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Roberto, prosteso sul divano cosí come lo aveva lasciato l'amico, rimase solo al buio. Tutti dormivano, non si sentiva un alito di cosa vivente. Ei si stette lungo tempo come sopito; sforzavasi di pensare: ma quasi la sua mente avesse perdute le facoltà di rammentarsi, di connettere, di giudicare, d'immaginare, vagava in un vuoto spaventevole. Tale dicono essere la esistenza morale degli infermi di quella che chiamano pazzia malinconica, difficile a curarsi, perché la cagione essendo incognita e invisibile, fugge ad ogni farmaco della scienza e si abbarbica alla sorgente della vita, e la ristagna come un pantano. Ma perché gli uomini e le cose non rimangono sempre nel medesimo stato; dopo questo lungo sbalordimento, la intelligenza dello sventurato giovane riprese il suo naturale vigore, anzi alla paralisi mentale che lo aveva colpito successe un tumulto di pensieri da non potersi ridire.
L'anima sua era come fragile legno senza governo, sbattuto fra le onde frementi, era come foglia rapita dalla furia dell'uragano. Mille pensieri diversi e lottanti fra loro rovesciavansi in un sol punto su la sua ragione e l'opprimevano; Roberto in un medesimo istante provava cento impressioni diverse; mentre affannavasi ad afferrare un'idea, quella come cosa sensibile sdrucciolava, incalzata da un'altra, da piú altre. L'infelice tenevasi stretta fra le mani la fronte, la quale pareva gli volesse scoppiare a guisa di mina.
Come ebbe riacquistata un po' di calma — calma in raffronto della tempesta che lo aveva dianzi agitato, ma era, a dir vero, stanchezza — provossi di ragionare, di scrutare pacatamente le cose, innanzi di abbandonarsi a quella tortura morale che in una sola notte gli avrebbe consunto mezzo secolo di vita.
Primamente pensò alla nuova cosí come l'aveva recata il malaugurato barone, studiossi di rammentarsene le parole, lo atteggiamento, i modi onde era stata accolta; e sebbene conoscesse appieno la scempiezza di quel tristo nunzio, non sapeva indursi a sospettarne la veracità in quella circostanza. «Si sarà forse ingannato? Avrà inteso male» diceva fra sé, ma i testimoni che adduceva come fonti d'onde aveva ricevuta la nuova, erano tali da non ammettere il minimo dubbio. — Ma il non essersi innanzi né anche ventilato un avvenimento che era gravissimo per sé, e in una città come Firenze, la quale, comunque vi regni la indifferenza, la non curanza delle grandi metropoli, nondimeno il difetto delle solenni occupazioni politiche fa che il piú lieve pettegolezzo si diffonda celeremente e circoli per tutte le classi de' cittadini — e non sapersene nulla? — Ma la marchesa è trista, la sua superbia avrà temuto la pubblica riprovazione; ad evitarne il primo colpo che poteva riescire fatale ai suoi disegni, avrà condotto segretissimamente il negozio. Il Gesualdi è astuto, è callido ed orditore di trame infernali.
Ma tutti i sinistri pensieri che gli tumultuavano in mente, dileguavansi come ombre disperse dal raggio del sole, allorché egli pensava all'Amalia. Affinché la cosa avesse un qualche fondamento di vero era indispensabile e primo requisito il consenso di lei: Amalia avrebbe ella potuto tradire Roberto? E perché? E qui tutto il suo pensiero concentravasi in lei, vi fissava sopra lo sguardo, e ne enumerava i pregi. Pensava alla grand'anima, al senno, al tenero cuore, alla innocenza, all'indole altera e signorile di lei; ne contemplava l'immagine e vi ravvisava la ingenuità dipinta sopra i suoi belli sembianti: l'Amalia era una creatura angelica, una sostanza pura, la piú perfetta delle figlie di Eva. Rammentavasi della sera di Bellosguardo, e del giuramento fattogli innanzi alla faccia di Dio, e del bacio datogli a suggellare il giuramento, e sentiva le proprie labbra calde di quella dolcezza piú che terrena; e si infiammava, e rianimavasi e spinto dal tumulto del sangue, alzandosi dal tristo giaciglio, esclamava: — No, non è possibile! O ho sognato, o la scena di dianzi è una portentosa illusione, o l'apparizione di colui che recò il tristo annunzio è opera dello spirito d'averno per avvelenarmi la gioia dell'anima, ché è troppa, è immensa, è sovrumana la gioia che prova l'anima mia nell'amare e nell'essere riamata da lei, che è sola al mondo: no, è un inganno, è una delle consuete fandonie che l'umana malignità ha bisogno di sempre inventare per pascersi. Non è possibile: Amalia non mi può tradire; e qualora non mi avesse giurata fede, la sua indole nobile e magnanima l'avrebbe ritratta dal solo pensiero di insozzarsi in un parentado che la coprirebbe di perpetua vergogna: l'Amalia è un'angioletta, una santa, una creatura superiore a tutto ciò che è uscito dalle mani onnipotenti di Dio; maligni, scellerati, vili, prostratevi e adoratela. — E cosí delirando, cadeva sulle proprie ginocchia; e come uomo che preghi, lacrimando, singhiozzando, quasi l'avesse offesa, implorava perdono se per un solo momento, avvolto da tanti inganni, erasi indotto ad accogliere la piú lieve ombra di dubbio intorno alla lealtà del cuore di lei.
