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La marchesa Eleonora, ricondotta in camera la figliuola, senza mettere tempo in mezzo, secondo i consigli di Ignazio, cominciò a carezzarla amorosamente. Amalia la ricambiava di soavissimi baci.
— Sai tu, figliuola mia, — le disse — chi è colui che dianzi era con noi? È il piú ricco negoziante di Firenze.
—— Davvero!
— È un uomo onesto e dabbene che possiede tanti milioni. È affezionatissimo a casa nostra.
— Curioso! È ora la prima volta che lo vedo.
— Ha un figlio, unico erede di tutte le sue immense ricchezze; giovanotto educato, avvenente e docile; il padre vorrebbe dargli moglie: credimi, è un angiolo, si è innamorato di te; — a queste parole l'Amalia rabbrividí come avesse avuto una repentina scossa di nervi — si è innamorato di te, e il genitore è venuto a chiederti rispettosamente s'io volessi consentire. Che ne di' tu? Oramai, Amalia mia, tu sei da marito, bisogna che tu lo pigli; bisogna che io ti dia stato: la vita e la morte sono nelle mani di Dio. Io innanzi di morire — e tu vedi che non posso campare a lungo — vorrò avere la consolazione di vederti felice.
— Madre mia — disse con tremula voce la giovinetta. — e perché vuoi cosí presto dividermi da te? Perché mi cacci via? Di che colpa sono io rea?
— No figlia, che parli di dividerci? Io voglio il tuo bene, cuor mio; a questo passo bisogna venirci una volta. O perché vuol tu lasciar fuggire questa occasione cosí rara?
— Madre! Non darmi questo dolore; io non voglio marito — disse l'Amalia mentre, gettate le braccia al collo della marchesa, le si abbandonava sul seno nascondendovi il viso.
— Non temer nulla, amore, fai a mio modo, dimmi di sí, compiaci alla tua povera mamma che ti vuol tanto bene.
E l'Amalia, tenendo tuttavia nascosto il viso in seno alla madre, diede in uno scoppio di lagrime, mormorando fra' singhiozzi: — No, non sarà mai! — E tremava come se fosse assalita da violenti brividi di febbre.
— Forse perché non ha un titolo? Senti, mio bell'angiolo, in oggi i tempi sono cangiati, a questi fumi non ci si bada piú; non vedi quanti conti, marchesi e duchi hanno fatto de' parentadi con delle famiglie ricche ed oneste, benché non nobili?
E la giovinetta raddoppiava i singhiozzi.
— Bene dunque — seguitò la marchesa — domani si farà venire qui il tuo sposo, e son sicura sarà di tuo genio: chetati, figlia, fidati alla tua mamma, dammi questa consolazione. Tu sei sempre stata una buona ragazza.
L'infelice, sciolta dalle braccia materne, si lasciò cadere sul letto, abbattuta da un dolore che era preludio di altri mille e piú crudi tormenti. La madre le diede un bacio sulla fronte fredda e impallidita, e la lasciò piangente.
La marchesa aveva preveduta quella scena, e nello andarsene diceva fra sé: — Tutte le ragazze fanno simili scene; coteste sono lacrime di gioia, per ora fermiamoci qui.
Intanto che la marchesa dava l'annunzio del prossimo matrimonio alla figlia, Beppe Arpia faceva altrettanto con Babbiolino.
Dall'abbozzo che ho già fatto a tratti brevissimi della figura di Babbiolino, si sarà potuto indovinare che razza di bestiuola egli fosse. Era unico rampollo superstite a quindici creature, quali andate a male prima di nascere, e quali morte appena nate. Lo strozzino che non amava nulla sulla terra, tranne il francescone, aveva concentrati tutti gli affetti suoi in questo eterno bambino; era la pupilla degli occhi suoi, l'anima della sua anima, la colonna della sua vecchiaia, e simiglianti altre vecchie metafore. Non v'è sacrifizio ch'egli non avrebbe fatto volentieri per procurargli un solo momento di bene, non v'è delitto che non avrebbe commesso, non pericolo cui non si sarebbe esposto a fine di renderlo, come egli sempre affermava, un grande e ricco signore. Nella prima fanciullezza lo messe in un collegio, ma non vi fu mai fondo: Babbiolino aveva un cervello di macigno che per sodezza sosteneva il paragone di qualunque dello infinito numero de' minerali nella fabbrica delle Pietre Dure di Firenze; appena poté varcare i confini dell'abbecedario, e non vi fu verso di spingerlo un tantino piú innanzi nei campi della scienza.
Il padre tutti i giorni festivi andava a vederlo, e per preservarlo dal morbo della prodigalità e sviluppargli la passione del danaro, o come egli diceva, per assuefarlo alla economia, dopo di avere tentato ogni ragione d'avvertimenti e di prediche, appigliossi a questo espediente. Un giorno nel dargli un napoleone lucido di zecca, gli disse: — Senti bambino mio, se tu lo serberai e me lo farai trovare, la prima volta che verrò, te ne darò un altro. — E ripetendo la stessa antifona, tutte le volte che tornava a visitarlo, il ragazzo a fine di accrescere le sue monete, non ardiva spendere un soldo; e l'amoroso genitore di quando in quando, riconducevalo a casa col sacchetto pieno, glie lo faceva legare e sigillare, e seppellire in una cassetta di cui gli dava la chiave, dicendogli: — Serbala; questi son tutti tuoi, e se avrai giudizio, ce ne saranno degli altri.
