Paola Drigo
Codino

Il voto alle donne.

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Il voto alle donne.

 

Carla Mainardi, Valeria Offredi e Giulietta Malvezzi senza farsi annunciare irruppero come una folata di vento nel boudoir della loro più intima amica, la contessa Anna Visconti.

La grande stanza chiara, dalle pareti tese di una pallida stoffa a ghirlandette azzurre, dava sul giardino, e, dalle ampie vetrate, si vedevano gli alberi inchinarsi lievemente, stringersi quasi l'un l'altro rabbrividendo sotto la pungente carezza del cielo invernale. Fuori doveva far molto freddo, ma nel salotto il tepore era dolcissimo, ed Anna indossava una leggera veste di merletto bianco ed aveva il collo e le braccia nude.

All'entrare delle ragazze ella era nel mezzo del boudoir, e precisamente quasi sotto alla tavola, in una posa tutt'altro che estetica e dignitosa: carponi sul tappeto, scapigliata, intenta a portare a cavalluccio il suo adorabile baby di un anno e mezzo, biondo come un cherubino. Il baby le tirava irriverentemente i capelli e balbettava: – hop! hop! – la nurse inglese sorvegliava con molto sussiego la cavalcata.

Al fruscìo delle gonne sul tappeto, Anna si volse vivamente e il suo bel viso s'imporporò di rossore, ma, ravvisate le amiche, scoppiò in una risata, ed esclamò gaiamente:

Toglietemi di sulle spalle il baby, Mistress Thompson; suonate per il samovar!Ora vi faccio il thè!

Fu invece Carla Mainardi a sollevare fra le braccia il piccolo cavallerizzo, e lo baciò; poi lo passò a Valeria, e Valeria a Giulietta, e tutte e tre se lo palleggiarono, lo baciucchiarono e lo accarezzarono, con molti cinguettìi di tenerezza ed esclamazioni d'entusiasmo.

Ma il piccoletto, a cui l'improvvisa invasione aveva troncato sul più bello la passeggiata trionfale, con viso aggrondato e una boccuccia che a fatica si tratteneva dal piangere, guardava severamente le tre amiche della sua mamma.

La nurse, prevedendo la tempesta vicina, lo ricoverò fra le sue braccia e lo portò fuori con passo affrettato.

Anna, tutta bella nell'ampia veste di merletto, si ravviò i capelli allo specchio, poi si avvicinò alle amiche che avevano già preso posto intorno alla tavola da thè, e le guardò sorridendo ad una ad una: Carla, sottile ed elegante nel costume di velluto verde a grossi alamari neri; Valeria, pallidetta, bruna, con un casco di capelli nerissimi sotto la toque di lontra che incorniciava un volto mobilissimo e capriccioso; Giulietta, bionda, rosea, una deliziosa bambolina; poi sentenziò con gravità:

– Avete tutte e tre il naso rosso.

E sedette.

Nessuna delle visitatrici protestò. Erano abituate a quelle uscite di Anna: benchè maggiore di loro di quasi un anno, benchè si fosse sposata, e avesse un bimbo, e una collana di perle che le arrivava fino ai ginocchi, era rimasta sempre la stessa bambina; e le quattro giovani donne avevano passato insieme otto anni al Collegio dell'Annunziata, si vedevano ogni giorno, si erano giurate fedeltà e sincerità eterne, e malgrado il matrimonio di Anna, malgrado il fidanzamento di Giulietta e di Carla, tenevano fede al loro giuramento.

– Abbiamo il naso rosso perchè veniamo dalla conferenza, – disse Giulietta. – Faceva un freddo da Siberia al Collegio Romano.

– Non c'era gente? – chiese Anna mettendo lo zucchero nelle tazze.

– Moltissima. Tutte donne. Una desolazione.

– La conferenza?

Bellissima e noiosissima.

– Il conferenziere?

Piccolo, giallo, cogli occhiali, con una gran zazzera di riccioli neri. Me lo figuravo del tutto diverso, leggendo le sue poesie.… Ha incominciato con un filo di voce, poi s'è rinfrancato.… Forse l'uditorio l'aveva intimidito.

– Ma che intimidito! – esclamò Valeria. – Un uomo del suo valore!… Sarà stato contrariato, seccato, piuttosto. E si capisce! Un pubblico di tutte donne!… Per conto mio dichiaro che, se fossi conferenziere, un uditorio esclusivamente femminile mi darebbe ai nervi quanto le sedie vuote. Tanto, è lo stesso. Le donne che vanno alle conferenze non capiscono nulla.