Dopo d'essersi cosí sfogato, dopo che gli occhi della sua mente si furono dissetati contemplando la sua diletta con la fantasia, la quale glie la presentava pura e radiante come una abitatrice del cielo, altri pensieri, a modo di falange nemica, correvano ad invadergli l'intelletto portandovi il ribrezzo del dubbio. Pensava come da qualche tempo egli non avesse veduta l'Amalia, non ne avesse ricevuta nuova nessuna: e poteva ben esserne cagione qualche incomodo di salute, o il non avere ella potuto favellare, come soleva, liberamente con l'Adelina: ma perché non iscrivergli poche parole onde tenergli l'anima in pace? E qui di nuovo ripensava all'indole dissimulatrice della madre, all'indole tristissima e cupa del Gesualdi: chi sa se l'hanno sedotta, chi sa se co' loro artifici l'hanno circuita, e costretta ad un passo di cotanto disdoro, ma di non poco beneficio a riparare lo sfacelo della famiglia? Ed ella innocente ed ingannata si sarà lasciata condurre al sacrificio del proprio cuore? E mentre studiavasi di scusare l'Amalia, sentiva agghiacciarsi le vene credendo possibile un inganno e tornava a disperarsi e lasciarsi vincere dallo scoraggiamento.
Per il misero Roberto quella fu notte di vere e sanguinose torture, di torture tali che pare un miracolo come non gli troncassero improvvisamente la vita.
Passò tutta la notte martoriato dalla battaglia di tanti tristissimi pensieri; e quando l'alba mandò il suo limpido chiarore a rischiarare la stanza, egli la salutò come apportatrice benefica di conforto. Era una mattina autunnale, bella come se fosse di primavera. Corretto un poco il disordine de' panni e delle chiome, esce di casa, come dagli orrori d'un carcere, e va senza saper dove. Sembravagli che la prima persona che incontrerebbe, gli dovesse porger lume e dissipare i dubbi molesti della sua mente; vagò per i diversi quartieri della città, si aggirò piú volte attorno il palazzo Pomposi. Piú tardi la vista della gente, o come suol dirsi, la prosa della vita calmò i vaneggiamenti della sua fantasia, e gli rese l'uso delle facoltà intellettive. Sforzossi di assumere un contegno serio, come se nulla seguisse dentro il suo cuore. Entra in qualche bottega, in qualche caffè, interroga destramente qualcuno, e da piú d'una persona ebbe la conferma della malaugurata nuova. Poi si accorse che ne era piena tutta la città, e chi ne parlava in vituperio della marchesa, chi in sua lode, a seconda dell'indole di ciascuno, e del modo con che veniva considerata la faccenda. In fine pensò non vi fosse piú dubbio.
Ritorna a casa. Egli, sempre benigno co' famigliari, quella mattina era burbero; nessuno osava apparirgli dinanzi. Zanobi tremava, aspettava il primo momento di bonaccia per sapere cosa fosse accaduto; gli si aggirava da presso perché nascesse l'occasione di interrogarlo, quando Roberto con voce aspra e cupa dice:
— Dov'è l'Adele? Venga subito qui.
La giovinetta comparve.
Il conte le figge gli occhi sul viso, e poi con un certo ghigno velenoso domanda:
— E la tua amica? La signora Amalia? La signora marchesina?
