerne altri quattro presi dal suo seno. Silla ve ne aggregò altri sette. I primi otto rimasero col nome di Majores; e gli altri sette Minores furono detti. Si elessero nel loro proprio collegio fino alla legge Domizia (a. 649 di Roma); questa decretò che dai Comizi tributi si estraessero a sorte; Silla abrogò, Labieno (a. 690) richiamò in vigore questa legge; sotto gli Imperatori a questa bisogna presiedette l'arbitrio.

Ufficio de' Pontefici era: decidere tutte le questioni relative a cose sacre; fare leggi e regolamenti a ciò necessari ed opportuni; sopravvegliare agli altri ministri del culto; e adempire varie più specifiche incumbenze, come quella relativa al mese Mercedonio, di cui sopra favellammo.

Comechè grandissima fosse la loro autorità, andavan però soggetti al potere censorio. – Ciò che tre Pontefici decretato avessero, era tosto per cosa santa reputato.

Presiedeva il collegio dei Pontefici il Pontifex Maximus, eletto dal collegio stesso, fra patrizi in prima. Ma nell'anno 500 di Roma Tito Coruncanio fu, benchè plebeo, chiamato alla grande dignità, dalla quale non furono poi più esclusi quelli dell'ordine suo. Da Augusto in poi se la arrogarono gli Imperatori.

§ 81. Gli Auguri. – Romolo tre ne instituì; un altro re (forse Servio Tullio) ne aggiunse un quarto: tutti patrizi. Ma cinque plebei vi furono aggiunti nell'anno 454 di Roma: e da Silla il numero totale fu portato a quindici, presieduti dal Magister Collegii. Erano a vita.

Predire il futuro, interpretare il canto, il volo degli augelli era il precipuo loro incarico. Il popolo li venerava; i dotti li tenevano per ciarlatani, e Cicerone argutamente si maravigliava come due Auguri scambievolmente si potessero senza ridere.

§ 82. Gli Aruspici, così detti a victimis in ara inspiciendis. – Tre ne elesse Romolo, ma anche il loro Collegio, come i precedenti, s'accrebbe in progresso. Eran tenuti in minore onoranza degli Auguri; avevano per ufficio di preconizzare le cose avvenire dal modo col quale le vittime sull'ara perivano, dal fumo, dalla fiamma, ecc.

§ 83. I Quindicemviri. – A due illustri personaggi i Tarquini avevano affidata la custodia dei Libri Sibillini, che dall'Etruria erano stati portati in Roma, a spiegazione de' portenti. Poscia il numero di questi sacerdoti fu eretto a quindici, d'onde il nome loro.

§ 84. Gli Arvali; i Curioni; i Septemviri Epulonum; i Feciali; i Tiziensi; i Regi sacrorum: erano minori sacerdoti ed inservienti del tempio, dei quali lungo troppo sarebbe di qui partitamente discorrere.

§ 85. Fra i sacerdoti addetti al servizio ed al culto dei singoli Dei, noteremo:

I Flamini. – Così in genere dicevansi i sacerdoti d'una speciale divinità qualunque. Majores Flamini furono i tre primamente creati da Numa, detti Dialis, Martialis, Quirinalis. Agli altri, successivamente eletti, restò il nome di Minori.

I Salii. – Creati da Numa in occasione d'una pestilenza.

I Luperci, Sacerdoti di Pane.

I Politii e Pinarii, di Ercole.

Le Vestali, di Vesta.

I Galli, di Marte.

§ 86. Camilli e Camillæ dicevansi i fanciulli e le ragazze che aiutavano i sacerdoti nelle opere minori del culto; Æditui o Editumi, coloro che custodivano le Ædes, o Templi.

Popae e Victimarii, coloro che legavano e portavano le vittime.

Lictores, Scribæ, Pullari, ed altri erano gli infimi servitori del tempio.

§ 87. I luoghi nei quali i sacri riti si celebravano, chiamavansi Templa, Ædes sacræ, Fana, Delubra, Sacella e Luci.