– Neppure tu? – chiese Giulietta ridendo col suo bel viso roseo sotto la toque d'ermellino.

– Io?… Io non sto attenta. E tu neppure. E Carla peggio di noi. Di Anna non parlo. E siamo fra le più intelligenti! E all'Annunziata ci chiamavano il Cenacolo! Figurarsi le altre!

Carla inghiottì in fretta un gran boccone di plum-cake, poi guardò l'amica con aria molto scandalizzata.

Valeria come sempre è la contraddizione fatta persona, – diss'ella rivolgendosi alla padrona di casa. – Oggi, le donne non capiscono niente, ieri, valevano molto più degli uomini; oggi, parla di loro con disprezzo e le getta a mare come fossero detestabili oche, ieri, avevano diritto di essere elettrici ed anche elette. Chi ci si raccapezza?… Non più tardi di iersera, figurati, in casa Averoldi ha tenuto una concione in favore del suffragio femminile. L'avessi udita, Anna! Pareva una suffragetta inglese. Enzo Offredi ha tentato una timida protesta e s'è avuta una rispostaccia; due ufficiali di cavalleria, che non sapevano come fare ad andarsene, erano allibiti, e non le faranno più la corte.

Meglio! – esclamò sdegnosamente Valeria. – Tanto di guadagnato!… Ma tu non hai capito nulla, sai?… Io non mi contraddico affatto. Io ho detto e ripeto che il pubblico femminile che frequenta le conferenze è quasi tutto un pubblico di snobs, impreparato o disattento, che va al Collegio Romano come va al tennis o allo skating, per moda, per ozio; e non muoverei un dito perchè fossero accordati, a questa categoria di donne, privilegi maggiori di quelli che hanno già. Che ne dici, Anna? Non sei del mio parere?… A questa categoria di donne apparteniamo anche noi, intendiamoci!

– In fondo non hai tutti i torti, – rispose Anna in tono conciliante, – fatte le debite eccezioni.…

– Ma c'è una quantità di donne profondamente diverse da noi, – proseguì Valeria accalorandosi, – per intelligenza, per attività, per coltura: donne che lavorano, che contribuiscono al mantenimento delle famiglie, che dividono cogli uomini tutti i doveri e tutte le asprezze della vita.…

– Tu credi che ce ne siano molte? – disse Anna con aria incredula.

Dove sono? – chiese Giulietta ridendo.

Dove sono?… Noi non le vediamo perchè sono nelle fabbriche, nei bureaux, negli uffici, nelle scuole, e la loro esistenza è così lontana dalla nostra quanto la terra dalla luna. Ma non è giusto ignorare che ci siano, non è giusto, noi donne, non riconoscere ad esse tutti i diritti, sì, tutti i diritti, anche quello di voto. Questo dicevo iersera in casa Averoldi, e lo dirò sempre, a costo di sembrare una suffragetta inglese. Quando si pensa che alla Camera gli analfabeti sono stati trattati meglio delle maestre, delle cassiere, delle direttrici di aziende importanti! Noi che siamo ricche, che siamo oziose, che abbiamo una vita facile, frivola, divertente, possiamo benissimo nous passer del diritto di voto.… Ma esse, esse che lavorano, che lottano, che hanno piegato il corpo e lo spirito a una dura disciplina, che in pochi anni hanno saputo elevarsi di tanto dall'apatia, dall'ignoranza, dalla pigrizia intellettuale e morale che caratterizzava la donna, non dovrebbero assolutamente essere posposte al primo analfabeta vagabondo, unicamente perchè sono donne. Del resto, anche per noi quattro personalmente, sai, Anna, il vantaggio non sarebbe disprezzabile, e metterebbe a posto moltissime cose.

– Tu credi? – ripetè Anna con incredulità.

– Ne sono sicura. Senti, rispondi soltanto alle domande che ti farò. Poi, ti dirò una mia ipotesi. Secondo te, il baby appartiene più a te o a tuo marito?

– A me! a me! a me! – esclamò la giovane madre arrossendo dalla fronte alla nuca. – Che domande!

