Paolo Emiliani-Giudici
Beppe Arpia

XV

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XV

 

Allorquando il Gentilini raccontò lo apparire del vecchio gentiluomo e la conclusione del negozio a patti che non si sarebbero potuti mai sperare cosí splendidi, Roberto, Guido e Cincinnato scervellavansi ad indovinare chi potesse essere quel misterioso personaggio, e come della sua presenza non si fosse né anche bisbigliato in una città come Firenze. Contenti nondimeno dell'avventura, e rimettendo la faccenda al seguente, stavano tutti e tre seduti attorno ad un tavolino dentro lo scrittoio, chiacchierando: i due amici studiavansi di lenire l'animo contristato di Roberto che ricascava perpetuamente in una cupa malinconia.

Era presso la mezzanotte, allorché accorse Zanobi tremante di spavento, annunziando come la polizia aveva forzatamente invaso il palazzo e voleva in ogni modo penetrare in quello stanzino. I tre giovani guardaronsi in viso interrogandosi a vicenda cogli occhi. Guido Spaccatesta si fece pallido come un fantasma e stendeva per istinto il pugno convulso sul tavolino: poi tutti dissero ad una voce: — Falli passare.

Zanobi aveva appena rivarcata la soglia dell'uscio, ed ecco apparire un uomo magro, istecchito, livido che gira l'occhio attorno la stanza, e rivolgendosi subito indietro, fa un cenno con la mano gridando

— Venite.

Entrano sei uomini armati di tutto punto, i quali si schierano in fila lungo la parete, facendo siepe alla porta, nel modo goffo con che si porrebbero i figuranti sul palco scenico.

La Polizia fattasi innanzi ai tre giovani che rimanevano assisi, muti, impassibili come se nulla fosse, domanda:

— Cosa fanno questi signori?

— Si chiacchierarispose Roberto.

— Si discorre di bestiedisse Cincinnato.

— Si ragiona di birbemormorò Guido.

— Mi permetterannoriprese la Polizia — ch'io faccia una piccola ricerca...

— Ma chi le ha dato l'ordine di venire in casa de' galantuomini a romper loro le tasche a quest'ora? — disse Roberto alzandosi dignitosamente — O che siamo forse in Modena? Dov'è, dov'è il mandato?

— Eccolo — disse la Polizia fatta più livida alle parole di Roberto. Spiega un foglio e legge un ordine perentorio del Presidente del Buon Governo.

Benerispose Roberto — la faccia pure liberamente, ma si spicci.

Zanobigridò ironicamente Cincinnatoportate da bere a questi buoni ed onesti giovanotti. Guido e Roberto non poterono frenare le risa.

— Non s'incomodino, signori, — la Polizia — non abbiamo tempo da perdere, bisogna che mi lascino fare il debito mio.

— Ma la faccia pure e si spicci.

La Polizia, spalancando gli occhi, e allungando gli artigli, si pose a frugare per tutta la stanza. E quando fu delusa nelle sue speranze, rivoltasi ai tre giovani, disse: — Abbiano la cortesia di lasciarsi perquisire le loro rispettabili persone; un solo momentino e li sbrigo.

Cincinnato stava per rompere il freno alla lingua; ma Roberto, fattogli cenno, si offerse primo a lasciarsi contaminare da quelle zampe lorde, mormorando mentre subiva la volontà della legge: — Che porcherie!

La Polizia dopo di avere frugato addosso a Roberto, comincia a cercare Guido, e gli trova nelle tasche un libro di fisica intitolato: Della costituzione atmosferica dell'Italia; — appena lettane la prima parola del frontespizio, esclamò digrignando i denti a guisa di tigre: — Ah! Ci siamo. — E porge il libro ad un altro galantuomo in cacciatora di velluto unta, il quale serviva da assistente.

Fruga Cincinnato, e gli trova addosso la Pulcella. Era, una traduzione italiana del libro di Voltaire, senza data, né luogo, né nome di stampatore: la sequestra e la porge all'altro.

Poi tornando a sconvolgere tutti i libri e le scritture sul tavolino, vede la Repubblica di Platone, e la sequestra parimente.

Quando le parve di avere trovato tanto da potere salvare l'onore del mestiere, che è quello di trovare sempre qualcosa per coonestare le dolcezze che il governo dispensa agli amati e fedelissimi sudditi, si assise e cominciò a scarabocchiare sopra un foglio con una celerità tale che sembrava scrivesse dietro il dettato d'un altro. Com'ebbe finito, rivoltosi ai tre che s'erano tratti verso la finestra e ridendo e bociando dicevano corna contro i birri, disse: — Abbiano la gentilezza di apporre le loro firme a questa scrittura.