L'Adelina appena vide lo aspetto del conte, si senti assalita da un tremito mortale; la pallida e livida faccia di Roberto metteva paura: gli occhi aveva incavati e fiammeggianti di ferocia, le ciglia crespate, le chiome arruffate: fu quella la prima volta che Roberto le parve poco gradevole, anzi deforme, e terribile a vedersi.
— La tua cara amica, la tua dolce signora, colei che tu chiami un angelo?
— Non me ne dai nessuna nuova?
— Ma io non so nulla: andai ier sera al palazzo, non mi riescí di vederla: ma mi dissero che stava meglio.
— Oh! Benissimo! Non è stata mai tanto bene come adesso. E non ti dissero altro?
— Null'altro.
— Non ti fu detto che prende marito, che sposa un villano, un imbecille? — disse urlando piú forte il conte, ed afferrando il braccio dell'Adelina, sí che glie ne lasciò il livido sulla pelle. — E tu lo sapevi, e non me n'hai detto nulla?
Il tremito, i singulti, lo sbalordimento toglievano all'Adelina l'uso della favella; e però non rispondeva, e gli teneva fitti sul viso gli occhi umidi di lacrime.
— Tu lo sapevi dunque? — ripigliò Roberto stringendole piú vigorosamente il braccio e scotendolo in modo brusco e crudele — Donne! Infami tutte! Che Dio vi disperda. — E lanciò lungi da sé la sconsolata fanciulla, che andò a cascare sopra una seggiola.
— Spergiura! — seguitò Roberto con voce rauca che a stento gli usciva dalla gola — Infame! Maledetto sia il momento in cui prestai fede alle sue parole, ai suoi giuramenti! Ma no; io mi vendicherò; oh! Sí; una vendetta che lasci eterna memoria di sé... vendicarmi? E di chi? D'una femminuccia? Oh! Ci andrebbe del mio onore. Meglio riderci sopra. — E rideva un riso stentato e convulso che pareva piú presto un bramito di fiera, e faceva compassione a vederlo.
L'Adelina lo mirava addolorata: credeva fermamente che il giovine avesse perduto il cervello; la ferocia del suo volto le metteva sempre piú spavento; la non sapeva che farsi e rimaneva senza osare muoversi cosí come era rimasta cadendo.
Il conte rivolgendole torvo lo sguardo, riprese:
— Non mi rispondi? Non hai una sola parola da dirmi? Non ti sovviene una delle tante bugie, che voi altre femmine siete cosí pronte a trovare?
— E che volete che io vi dica? Mi fate tanta paura: io non so cosa vi abbiate. Roberto mio! E che ho mai fatto, che cosí mi tormenti? — Profferendo interrottamente queste parole sollevavasi da terra, e con passo lento ed incerto si appressava al conte. — Non sono dunque piú la tua sorella? Dio santissimo, toglimi la vita, ma dai la pace al mio diletto Roberto che è tanto infelice! — E tremando e piangendo appoggiava la faccia su la spalla di Roberto, che mosso da quelle tenere e brevi parole, gettate le braccia al collo dell'Adelina, diede in uno scoppio di pianto coll'abbandono di un fanciullo che abbia il cuore gonfio d'affanno.
E pianse, e pianse, mormorando spesso fra' singhiozzi: — O me infelice, o me tradito! — L'Adelina non poteva muovere la lingua a confortarlo; l'unica e vera consolazione che in quel doloroso momento gli poteva porgere, era quella di congiungere le proprie lacrime a quelle del suo diletto, e pianse anch'essa dirottamente.
Un sommo poeta straniero affermava che il pianto versato dall'uomo produce un senso di disgusto o di orrore, perocché l'uomo lacrima o per viltà o per rabbia; mentre gli occhi lacrimosi della donna sono belli a vedersi, dacché fanno testimonio della tenerezza dell'indole sua. Quel grand'uomo quando scrisse la strana sentenza, aveva versato e forse tuttavia versava amarissime lacrime, e forse per orgoglio o per disperazione affettava uno stoicismo forzato che dalla fantasia non gli poté mai scendere al cuore. Tristo quel cuore che non conosce la via delle lacrime! Esso è come una pianta inaridita che non senta il beneficio della rugiada mattutina. In certi momenti d'inenarrabili angosce, quando la esistenza pare che si sfasci e si distrugga, la natura si serve delle lacrime come d'olio per ungere le ruote che fanno muovere la macchina della vita.