Calmati, ne sono convintissima. Capirai, non siamo più nei tempi in cui le ragazze credevano che i bambini si trovassero bell'e pronti sotto una foglia di cavolo. Carla, Giulietta ed io sappiamo benissimo che il baby è tuo, immensamente più tuo che di Giorgio, che l'hai fatto tu, con tuo sacrificio, con tuo dolore, e che tuo marito ci ha pochissimo merito.

– Anzi, nessuno, – sentenziarono Carla e Giulietta.

Diciamo pochissimo. Dunque il baby è tuo, quasi esclusivamente tuo: e tu ami, adori il tuo figlietto, vivi per lui, gli dedichi tutto il tuo tempo. Il baby cresce, si fa bello, grande, compie i sette anni. Ora viene l'ipotesi. Una bella mattina tuo marito si alza di cattivo umore e decreta che l'educazione che tu dài al piccolo è falsa, che così non verrà mai a capo di nulla, che è necessario allontanarlo da te, metterlo in un luogo dove la disciplina sia più ferma.

– Ma non è vero! – interruppe Anna con occhi spaventati.

– È la mia ipotesi, ti dico!… Continuo. Tu protesti, piangi, supplichi tuo marito di non toglierti il bambino: tutto inutile, egli è inflessibile. La tua parola non val nulla; la legge concede la patria potestà al padre, anche se è un nevrastenico, anche se è un vizioso, ed egli ti strappa il bimbo dalle braccia, lo caccia dai Barnabiti o dagli Scolopi e tu resti a piangere nella solitudine. Ti par giusto, questo? ti par giusto che la madre, che ha creato di la sua creatura, sia priva di ogni diritto su di essa, venga sempre in seconda o in terza linea quando esiste un padre?

– Ma è un'indegnità! – proruppero ad una voce Anna, Carla e Giulietta.

– Se le donne avessero uno zampino nella confezione delle leggi!… Ora, altro esempio. Voi, Carla e Giulietta, siete fidanzate. Amate, adorate, – va sans dire! – i vostri fidanzati; siete disposte, – va sans dire! – a seguirli in capo al mondo. Ma Carla sa benissimo che Federico ha un palazzo a Torino e che la sua nuova vita si svolgerà all'ombra della statua di Emanuele Filiberto: Giulietta sa che Venezia l'attende, e la più bella loggia sul Canal Grande. Vi sposate. Un bel giorno, ai vostri mariti salta il ghiribizzo di seppellirsi, l'uno a Pietrasanta nel castello avito chiuso nella valle fra due montagne nere, l'altro in Lomellina, fra le risaie e le rane. Voi potete protestare, potrete ribellarvi, ma in fine?… In fine non vi resta che obbedire. La legge parla chiaro. «La moglie deve seguire il marito.» Vi par giusto? equo? ragionevole?

– È un'indegnità!

– Che siamo noi, se non balocchi in preda della tirannia degli uomini? In qual conto sono tenute la nostra volontà, le nostre aspirazioni, la nostra «personalità»?… Ditemelo voi. Tutta la nostra vita riposa su di un'ipotesi: l'onestà mascolina!

– È ora di finirla! – esclamarono insieme le ascoltatrici con cipiglio severo. – Bisogna riformare le leggi!

– Veniamo a me, – disse Valeria lentamente e solennemente. – Io non mi fidanzerò, mi sposerò mai. – E diede un'occhiata circolare per vedere l'effetto dell'inattesa notizia.

Anna, Giulietta e Carla scoppiarono a ridere così fragorosamente, che le tazze da thè e la teiera d'argento e i cucchiaini tinnirono anch'essi sulla tavola con allegria.

– Questa è bellissima!… Da quando data quest'idea peregrina?

– Da giovedì. Giovedì come sapete ho compiuto vent'anni, e giovedì ho deciso, irrevocabilmente deciso, di rimanere zitella. Oggi è sabato e non ho ancora cambiato idea. Voi ridete, ma avete torto. Io sono disgustata, profondamente disgustata e disillusa della vita e degli uomini, care amiche. In questi due anni dacchè sono uscita di collegio ne ho viste tante!… Puah!… A parte il marito di Anna e i vostri fidanzati, lodevoli eccezioni, io credo che non vi sia un uomo, un solo uomo sull'orbe terracqueo, che valga la pena che gli si dedichi un pensiero. Perciò, da giovedì, ho deciso di dedicare la mia gioventù, la mia attività, la mia vita a un ideale più nobile del matrimonio: allo studio dei più importanti problemi sociali, al miglioramento delle classi femminili lavoratrici, che so io?… al divorzio!… In altri tempi, orfana come sono, senza fratelli sorelle, sola colla nonna, che purtroppo non vivrà eternamente, mi sarei fatta monaca, ed avrei finito badessa in qualche convento; oggi invece.… finirò, chi sa! magari deputato al Parlamento!…