— E cos'è?

— Il processo verbale della visita domiciliare.

— La legga, e poi, se ci parrà, firmeremo.

Sentano, non è d'obbligo, se vorranno...

— La legga, la legga.

— È giusto. — E legge come qualmente egli tal di tale, cancelliere sostituto del commissariato tale, erasi presentato a casa Cavalcanti, e in una stanza secreta del palazzo aveva trovato gl'illustrissimi signori conte Roberto Cavalcanti, Guido de' conti Spaccatesta, e Cincinnato Assoluti adunati insieme, che formavano una riunione illecita della categoria di quelle vietate dalla legge, articolo tale, anni Domini tanti; e che avendo eseguita la debita perquisizione sui luoghi e sulle persone, aveva trovato in tasca del detto signore Spaccatesta una Costituzione, e in quella del prefato signore Assoluti una Porcella, e sul tavolino del sullodato conte Cavalcanti la Repubblica di un certo Platone, scrittore francese giacobino; e però aveva sequestrati i detti articoli proibiti, ed ordinato ai prefati signori, in nome della legge, a volerlo seguire ecc. ecc.

I giovani ridendo tanto che tenevansi i fianchi, dicevano: — O che razza di commedia l'è questa?

— Non è mica commediagridò fieramente la Polizia — è cosa piú seria di quello che pensino: senza tanti discorsi, vengano meco, e scusino se...

— Ma le pare? La fa il debito suo. — E ridevano, ridevano tenendosi sempre i fianchi.

Signori, — urlò stridulamente l'uomo della legge — abbiano la compiacenza di seguirmi dal commissario.

I giovani calmata alquanto la convulsione del riso, miraronsi in volto; quasi l'uno all'altro chiedesse: «Che s'ha egli a fare?» — e finalmente Guido disseAndiamo — e s'avviarono col contegno degli eroi d'un dramma romantico, l'effetto del quale sarebbe stato piú ridicolo se i sei uomini d'arme, invece di fucili veri, avessero avuto delle picche di legno.

Zanobi non aveva piú fiato. Avventuratamente l'Adelina dormiva, se avesse veduta quella scena, sarebbe morta di spavento.

 

Lettrici e lettori cortesissimi, la sventura che flagella le cose non meno che le persone, ha vibrato un terribile colpo a questo capitolo del mio libro, piú micidiale anche di quello che avventava improvvisamente a' tre giovani: essi staranno un poco all'ombra, saranno ben trattati, avranno un buon pranzo, un morbido letto — giacché il vocabolo Polizia, che in molti paesi della Europa cosí detta incivilita, sveglia le idee concomitanti di tigre, di jena, di serpente, di tortura, di fame, di freddo e simili; in Toscana ha tutta l'umanità d'una tutrice e condotta con piú giudizio, produrrebbe i benefici frutti d'una pia istituzione — tra pochi giorni usciranno gloriosi e trionfanti, e torneranno a smascellarsi dalle risa ma io non troverò forse rimedio al disastro che ha patito in questo luogo il mio racconto. Qui, come vedete, seguitando con rigore storico, l'ordine dei fatti, avevo posto il colloquio, o come lo chiamano, lo interrogatorio fatto a' tre giovani dal commissario m'ero proprio lasciato andare a tutto il lusso del descrivere; e m'era riescito il tratto piú brioso e piú originale di tutto il lavoro; io avevo ricopiato con isquisita diligenza i fogli; ma mentre il ragazzo li recava alla stamperia, gli cascarono di tasca — poiché non supporrò mai che qualche borsaiolo glie l'abbia rubati, — e ritorna da me disperato, pregandomi ch'io avessi la bontà di ricopiarli. Ma come fare? Essendo già principiato il vernooggi 20 novembre il termometro è a 2 o 3 gradi sopra zero — m'ero già servito de' fogli di primo getto, ovvero della minuta, per accendere il cammino, e quando mi fu annunziato il tristo caso ho pianto sulla mutilazione del mio racconto come piangerebbe una madre che abbia una avvenente figliuola, e si vegga nell'assoluta necessità di farle amputare un membro, puta il naso. Disperando di ogni altro argomento, per riparare alla sciagura feci come tutti fanno in Firenze, quando perdono una cosa, e sperano nella coscienza di chi l'ha trovata, per riaverla, voglio dire feci apporre su tutti i muriccioli della città il seguente avviso:

 

ZECCHINI 10 DI CORTESIA

 

A chi avesse trovato e riportasse all'Elvetichino un fagottino contenente diciassette fogli di manoscritto scempi, il primo dei quali comincia: Il Bargello; smarrito — il fagottino, non già il Bargello che da settecento e piú anni sta cominciando da Via Larga, procedendo per dietro le Campane di San Lorenzo, torcendo per il Canto de' Nelli, quindi per Via della Stipa, diritto per Via Corbolini e per Via Fuligno, ritorcendo per Via Nuova e finalmente svoltando per Via Chiappina. A chi riporterà il detto fagottino al giovine del riferito Caffè, sarà usata la promessa cortesia.