Quel pianto versato nel seno d'un'anima cara ed ingenua lení l'afflitta anima di Roberto: la ferocia gli sparve dal volto, e il dolore vi dipinse la compassione: forse senza quell'amaro ma soave conforto egli avrebbe perduto il senno, o qualche violento accesso febbrile lo avrebbe ucciso.
Appena poté ripigliare l'uso della parola, esclamò: — Sí, mia buona Adele, io sono misero, immensamente misero: almeno tu non mi tradirai; amami adesso che son solo sulla terra.
— E ti amerò sempre piú di me stessa, piú della mia mamma, ti amerò quanto la Madonna — disse l'Adelina stingendolo al seno. Quindi rassicuratasi alquanto alle affettuose parole di Roberto, seguitò — Ma voi mi avete fatto paura; avete dette tante cose, e non ci ho capito nulla: confidatevi con me; fatemi questa carità; non mi lasciate morire di dolore.
— E non hai inteso dunque? L'Amalia, la signorina, l'angiolo mi ha crudelmente tradito. Ah! — esclamò Roberto quasi si sentisse invadere dal primo furore.
— È impossibile! — disse la fanciulla facendo due passi indietro, ed atteggiandosi quasi dicesse «Voi calunniate la mia amica».
L'altera negazione dell'Adelina confortò l'animo di Roberto: in quell'istante tornò ad illudersi sperando di avere sentito male, d'avere sognato, d'essersi ingannato. Quando agli infelici non rimane né anche la fuggevole ombra della speranza, la piú lieve parola che vaglia a renderla visibile, è per le loro piaghe come la goccia benefica che ravviva la pianta inaridita dal sole d'estate.
— È impossibile, è impossibile!
— Ma chi ve lo ha detto?
— Esci, e troverai la cosa sparsa per la città tutta.
— Sarà una ciarla.
— Ma se hanno fatta la scritta? Se dicono anche chi è lo sposo?
— Chi?
— Il figlio d'un usuraio, il figlio d'un ladro, d'un infame; uno che sembra che abbia per caso la effigie d'uomo.
— Dunque è impossibile. L'Amalia si sarebbe lasciata piuttosto ammazzare: io la conosco quanto voi, piú di voi, e vi so dire che quand'anche non avesse giurato solennemente di esser vostra, e non mai d'altri; quand'anche non le avessi sentito dire con queste orecchie mille e mille volte che voi siete il suo solo amico, la sua sola speranza, la sua sola felicità, il suo tutto; io che conosco lei — che, se signore ve ne sono nel mondo, ell'è la piú signora di tutte — la non sarebbe, a costo della stessa vita, a costo della salute dell'anima, non sarebbe cascata tanto basso. E poi io mi rammento quando s'era a Bellosguardo; i nostri discorsi principiavano da voi la mattina, e finivano in voi quando s'andava a letto; quante volte mi diceva: — Adelina, mia bella Adelina — per dire proprio come la diceva — se Dio mi togliesse o d'un modo o d'un altro Roberto, se mi punisse privandomi del mio caro Roberto, che farei piú sulla terra? Io mi lascerei morire. — Sicché voi non la conoscete, voi non sapete quanto ella vi ama. O sapete com'è? Non lo credo e non lo crederò mai.
— Dio renda vere le tue parole! Ma non è meno vero che fra due giorni anderà in chiesa a ricevere la benedizione nuziale.
— Dite quel che vi aggrada; ma non ve l'abbiate per male, io non lo voglio, io non lo posso credere: l'è troppo grossa, vi dico, e non la bevo.
— Tutto può essere; ma questa l'è troppo grossa, scusate: io voglio vedere e toccare come San Tommaso, poi crederò.
Il conte all'ostinazione dell'Adelina, la quale aveva ripreso il suo contegno franco e vispo, e rispondeva e troncava gli argomenti di lui colla destrezza ed audacia di un giuocatore di scherma, aveva cominciato a turbarsi di nuovo. Ma la fanciulla, ripigliando i suoi modi affettuosi, e prendendogli la mano e carezzandola fra le sue, gli diceva: — Mio caro, mio buon Roberto, mi promettete di mantenervi tranquillo? Mi date tempo tutt'oggi perché io possa scoprire paese? Non abbiate timore, vi dirò ogni cosa; io farò l'impossibile, passerò anche, se ci sarà bisogno, per una cruna d'ago, onde poter vedere l'Amalia e parlarle: state sicuro, ella mi dirà il vero, non mi nasconderà nulla, mi dirà forse come è nata la ciarla; poiché, secondo me, l'è una ciarla bell'è buona, e la crederò sempre tale; ché l'Amalia è un angiolo, è una santa, e non potrebbe e non saprebbe tradirvi state tranquillo, io corro subito.