Anna, Giulietta e Carla guardarono l'amica con tanto d'occhi. Parlava sul serio o si burlava di loro?… No, ella parlava sul serio, con calma, quasi con solennità; il suo bel volto mobilissimo ed espressivo, i bruni occhi intelligenti non scintillavano d'ironia; ella parlava proprio sul serio, non voleva burlarsi di loro!

E siccome, da tempo immemorabile, erano avvezze ad essere capitanate da quella vivace volontà, da quello spirito irrequieto e bizzarro, si allinearono docilmente davanti a lei, e incominciarono ad ammirarla.

– Infatti.… perchè dovrebbe esser precluso alle donne intelligenti e colte il campo politico? – disse gravemente Anna Visconti. – Tu, coll'intelligenza e la coltura che hai, ti lasceresti subito indietro, e di gran lunga, i signori uomini.…

– Non dico questo.… – obiettò modestamente Valeria, – ma certo.… noi che conosciamo abbastanza bene l'ambiente parlamentare.… non possiamo farci troppe illusioni. Beati monocoli.

Dio!… – proruppe Carla. – Quando papà era deputato io andavo spessissimo alla Camera.… La prima volta che udii parlare.… che disastro! Era un socialista, mi pare. Che delusione!… Voce chioccia, monotona; gestire goffo e impacciato; interminabile sfilata di cifre, nessuna genialità.… Già, chi ascoltava?… Tu, Valeria, colla tua verve, faresti furore.

– Non dico questo, – ripetè ancora Valeria, – ma certo.… se debbo esser franca con voi.… non credo che in questo momento.… vi siano alla Camera molti deputati.… come dire?… molti deputati.… meno bestie di me!

Più bestie! più bestie, ce n'è!… Un'infinità!… – proruppero unanimi Anna, Carla e Giulietta. E le quattro giovani donne si misero a ridere come quattro monelle.

– Tutto sommato, – proseguì Valeria, – vi pare che per il voto alle donne valga la pena di fare qualche cosa?

– Ma senza dubbio! È doveroso! È necessario!

– Prima di tutto bisognerà scuotere l'opinione pubblica, indurla a interessarsene di più, scuotere anche le donne del nostro ceto che sono tiepide o indifferenti. Si tratta di svegliare gli addormentati e dirigerli tutti da una stessa parte, verso lo stesso scopo. Vi ricordate quando all'Annunziata volevamo decidere qualche cosa a modo nostro? Eravamo quattro, e riescivamo a far pensare cento colla nostra testa. Nella vita è la stessa cosa. Volete che prendiamo noi l'iniziativa? Costituiamoci in comitato provvisorio: le quattro presenti, Anna presidentessa; e decidiamo.…

– Per oggi ormai non si può decidere più nulla, – disse Giulietta guardando l'ora sul braccialetto, – sono già le sette e dieci, e alle sette e un quarto l'automobile sarà qui a prenderci.…

– E prima di pranzo io debbo ancora cambiar d'abito! – disse Anna guardando con una certa confusione la sua veste di merletto strappata in due punti dalle manine del baby.

– Si può sempre decidere una seduta, – oppose Valeria, – una seduta preliminare, da tenersi nel più assoluto mistero, dove si getteranno le basi del nostro programma di combattimento, si proporranno altri nomi, ecc., ecc.… Dei risultati della seduta redigeremo poi un bel verbale e gli daremo la più ampia pubblicità.…

Bisognerà nominare un segretario, – disse Anna. – Un comitato senza segretario non è serio.

– Chi si nomina?

Enzo Offredi! – dissero ad una voce Carla e Giulietta.

– A me non pare adatto, – giudicò severamente Valeria guardandosi la punta delle scarpine.

Perchè?

– .…Non è femminista convinto.

– Ma come?… Se l'ho sentito l'altra sera dichiarare che per conto suo concederebbe alle donne tutti i diritti?

– L'avrà detto, – rispose sprezzantemente Valeria, – ma non lo pensava.… Ed è banderuola ad ogni vento.