Templum derivò da templare o da tueri, i quali due verbi significano egualmente vedere. Ædes sacræ; sacre magioni, sacre case dicevansi i templi nei quali le religiose cerimonie si eseguivano. Fana eran pur nomate, dacchè il Pontefice, nell'atto di consacrarle, certe parole pronunciava, fatur. Delubrum dicesi un luogo che precede il tempio, nel quale, quasi in vestibolo, sordes deluebant, le immondezze si lavavano. Sacellum è diminutivo di sacro. Luci erano le selve sacre agli Dei, così dette a lucendo, perocchè in esse molti lumi in onore della divinità si accendevano.

I Vasi sacri erano i vari utensili ed arredi che alle religiose cerimonie servivano. Acerra, chiamavasi o foculus, la navetta in cui accendevasi l'incenso. Turibulum era quel vaso in cui l'incenso si conteneva. Arroge il Prœfericulum, il Simpulum o Simpuvium, il Guttum, la Patera, il Malleus, l'Aspergillum, i Capides, il Candelabro, l'Altare, l'Ara, ecc., ecc.

§ 88. Il sacro culto componevasi essenzialmente di preghiere e di sacrificii.

I preganti stavano velato il capo: da quando a quando s'accostavano all'ara o la toccavano, mentre il sacerdote intuonava il cantico, acciocchè non isbagliassero l'ordine delle orazioni. I più caldi e zelanti affiggevano alle ginocchia delle statue piccole schede nelle quali avevano scritti i loro voti e desiderii: ed, in segno di fervore, ungevano con aromi questi simulacri degli Dei, e poscia con viva acqua li lavavano.

§ 89. Primo precetto dalle Leggi delle Dodici Tavole inditto a chi a sacrificare s'accostasse, era di presentarsi all'opra santa con casto animo. Ei doveva inoltre lavarsi, massime le mani, in vasi che, se grandi, favissæ: se piccoli, futilia si chiamavano. Vesti pure e candide portar doveva; e il capo incoronato di fiori votivi.

Tra gli animali immolati, altri eran detti Hostia, altri Victimæ. I primi da chiunque potevano essere sacrificati, i secondi, propriamente, solo da chi avea vinto in guerra e trionfante rediva, come il vocabolo stesso accenna.

Gli animali sacrificandi esser dovevano di corpo integro e bello; tutti a qualunque Dio, ma ad ogni divinità quelli che più le si supponevano accetti, si dedicavano. Ornavansi di corone di fiori nell'atto che si traevano all'ara.

Nel fare il sacrificio, il Sacerdote cominciava dall'imporre il silenzio colla consacrata parola: Hoc age; e favete linguis. Quindi aspergevasi la vittima di sale ed unguenti. Poscia il Sacerdote libava un qualche sorso di vino, e ne porgeva anche a gustare agli astanti. Svelleva poi dalla fronte della bestia alcuni peli, che, gettati sull'ara, dicevansi libamina prima. Accendevasi quindi il fuoco sull'ara; bruciavasi incenso; i vittimarii con lunghe e lente corde (acciocchè non paresse forzata, il che avevasi per malo augurio) conducevano la vittima; la quale veniva quindi ferita con la scure e col coltello, e il sangue era nelle patere raccolto. Posta quindi sull'altare la vittima, tagliavasi, talora intera abbruciavasi. Ma il più delle volte i sacrificanti ne conservavano la maggior porzione, che con gli amici mangiavano.

Compiuto il sacrificio, lavate le mani, dimettevasi e licenziavasi il pubblico, con le parole Licet o Extemplo.

§ 90. Distinguevansi, dapprima, i sacrifizî, a seconda ch'erano fatti agli Dei superni od agli inferni: quegli più lieti, questi più mesti e solenni. Altri erano Espiatorii, altri Februalii o Lustratorii, altri Pubblici e con intervento del popolo, altri domestici e privati, ecc.


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