E senza aspettare risposta dal conte, partí.
Roberto l'accompagnò cogli occhi; e quando ella disparve, tenne per alcun tempo intento lo sguardo all'uscio quasi contemplasse con la fantasia quest'angiolo custode, questo nunzio di letizia, questo raggio di provvidenza; e diceva fra sé: «Creatura perfetta! Se l'Amalia fosse simile a te, se fosse ricca del tesoro d'affetto che tu serbi puro ed inesauribile nel cuore, tutte le arti nere d'inferno messe in moto ai miei danni, non me la potrebbero rapire giammai!»
Da questa scena di disperazione l'ordine della nostra storia ci trasporta ad un'altra piú lacrimevole scena di compassione.
La misera Amalia, allorquando fu portata, quasi fuori di sentimento, lungi dalla sala dove si leggeva la scritta del suo abborrito matrimonio, non si rialzò piú dal letto. Poco dopo una febbre cocentissima l'assalse. I medici che pure trovavansi fra gl'invitati alla festa nuziale, accorsero, ed appena sentiti i polsi della fanciulla, conobbero che il caso era gravissimo; e comunque si fossero coperti di gloria operando la miracolosa guarigione della marchesa, qui sentendo tutta la vastità della loro asinaggine, ordinarono a salvare l'onore della professione, qualche innocuo rimedio, dicendo: — Bisogna aspettare a domattina.
L'infelice, che sempre peggiorava, passò la notte volgendosi irrequietissima ora sull'uno ora su l'altro fianco, e invasa da un pauroso delirio: fra' suoi vaneggiamenti ricorreva spesso il nome di Roberto. La qual cosa recava grandissima molestia alla marchesa, che, messa giú la maschera, mostrandosi in tutto il vigore della salute, affaccendavasi a vegliare la figlia.
Il Gesualdi iva e veniva dalla stanza, agitato da un'ansietà che forse non aveva mai provata in vita sua, non per il pericolo in cui trovavasi la vita della fanciulla, ch'egli odiava a morte, ma perché con quell'importuna infermità vedeva il suo immenso disegno messo a gran repentaglio. Avendolo condotto fino a quel punto, egli congratulavasi seco stesso dicendo: «Chi ben comincia è alla metà dell'opera»; in due giorni lo avrebbe ridotto a compimento: ed ora vedendo sopraggiungere questo inaspettato accidente, provava il senso de' nostri vecchi romani, che se urtavano a caso sul limitare della porta, togliendolo a sinistro augurio, non osavano introdursi nell'abitazione.
Il dí seguente, appena fatto giorno, mandò a destare gli amici dottori, che russavano come belve immonde; ed appena giunti due di loro — poiché il terzo essendo malato d'indigestione non poté accorrere alla chiamata — trovando l'inferma in uno stato che dava molto da pensare, si confusero, apersero le braccia, ed all'amico e alla marchesa, che pendeva dalle loro labbra come da un oracolo, palesarono essere necessario ricorrere al tale ed al tal altro medico, nominandone due, i quali erano in voce di dotti e sperimentatissimi; e non ostante che non appartenessero alla setta, anzi avessero fama di carbonari, nulladimeno essendo il caso pericolosissimo e richiedendo i piú recenti lumi della scienza medica, era impreteribile il ricorrere a quelli. Affettavano forse il linguaggio del sarcasmo, ma dicevano cose verissime. Nel caso di un povero diavolo con una ricetta scarabocchiata a sproposito te lo avrebbero freddato in poche ore senza sentire il piú lieve rimorso: ma la vita della figlia della marchesa Pomposi... ohibò! Non c'era da corbellare, il Gesualdi gli avrebbe fatti impiccare.
I medici, carbonari sospetti, chiamati e adunati in consiglio, non istettero a deliberare lungo tempo, ma dai sintomi evidenti che mostrava esteriormente l'ammalata, prima anche d'averle sentito il polso, giudicarono la infermità essere una febbre cerebrale, essere pericolosa oltremodo, dover durare o sette o quattordici giorni, dopo il quale termine se non desse volta, la paziente sarebbe irrimediabilmente perduta.