 

Ahimè! Nulla: ed oramai ho perduta ogni speranza; e il tempo incalza e il pubblico prepotente e l'editore, comunque garbatissimo, ma fedele mantenitore delle sue promesse, aspettano alla fine del mese il libro finito, stampato, e rilegato.

Mentre dunque imploro la gentilezza de' miei lettori perché non s'infastidiscano della fatale lacuna, prometto loro che appena mi verrà fatto di ricapitare i fogli, o che io mi senta tanta ispirazione da ricomporre la scena, studiandomi di riprodurre il disegno e il colorito della già perduta, non indugierò a farla di pubblica ragione. Per la qual cosa, rassicuratomi alquanto, procedo a dichiarare la ragione de' fatti seguiti in questo capitolo, ché oramai non dev'essere poca la curiosità di chi ha tenuto dietro alla catena delle vicissitudini della nostra storia.

 

Come Ignazio Gesualdi ebbe scoperte le lettere di Roberto nella stanza dell'Amalia, secondo che ho sopra raccontato, non essendogli ancora scesa dall'alto, o a dir meglio salita di giú — poiché si dice che l'inferno sia nelle viscere della terra — la ispirazione della simulata infermità della marchesa, ispirazione che produsse que' mirabili e lacrimevoli effetti che abbiamo veduti, aveva pensato di cominciare le sue diaboliche operazioni dando direttamente addosso al Cavalcanti. Sperò di gettarlo nelle mani della polizia, accusandolo come liberale, e credeva, che se non lo avesse potuto far mandare in galera o costretto ad esulare, l'avrebbe dicerto denigrato agli occhi dell'Amalia, la quale avrebbe dicerto abborrito dall'amare un uomo che aveva respirato l'aria del Bargello. Questo dicerto, ripetuto due volte, era idea che germogliava nella mente del Gesualdi, non mai nella mia, perocché il sanfedista pensava che all'Amalia un giovane perseguitato per la libertà delle proprie opinioni, sarebbe parso infame come o peggio d'un ladro, d'un falsario, d'un omicida, conforme sogliono giudicare gli uomini della setta. Ma l'Amalia lo avrebbe maggiormente amato, perocché l'animo suo s'era svincolato dalle sciempiezze tradizionali che predominano ne' paesi dove regna la dottrina dell'obbedienza passiva; essa sopra ogni cosa amava la libertà delle proprie opinioni, si sdegnava anzi dell'altrui pieghevolezza non nata dalla coscienza, ed inculcava sempre la tolleranza ch'ella vedeva sparsa nelle ispirate pagine del Vangelo. Ma ciò poco importava; il Gesualdi metteva il liberalismo nella stessa lista de' delitti infamanti, e pensava di conseguire di un modo o d'un altro lo scopo propostosi.

Senza porre nessuno indugio di mezzo, senza né anche farne motto alla marchesa, non perché dubitasse della sua discrezione, ma perché pensava che il silenzio è l'anima del negozio, foggiata una lettera a nome di un romagnuolo, la consegna ad un suo fidato e lo manda a Rimini perché la metta alla posta.

La lettera pochi giorni dopo giunse a Firenze. Ignazio era già andato a conferire con la Polizia, la quale, essendo a que' tempi sospettosissima per i fatti di Romagna, accolse ad occhi chiusi la denunzia del sanfedista. Costui disse d'avere subodorato una congiura fra romagnuoli e fiorentini, e consigliò la Polizia di fermare tutte le lettere che venivano dallo stato pontificio ad individui sospetti, e ne nominò parecchi, fra' quali con artificio rettorico fece sdrucciolare il nome di Roberto Cavalcanti. La Polizia difatti fra molte lettere che non davano indizio di nulla, trova la seguente diretta a Roberto:

 

«Caro Conte

Le cose qui vanno benone. Gli amici che s'erano alquanto scoraggiati per le numerose e crude persecuzioni del governo, tornano a rianimarsi. Noi tutti aspettiamo il minimo pretesto per ricominciare il movimento. Questa volta dicerto prenderemo la rivincita. Procurate di accelerare le cose di costí, ci affidiamo in voi che siete il capo de' liberali in Toscana; sappiamo quanto vi siete adoprato per la gran causa; coraggio e perseveranza: non è lontano il giorno del nostro trionfo. Addio.