– Allora non saprei proprio chi.… – riflettè Anna. – Non parliamo di mio marito che è un chiacchierone, e che spiattellerebbe tutto ai suoi amici prima del tempo; non parliamo di Federico che è un codino, di Carlo che si disinteressa completamente di tutto quello che non è sport. Chi dunque?… Credi, Valeria, che Enzo Offredi, per la sua doppia qualità di tuo cugino e di ragazzo intelligente, è indicatissimo.

Va bene, – disse Valeria rovesciando la testina sulla spalliera della poltrona e contemplando il soffitto. – Io non ne sono persuasa, ma se accomoda a voi, prendetelo. Scrivetegli partecipandogli la nomina ed invitandolo per domani.

– Ah, questo poi! – esclamò Anna. – Scrivigli tu, cara. Sei tu la scrittrice della compagnia! Noi firmeremo. Vuoi la carta? Eccola.

Allora Valeria Offredi col suo largo, lungo e spinoso carattere scrisse:

«Al Conte Lorenzo Offredi,

«Il Comitato provvisorio costituitosi oggi in Palazzo Visconti allo scopo di fondare una Lega di propaganda in favore del suffragio femminile ha nominato ad unanimità la S. V. I. a suo segretario, e L'invita alla seduta preliminare che avrà luogo domenica alle ore tredici.…

Valeria s'interruppe ed alzò il capo.

– Che avrà luogo, dove? – chiese ella. – Qui da te, Anna?

– Se volete! – disse Anna. – Ma col pericolo che il naso di Giorgio faccia capolino ad ogni momento. Oggi non c'era perchè aveva appuntamento di caccia, ma è un miracolo.…

– Da te, Carla?

– Nel mio salotto hanno diritto di ingresso anche le mie cinque sorelle! – sospirò Carla.

– Ed io non ho salottoconfessò Giulietta. – L'avrò tra sei mesi, quando compirò vent'anni.

– Da te, da te, da te, Valeria, – decretò Anna. – Meglio di tutto!

– Dunque, da me, – sospirò Valeria, – e scrisse:

«.… che avrà luogo in Casa Offredi».

Firmate?

Ed esse firmarono:

«Anna Visconti Vanutelli, presidente. – Carla Mainardi. – Giulietta Malvezzi».

E sotto di tutte, con un gran frego di penna che pareva una spada sguainata, firmò:

Valeria Offredi.

Si lasciarono con molti baci ad Anna, e virili strette di mano, giurando, come a Pontida, di ritrovarsi indubbiamente l'indomani al posto di combattimento.

 

*

 

L'indomani mattina Valeria, abbigliatasi con lodevole semplicità di un vestito di molle crespo grigio appena appena ravvivato dalla nota violenta d'una rosa rossa alla cintura, entrò nel suo salottino, e guardandosi, intorno notò con grave contrarietà che esso era troppo civettuolo.

Negli angoli, basse giardiniere in lacca verde traboccavano di azalee bianche e rosa tutte in fiore, la tavola da thè scintillava di cristalli e di argenti; gli specchi lucevano: sulla scrivania facevano capolino con un malizioso sorriso ricordi di cotillons e di papers; alle pareti, deliziose stampe inglesi del Settecento raffiguravano donnine incipriate e infiocchettate; e, quasi tutto ciò non bastasse, il salotto si apriva con una gran porta sulla veranda di ferro e vetro, una specie di serra tiepida e odorosa, in quel mattino inondata da uno splendido, da un fulgido sole.

Valeria si guardò intorno e disse:

– Non va. Bisogna intonare l'ambiente alle idee. Dove l'ho letto? Non so, ma certo è una grande verità. Non è possibile qui, in questo frivolo salottino, discutere seriamente di cose serie.

Fece chiamare il giardiniere e gli ordinò di togliere le azalee e sostituirle con felci, di vuotare le coppe dalle rose e metterci violette, sole violette. Poi nascose in un cassetto i ricordi dei balli, delle caccie; alleggerì la mensola di tutti i libri d'uomini: anche i nove volumi di Rolland, del suo Rolland ch'ella adorava, scomparvero nell'ecatombe generale. Mise invece in bella mostra molti libri di donne: italiane, francesi, inglesi, russe, svedesi, chinesi, africane; alcuni avevano le pagine ancora intonse, ed ella in fretta le tagliò. Infine spedì Mademoiselle dal libraio a cercare i ritratti delle più note suffragette inglesi e li appese al posto delle graziose damine del Settecento, senza nessun pudore per la loro bruttezza. Il salotto aveva finalmente un'aria più seria.