Prescrissero una cura assai rigorosa. Nel cuore della marchesa, gl'iniqui pensieri della setta fecero posto al sopito e pervertito affetto materno, che tornò ad infiammarsi ed a mostrarsi senza freno: l'avete mai visto un'orsa che molestata dai figli, gli addenti e gli strazi, e quindi repentinamente mossa dal loro guaire gli lecchi e gli accarezzi? Cosí faceva la marchesa con l'Amalia in pericolo di vita. Taluno de' servitori ripeteva che il dolore la spinse fino a rimproverare se stessa, a chiamarsi infausta cagione della sciagura della propria figlia, assassina della propria creatura; e vuolsi che tra lei ed Ignazio seguisse, a porte chiuse, un osceno diverbio, uno scambievole avventarsi di vituperi, una tempestosa baruffa che terminò, come sempre, col trionfo del Gesualdi e con la umiliazione della illustre dama dell'impero.
L'Arpia, dal suo canto, si sentì come percosso da un terribile colpo; la sciagura della nuora lo accuorava vivamente; ei mostravasi ansiosissimo come colui che reputandosi pervenuto all'altezza da lunghi anni desiderata, era in pericolo di vedere i propri disegni in un baleno dileguarsi. Aveva con tanti affanni procurata una nobilissima sposa al figliuolo, ed ora forse gli toccherebbe di vederlo vedovo innanzi la consumazione del sacramento.
Ma Ignazio, per non iscoraggiarlo dissimulava la gravità del caso con quell'arte sublime con cui era riuscito a fargli prendere per cose vere e palpabili le ombre che aveva ordinate in solenne apparato a briacare l'anima avida e sudicia dello strozzino.
Mentre l'Amalia lottava dolorosamente con la febbre in quasi continuo delirio, l'Adelina, a compimento della promessa fatta a Roberto, era corsa al palazzo Pomposi. Appressatasi al portinaio, ch'era un vecchio, scrupoloso osservatore degli ordini di chi lo pagava, gli favella con modi cortesi, e con quell'arte di sedurre che nelle donne è un istinto, che si mostra potentissimo nelle giovani, lo ammaliò sí che gli traeva i pensieri di bocca con un fascino cui la fermezza del vecchio era impotente a resistere. Da lui seppe minutamente la festa della sera, lo splendido sposalizio che v'era apparecchiato, e la improvvisa malattia della sposa. Quando l'Adelina si fu convinta che i timori del conte erano veri e fondati, si senti mancare il coraggio, e fu quasi per tradirsi provando tal sentimento che per un istante le tolse l'uso della ragione. Ma parendole tuttavia impossibile che l'Amalia per perfidia d'indole avesse tradito il proprio giuramento, e sospettando anzi essendo certa che una gran trama era stata ordita ad ingannarla, ripetute le già fatte interrogazioni, e frugato nella mente del portinaio, e raccoltovi tutto ciò ch'egli sapeva, lo pregò, che, in onta al divieto, la facesse passare nella stanza dell'ammalata; ci sarebbe rimasta un solo momento, l'avrebbe consolata nel tempo medesimo che avrebbe saziata la brama di rivedere anche per una sola volta lei che amava tanto. Soggiunse, alle difficoltà che masticava il vecchio, che ella aspetterebbe anche fino a sera, che spierebbe il momento in cui il Gesualdi uscisse, ed ella salirebbe inavvertita, poi nel caso di essere scoperta, avrebbe salvato lui, dicendo che, non veduta, erasi introdotta in casa. Chi conosce i modi vezzosi e il linguaggio seducente dell'Adelina, non si maraviglìerà se il portinaio si prestasse ad appagarla.
Difatti, non era anche scorsa una mezz'ora, e il Gesualdi, cogli occhi a terra, sepolto in profondi pensieri, a passi lenti ed incerti esce dal palazzo. Non appena il portinaio lo vide scantonare, condusse l'Adelina fino alla cameretta dell'ammalata. Per avventura la marchesa, lassa della penosa vigilia della notte, era ita a riposarsi nella sua stanza. L'Amalia era sola, assistita da quella medesima fante che aveva osato compiangerla ne' dolorosi giorni della sua prigionia; anche la tristissima vecchia confidente della padrona non v'era: pareva che un'arcana provvidenza avesse disposte le cose in modo che quelle due care fanciulle si trovassero insieme per compiangersi e confortarsi.