In tal modo senza studiare il codice d'Arpagone, senza mettersi al tirocinio del mestiere di quattrinaio, Babbiolino acquistò tale una violentissima passione per il metallo coniato e coniabile, che un giorno, dopo uscito di collegio, fu trovato in un giardino piantando un ruspone. Chiestogli cosa intendesse di fare, rispose: — Semino questa moneta, perché nasca una pianta e me ne faccia tante. — Balordaggine inverosimile, ma vera, che ad un altro padre, diverso da Beppe Arpia, avrebbe cavato un doloroso gemito dall'anima; ma egli invece se ne compiaceva prevedendo in quell'atto assicurata la futura salvezza de' suoi tesori, che gli costavano tanto.
Lo strozzino adunque, partitosi dal Palazzo Pomposi col cuore inondato di un misto di gioia e di superbia, e rimessosi in casa propria, chiama la moglie alla quale comunica il negozio. La donna fece parecchie obiezioni, le quali, come frivole, furono tutte buttate all'aria da Beppe: oltrediché anch'essa in fondo gongolava di gioia non parendole vero d'imparentarsi con una delle piú nobili famiglie della città. I due sposi, chiuso il loro colloquio preliminare, fanno a sé venire Babbiolino. Beppe abbracciatolo e datogli un bacio piú fragoroso del solito, gli dice di sedersi. Quel tenero angiolo si assise fra il babbo e la mamma. Beppe aperse le conferenze in questa guisa:
— Come ti senti oggi, piccino?
— Sto bene io.
— Vo' darti una gran consolazione, vo' dirti una cosa che ti farà piacere.
— O che s'ha a buttare all'aria le ciabatte dal piacere?
— Tu 'mpazzerai d'allegrezza.
— I' non vo'mpazzare io; i' non mi vo'confondere.
— Ma tu non sai quel ch'io ti vo' dare.
— O sentiamo, cosa mi vuoi tu dare, babbino mio.
— Io ti vo' fare babbo anche te.
— Ah, ah, ah! Io babbo? Babbo io? Ah, ah, ah!
— Uh! Briccone, briccone! Dunque l'ha' tu 'ndovinato? Io ti vo' dar moglie; la vorresti tu la to' bella sposina?
— O che n'ho io a fare? Che l'è cosa che s'affrittella e s'ingozza?
— Ah! Tu fai il grullo? Canzonare ti piace? Cattivo, cattivo! Sí che tu la vorresti, via.
— O che ne ho a fare? Vi dico.
— Via, corbellone, senza piú celie, ascoltami un poco e non fare lo stenterello7 — disse Beppe con tuono acre in guisa che sulla fronte dell'innocente bestiolina, che parlava con tutto candore, si posò una nuvola di tristezza. — Ascoltami un poco. — E cavatasi di tasca una pezzuola che pareva un lenzuolo da letto coniugale, la spiegò, e postosene un lembo sotto il mento, si soffiò strepitosamente il naso; la ripiegò, se la ripose in tasca, tossí tre volte appunto come un padre zoccolante che sale sul pulpito il primo dí di quaresima; poi cominciò: — Caro il mio Babbiolino, in vita io ho durato di molti affanni e di molte fatiche, ho tribolato per tanto tempo; la provvidenza divina ha aiutato il tuo povero babbo tu lo sai, siamo ricchi piú de' piú ricchi signori di Firenze. Tu anderai in villa, tu in carrozza alle Cascine, tu teatri, tu divertimenti. Io son vecchio, la tua povera mamma è vecchia...
— A me vecchia? — gridò dimenandosi come spiritata sulla sedia la moglie — Vecchia a me? Tu se' vecchio, baccellone; da' miei anni a' tuoi ci corre di molto; dopo d'avermi assassinata colle so' birbonate... guardate!
— Che ti venga un accidente — urlò lo strozzino sentendosi da quelle impertinenze coniugali mozzare il filo del discorso ch'egli intendeva condurre con tanta solennità: quindi incrociò le braccia sul petto, chiuse gli occhi, e quando la donna s'ebbe sfogata con una filastrocca d'imprecazioni, e fece o parve di far punto, Beppe seguitò:
—— E' si può da un momento all'altro morire: noi vogliamo vederti felice non solo, ma vogliamo vedere assicurata la nostra discendenza.
Babbiolino guardava il genitore con un paio d'occhi che parevano di vetro; sembrava un turco alla predica: non ci capiva niente.
E Beppe continuava: — Dunque siamo intesi, tu prenderai moglie.
— Sposerai la figlia della marchesa Pomposi.
— La marchesina è la piú bella ragazza del mondo.
— Ah! furbo, ah! birba; e perché dianzi facevi il grullo?
— Il grullo! I' la voglio io; o dove è ella? A quando? Stasera...
— Ah! bricconcello! Guardate che furia che gli ha! Lo dicevo io che tu canzonavi...
Lettore, non sembra, egli incredibile un simile colloquio? E pure se si fosse potuto stenografare e riprodurre tal e quale, ti parrebbe impossibile. E però io lo interrompo per non rendere insipidamente ridicola la storia. Quel tanto che ne ho riferito vaglia a farti conoscere che razza d'animale fosse l'uomo destinato a congiungersi ad una delle anime piú sublimi che informassero la creta umana, modellata dallo eterno artefice colla speciale intenzione di fare un capolavoro. Questo assassinio morale non ti richiama alla fantasia la pena che costumavasi nei tempi barbari di legare un uomo vivo ad un cadavere e lasciarlo morire della piú orribile morte?