Alle dodici e tre quarti Valeria istruì Mademoiselle.

– Voi starete , sulla veranda, sans bouger. Potrete leggere o lavorare, ma, finchè dura la seduta, silenzio. C'est entendu?

Mlle Marie, avvezza da lungo tempo a fare, com'ella diceva fra , il medico di Luigi di Baviera, obbedì sull'istante e sedette sotto una palma in compagnia del Dernier Abencérage.

L'orologio segnava le tredici meno dieci minuti quando il cameriere entrò presentando a Valeria sul vassoio d'argento una gran busta grigia dallo stemma purpureo.

Anna! – indovinò Valeria, e s'affrettò a leggere.

«Mia diletta amica, il baby che, come sai, sta per mettere un dentino, ha passato una notte inquietissima ed ha un po' di febbre; puoi immaginare la nostra trepidazione. Proprio non mi sento il coraggio di lasciarlo in quest'ora in cui appunto deve venire il medico. Perdonami, ti prego. Stasera ho a pranzo Giulietta e forse anche Carla, e conto di sapere da loro i particolari della seduta.… ecc., ecc.»

Valeria non seppe trattenere un moto d'impazienza e gettò la lettera sulla scrivania.

– Per un dente! – diss'ella. – Che esagerazioni!

Ed ecco rientra il cameriere col vassoio. Due lettere: una azzurra, l'altra rosa.

«Valeria mia! – dice la lettera azzurra. – Ti prego, ti supplico di perdonarmi, di non giudicarmi male, ma saprai che quella famosa sarta da cui aspetto da tanto tempo due toilettes da sera, mi ha telefonato in questo momento che sarà a casa nostra verso le quattordici. Non posso assolutamente assentarmi, e te ne chieggo mille volte scusa! Ma già stasera sono a pranzo da Anna e conto di sapere da lei i particolari.… ecc.».

Valeria non terminò di leggere e spiegazzò la lettera fra le mani con disprezzo. Aprì l'altra e la scorse.

«Cara, amica mia, tesoro mio, non so come incominciare questa lettera e confessarti che iersera mi sono lasciata sfuggire una parola con Federico sui nostri progetti, sulle nostre discussioni, e con mio vivo dolore egli mi ha proibito d'interessarmene. Io non so come dirti la mia mortificazione per mancare così alle promesse, ma d'altra parte so che tu non mi consiglieresti certo di dare un dispiacere a Federico, che amo tanto.… Stasera con Giulietta vado a pranzo da Anna, e conto.… ecc., ecc.»

– Ma questo è un vero tradimento! – scattò fremendo Valeria. – Ecco le donne! Tragiche, leggere, o deboli!… E intanto.… e intanto, per un pretesto o per l'altro, mancano tutte e tre.… Ed ora.… ed ora verrà Enzo!… Ah no! – esclamò ella gettando un ansioso sguardo all'orologio – sono ancora in tempo di fargli telefonare! Mademoiselle, je vous prie, téléphonez.

Ma non ebbe campo di terminare la frase, che sulla soglia del salotto apparve l'elegante figura del conte Enzo Offredi. L'orologio segnava le tredici in punto.

– Le mie illustri amiche si sono vergognosamente scusatedisse la fanciulla in fretta al cugino senza stendergli la mano. – Le lettere sono . La seduta è deserta.

Un fugacissimo sorriso balenò sul volto del giovane. Valeria arrossì vivamente.

Scusamidiss'ella – vorresti spiegarmi che cosa significa il tuo sorriso?… Non mi farai l'onore di supporre che abbia inventato seduta e suffragio femminile per avere il piacere di vederti?

– Sta tranquillarispose egli – non nutro illusioni. So che non hai di questi pensieri gentili. Il mio sorriso significava semplicemente: – «Non sono venute? – Tanto meglio». – Vuoi permettermi di sedere?

Valeria non rispose, ma sedette ella stessa, ad occhi bassi, sul piccolo divano. Il pavimento doveva interessarla immensamente poichè per ben due volte ella contò i quadratini di legno chiaro e di legno scuro che componevano il rosone centrale. Quando si fu ben assicurata ch'erano ventisette, alzò sul cugino due occhi feroci. E domandò:

– Che cosa pensi del diritto di voto?