L'Amalia giaceva sopra un fianco, avea gli occhi socchiusi, la faccia infiammata, se non che in quel momento la irrequietudine febbrile non glie ne scomponeva i contorni: fra le torture della febbre l'Amalia era anche bella.
L'Adelina, dopo d'avere carezzata la fante, dicendole che per miracolo era potuta salir su e introdursi fino in camera senza essere vista, soggiunse che avrebbe posta in pericolo la propria vita per avere la consolazione di vedere la signorina, e la pregava, che mentre si provava di farglisi riconoscere e favellarle, vegliasse onde, venendo qualcuno, avvertirla.
— Povera signorina! La vogliono ammazzare; consolatela, consolatela — disse la fante asciugandosi gli occhi col grembiule, ed ubbidí, piantandosi innanzi l'uscio nella camera anteriore.
Come l'Adelina si vide sola con la sua amica, mal frenando le lacrime, si appressò al letto, chinossi dolcemente e la baciò in fronte. L'Amalia aperse gli occhi quasi appannati, la mirò intentamente, poi li richiuse crollando il capo; forse diceva fra sé: «È un sogno».
L'Adele, poco dopo, piegando nuovamente la persona, si provò d'interrogarla.
— Amalia! Amalia! Signorina...
La giovinetta tornò a schiudere gli occhi; e l'altra: — Son io, sono la vostra Adele, parlatemi, stringetemi la mano. — E metteva la mano sotto le coltri e stringeva quella dell'inferma: le parve toccare un ferro rovente sí che rabbrividí.
L'Amalia, quasi risensasse, riconobbe l'amica, e le spuntò una lacrima sulle luci spalancate, e poi un'altra ed un'altra finché le sgorgavano spesse ed impetuose; e tremava. L'Adelina lacrimava anch'essa e la copriva di baci per tutta la persona; e quei baci quasi le scemassero il bruciore della febbre, l'Amalia mandò un lungo sospiro come si sentisse sgravare il cuore da un gran peso. Stettero lung'ora abbracciate, non facevano motto, ma piangevano sempre: la fante che di quando in quando sporgeva il capo dall'uscio, sentiva intenerirsi, e lacrimava anch'essa.
Amalia piú volte si sforzò di parlare, e piú volte alla parola Roberto, con la quale provavasi di sempre cominciare il discorso, non le riescí di seguitare. Chi sa che avrebbe voluto ella dire! Ma l'Adele intese. Intese che la sua amica era stata tradita, che la volevano iniquamente immolare, che ella amava sempre Roberto, che non era spergiura. E tramezzo all'ineffabile angoscia ond'era straziata vedendo la sua diletta amica prostesa nel letto de' propri dolori, sentí consolarsi, e perché nelle anime ingenue la fede in Dio è piena e senza confini, sperò nella giustizia divina che l'innocenza avrebbe riportato un trionfo sulla tenebrosa congiura dell'iniquità. E pensando che per allora non era possibile ottenere che l'Amalia parlasse, carezzandola e dicendole che l'aveva intesa, le assicurava ch'era mandata a lei da Roberto per confortarla, e farle animo, che Roberto sapeva tutto, conosceva il suo cuore, che l'amava, l'adorava sempre, e rinnovavale il giuramento di mantenersi suo fino alla morte.
A queste parole il pianto sgorgava piú dirotto dagli occhi dell'Amalia, alla quale il sapere che Roberto, sciente delle sciagure di lei, ne apprezzava il sacrificio e l'amava sempre, riuscivano di infinito tormento, perocché tanta generosità, tanta grandezza d'animo, le riaccendeva in petto la fiamma d'amore ch'ella, ingannata, aveva già bramato si spegnesse, ma era soltanto sopita, e sotto le ceneri covava per diventare piú vigorosa ed inestinguibile.
Tra tanto entra la fante tremando:
— Vien gente, viene la marchesa... il Gesualdi!
L'Adelina con celerità portentosa, dette tante parole di conforto e dati altrettanti baci all'amica, promettendole che presto sarebbe ritornata a visitarla, si dileguò come una visione; lieta d'essere apportatrice a Roberto dell'innocenza dell'amica, e trista, profondamente trista per averla veduta in presentissimo pericolo di vita.