Francesco Fracassi»

 

La Polizia, letta la lettera, provò l'allegrezza di fra' Diavolo o di Gasperone, allorché il brigante esploratore si presentava loro annunziando che v'era da far presa: sognò croci, retribuzioni, attestati di benemerenza; e quindi senza indugio ordinò la visita domiciliare e lo imprigionamento di Roberto e degli altri due giovani.

Quando Ignazio ebbe conseguito lo scopo con lo espediente della infermità della marchesa, si pentí d'essersi cacciato nel labirinto della polizia, reputandolo, da uomo accorto, un rimedio pericolosissimo; ma non fu piú in tempo di ritirare il passo dacché la lettera viaggiava e non v'era nulla da tentare. Ma siccome egli speculava in tutto e giovavasi di tutto, appena seppe la cattura di Roberto, corse lieto da Beppe Arpia, dicendogli: — Vedi dunque se mantengo ciò che io prometto! L'arrogante che t'insultò alle Cascine te l'ho messo in prigione: il conte Cavalcanti è alloggiato nel Bargello; e ti ho pienamente vendicato: sei tu contento?

Lo strozzino rimase attonito. Ignazio gli parve una potenza; la sua amicizia gli parve un tesoro; se dapprima aveva avuto sempre fiducia in lui, adesso gli si abbandona ciecamente. E sperando che egli solo lo avrebbe potuto liberare da una interna molestia che gli toglieva la pace, lo mena nel luogo piú romito della sua casa, e quivi gli fa un terribile racconto di un fatto spettante alla sua professione, e lo prega di prestargli soccorso.

Il Gesualdi provava tale un tripudio nell'anima, tale un bollore nel sangue che stava per perdere il contegno. Oramai, dopo la misteriosa rivelazione fattagli, lo strozzino era alla piena discrezione d'Ignazio; Ignazio poteva dirsi padrone degl'immensi tesori, e per fino della vita di Beppe; e se questi avesse parlato un mese innanzi, il sanfedista forse non avrebbe condotta con tanti travagli la trama del matrimonio, avrebbe forse risparmiata l'Amalia, non per giustizia o compassione, poiché siffatti vocaboli per lui erano privi di senso, ma perché a lui marito della piú nobile marchesa di Firenze, a lui figlio di stallone, a lui bruco rimpannucciato, pareva disdoro che la nobile famiglia, ch'egli chiamava sua, si fosse mescolata colla sozza prosapia di uno sgozzino. Ma repressi i subiti moti dell'animo, crollando la testa, esclamò:

— È una buccia di porro! E tu stavi fresco con tutta questa roba in corpo? E' mi duole soltanto che tu me n'abbi parlato troppo tardi. O perché indugiar tanto?

— Per provarti: che son cose queste che si fidano cosí al primo amico che s'incontra?

— Dunque ne convieni che gli è un affar serio? Bene; datti pace, abbi coraggio, e fidati d'Ignazio. Ma per l'amore di Dio... no... giurami sull'onor tuo... no... giuralo sulla vita di tuo figlio, che tu non sarai per rivelare a nessuno e in nessuna maniera ch'io sarò per cooperarmi in questo affare.

— Ma ti pare che io possa parlare: oh! Ignazio, e per chi mi hai preso?

— Non importa; giuralo.

— Lo giuro.

Benone. Fidati e vedrai: Dio voglia che fossimo in tempo. Ma tu non ne sai nessuna nuova di quell'arnesaccio?

— Io altro non so che gli diedi un sacchetto di diciottomila lire, tutte in napoleoni d'oro; e che invece di prendere la via di Livorno com'egli avrebbe voluto, lo diressi verso Ancona, dove senza dubbio si è imbarcato per Costantinopoli.

Indaga meglio, studiati di sapere la vera verità, e tiemmi avvisato d'ogni cosa. Addio. Vivi tranquillo, sei nelle mani del tuo Ignazio. Dammi un bacio.

Lo strozzino gli porse la guancia: Ignazio vi appiccicò un bacio affettuosissimo. Beppe Arpia, apparecchiati a sostenere il piú solenne tradimento: l'erede universale dell'apostolo traditore ti ha baciato.


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