Enzo, che tamburellava colla mano sul bracciale della poltrona, non mosse ciglio, ma replicò con molta gentilezza:

– E tu?

Penso che è giusto, doveroso, necessario! Tu già non sarai del mio parere.…

– Al contrario! Siamo perfettamente d'accordo! Ma.… t'interessa proprio molto, il diritto di voto?

– Ne dubiteresti? Ti ripeto che non vorrai credere.…

– No, no, no, non credo nulla! Soltanto, scusami, ma il tuo interesse mi pare un po' strano.…

– E perchè, se è lecito?

Perchè in generale le donne carine, intelligenti, eleganti come te, hanno una missione già così completa nella vita che non resta loro tempo per queste malinconie.

– Una missione? Quale, missione? – chiese Valeria con viso scuro.

– Oh Dio, come dire?… Prima di tutto.… sono missione a stesse. Devono conservarsi belle, piacere, essere graziose, amare ed essere amate. Oppure, se vuoi delle parole più serie da poter mettere a verbale, hanno la casa, la famiglia, la maternità.…

Povero Enzo! – interruppe Valeria in tono fra sdegnoso e pietoso. – Anna Visconti dice che sei intelligente, ma hai delle idee molto vecchie! Amate, amate, amate. Con questa ricetta, e con un po' d'incenso bruciate sull'altare della vanità femminile, credi di aver risolto la questione!… Prima di tutto, non tutte le donne sono belle, intelligenti, eleganti, e poi anche fra queste, anche fra le privilegiate, quante, Dio mio, quante! non avranno mai una casa, una famiglia, non vorranno amare, essere amate!…

– Quante? – sorrise Enzo. – Tu scherzi; io non ne conosco neppure una.

– E allora preparati a fare la conoscenza della prima – disse Valeria con dignitosa malinconia. – Io, per esempio, io stessa, che tu cavallerescamente hai annoverato fra le elette, non avrò mai una famiglia mia, non mi sposerò mai. Mi secca di non avere un bambino, ma del resto.…

Mlle Marie lasciò cadere Le dernier Abencérage e lo raccolse dimenandosi sulla seggiola con qualche scricchiolìo.

– Ma del resto.… Perchè dovrebbe essere precluso alle donne il campo politico? Lo diceva ieri anche Anna, e se esse fossero venute, ti avrebbero persuaso.…

– Ma non ce n'è nessun bisogno! – esclamò Enzo con ferma convinzione. – Ti assicuro che io condivido completamente, assolutamente, le tue idee, che sono disposto alla lotta più accanita, alla propaganda più assidua, e da gran tempoda lunghissimo tempo!dedico i miei studî al problema del suffragio femminile, e lo reputo senz'altro una necessità.

Detto questo, Enzo si alzò, fece un giro per il salotto, accese una sigaretta, si fermò sotto ai ritratti delle suffragette.

Brr!… Chi sono queste signore?

– Sono suffragette inglesi, – rispose Valeria senza alzare gli occhi. – Per te non c'è nulla di sacro.

Enzo riprese a passeggiare in silenzio. A un tratto si riavvicinò alla giovinetta e si chinò verso di lei cercando insistentemente il suo sguardo che lo sfuggiva.

– Vuoi farmi la carità di non parlarne più per oggi?

– Di che?

– Del diritto di voto.

– La seduta era indetta per questo, – rispose la fanciulla severamente, e riprese a contare i quadratini del rosone centrale.

– Ma giacchè le tue amiche hanno avuto lo squisito pensiero, il lampo di genio di non venire, non possiamo parlare di qualche cosa di più interessante, Valeria?… Di.… di noi, per esempio?… Da un secolo, non ti vedo sola, e tu devi aver suggestionato la nonna a non invitarmi più a prendere il thè con voi come per il passato.

– Non è vero, – oppose impetuosamente Valeria. – Non sono io. Lo meriteresti, ma non sono io. La nonna è più sofferente del solito da qualche tempo e non vuol vedere nessuno. Non sono io.

– E allora?… Perchè mi hai accolto anche oggi come se fossi un delinquente? Perchè non mi concedi più di trovarti qui, di passare con te qualche ora di buona camaraderie?Ormai non c'incontriamo più che in società, e non ci avviciniamo che per ferirci.… Anche giovedì ci siamo lasciati così male.…

– Non me ne sono accorta, – disse freddamente Valeria.

– Me ne sono accorto io, – sospirò il giovane. – Non ti sei neppure accorta di aver dato al tenente Doria la gardenia che io t'avevo offerto? Non ti sei accorta di aver ballato tre volte di seguito con Vitelleschi?… Tu scherzi troppo, Valeria, e mi torturi troppo.…

– E tu? – proruppe ella colle labbra tremanti sollevando per la prima volta i begli occhi in faccia al cugino. – E tu?… Credi che non abbia visto che hai aiutato Graziella a riallacciarsi la spallina del corsage? Credi che non sappia che le hai dedicato la Sinfonia in mi minore?… Sei libero di farlo, ma non fingere adesso con me, – conchiuse ella con orgogliosa amarezza.

– No, non fingo con te! – esclamò Enzo con impeto. – Non fingo con te. Fingevo coll'altra, per farti un poco soffrire, per vendicarmi, se amavi un altro.…

– Ma che vendetta sarebbe mai la tua, se amassi un altro?… Se amassi un altro, come potrei neppure accorgermi di quello che tu dici e fai?…

– È vero, è vero, cara! – riconobbe egli, – Ma quando si è innamorati si diventa anche stupidi o pazzi!… Io temo troppo, vedi, dubito troppo.… non ho mai avuto da te la certezza.… tu non mi hai ancora mai, mai detto.… Se tu mi dicessi, se tu mi dicessi, Valeria, quanto più buoni, quanto più felici saremmo forse tutti e due!… – ed Enzo si chinò vivamente ed afferrò la manina delicata che tremava. Se l'appoggiò sulla fronte, poi l'avvicinò alle labbra, e lentamente ne baciò le dita sottili ad una ad una.

La seggiola del «medico di Luigi di Baviera»scricchiolò con discrezione. Essi non l'udirono. Quando non rimase più da baciare che il mignolo, Valeria svincolò debolmente la mano, ed egli la guardò.… E la vide: pallida, sottile nell'angolo del piccolo divano, cogli occhi ingenui e ardenti, colla rosa, rossa come le sue belle labbra, alla cintura. Un impeto lo prese di baciarla, di stringerla, di serrarla tutta a .

Senti.… – diss'egli a voce bassissima e veemente. – Senti.… Non vuoi dirmi?… Non sai dirmi?… Nulla?… Nulla?… Quello che da tanto tempo aspetto?… che sogno, che desidero e che spero?… quello che da tanto tempo tutti e due sappiamo, e non abbiamo mai avuto coraggio di dirci?…

Ella taceva, ma tutta la sua delicata bellezza risplendeva, come se l'amore fosse per quel terso cristallo il suo lume, e per quella vita, la ragione di vita.

Cara.… permetti che il babbo chiegga domani la tua mano alla nonna?…

E la risposta non fu udita, ma Mlle Marie dal suo osservatorio vide delinearsi sull'orizzonte l'inevitabile certezza di un bacio. Esterrefatta balzò dalla veranda in salotto. I due la guardarono come trasognati.

Dio, come sono felice! – esclamò Enzo stringendole la destra.

Dio, come sono felice! – esclamò Valeria stringendole la sinistra.

Adesso corro subito dal babbo! – disse il giovane cogli occhi scintillanti.

– Ed io subito dalla nonna! – disse Valeria sorridendo al suo amore.

Per la seconda volta sull'orizzonte sgombro di nubi si delineò inevitabile l'arcobaleno di un bacio, ma Mlle Marie era così commossa che non osò intervenire, e soffiandosi il naso preferì dedicare la sua attenzione alle suffragette.

Poi Enzo se ne andò davvero, e Valeria rimase sola in mezzo al salotto.

Ora vado dalla nonna.… – ripetè ella come in sogno.

Ma ad un tratto i suoi occhi furono colpiti dalle tre lettere, la grigia, la rosa e l'azzurra, che giacevano spiegazzate sulla scrivania. Allora, con una mossa repentina, ella afferrò uno dei suoi grandi fogli di carta scarlatta che Anna aveva battezzato colore della rivoluzione e, col suo largo, lungo e spinoso carattere in fretta e furia scrisse:

«Care amiche. Avete fatto benissimo a non venire. Per il voto alle donne i tempi non sono ancora maturi. Ci penseremo quando saremo vecchie.

Valeria.


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