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Il generale, levatosi a buon'ora, il dí dopo, si avviò verso la casa del nipote, perocché la bramosia che aveva di rivederlo era immensa. Mentre saliva, incontra a mezzo le scale Zanobi, il
quale tremando e lacrimando gli narrò ciò che la sera innanzi era accaduto a Roberto. Il vecchio interrogatolo piú volte onde sapere quale ne fosse la cagione, non poté ottenere nessun lume da' detti del servo, e senza badare a lui che studiavasi di scusare il conte, esclamò — Chi sa a quali eccessi si sarà lasciato andare quello sciagurato! — Ed uscí precipitoso, a fine d'indagare la ragione di quel tristo accidente, che riuscivagli tanto piú doloroso quanto era meno aspettato.
A chi conosce quali fossero a que' tempi le condizioni del Piemonte, e di quanto peso fosse il soldato nel sostegno di quel trono, non parrà cosa strana lo affermare che il grado militare di cui Alamanno era insignito, fosse una credenziale illimitata presso tutti i governi d'Italia; e però appena fattane richiesta, le porte del Bargello gli furono schiuse, e gli fu dato di potere liberamente vedere il nipote e favellargli. I tre giovani erano stati allogati dentro stanze separate: la qual cosa tornò molestissima a Roberto, poiché la solitudine lo ripiombò nella voragine de' suoi dolorosi pensieri; e perché, come se il peso d'una nuova sciagura accrescesse quello d'un'altra, la piaga suprema del cuore tornò a sanguinargli piú crudelmente; l'Amalia gli parve piú rea, egli l'accusava come cagione d'ogni suo male. E mentre pativa tutti i furori della interna procella dell'anima, stavasi immobile e cogitabondo allorché vide apparire sulla soglia dell'uscio, ch'erasi improvvisamente aperto, un vecchio militare, che si fermò con le braccia incrociate a guardarlo in silenzio. Roberto pur sempre immobile lo guardava anch'esso, e non sospettò minimamente della presenza dello zio; massime perché dopo tanti anni che erano trascorsi dall'ultima volta che lo vide, lo aspetto d'Alamanno erasi considerevolmente cangiato. Questi, accortosi che il nipote lo aveva riconosciuto, fa due passi innanzi e rifermandosi nella medesima attitudine — attitudine che i soldati di Napoleone solevano affettare dopo d'averlo veduto cosí dipinto nell'esilio di Sant'Elena — parla con voce soave
— Il signor conte non mi riconosce?
La voce del generale richiamò alla memoria di Roberto una idea indistinta, che poi fattasi piú chiara, gli parve essere quella dello zio; si leva subitamente in piedi, fa anch'egli un passo innanzi, fissa bene gli occhi nell'uomo e ravvisa evidentemente Alamanno. Mosso dallo impulso del cuore, gli gettò le braccia al collo, ed il vecchio amorosamente gli rispose. Ma svincolatisi appena, Roberto pensando al luogo dove era stato ritrovato dallo zio, arrossí. Alamanno se ne accorse, e con la medesima soavità di favella disse:
— Ed è questo il luogo, in cui, partitomi dalla mia solitudine, debbo venire a visitare il mio caro nipote?
— Il conte Cavalcanti nel Bargello?... — disse Alamanno inasprendo la voce. I freddi sarcasmi del vecchio trafiggevano piú crudelmente il cuore di Roberto, il quale sentendosi inanimire da quel senso d'alterezza che ispira la coscienza limpida, e la convinzione di patire indegnamente un'ingiustizia, con voce franca ma rispettosa rispose:
— Non è questa la prima volta che la innocenza respiri l'aura funesta del carcere: ma il carcere non la contamina, come il raggio del sole non è contaminato dal fango su cui si posa.
— Ma...
— Ma, signor generale, giuro sul mio onore, sulla sacra memoria della madre mia, ch'io sono innocente, e che non saprei dire se sia piú insana o piú scellerata l'accusa che mi appongono.
— Se tu lo giuri, io lo credo, e ti prometto che tra poche ore sarai libero, e ti giuro anco che l'orditore della trama sarà scoperto, e ti vendicherò dell'oltraggio. Frattanto, frena la giusta ira tua, e raccontami pacatamente l'avventura.
Roberto espose, come storico che riferisca un fatto che non tocchi a lui, il presentarsi della polizia, lo interrogatorio del commissario, la lettera intercettata alla posta, e tutto ciò ch'egli sapeva, punto per punto. Il vecchio gli volse parole di conforto, e tornò a giurargli che lo avrebbe vendicato. Gli venne in pensiero di rimproverargli la vita scapestrata, il disordine della famiglia; ma essendo d'animo generoso e parendogli crudele viltà trafiggere un cuore che già grondava sangue, differí ad altro tempo tutti gli ammonimenti e le rampogne ch'erasi proposto di fargli, ed uscí via.
Il generale Alamanno Braccioferri, vestito della assisa militare, cominciò tosto a darsi moto; chiese ed ottenne subito un colloquio con coloro che mestavano le cose della polizia, penò poco a convincerli d'inconseguenza, a far loro palpare la falsità dell'accusa; mostrò come il nipote fosse vittima d'un'aperta calunnia, e chiese che lo sprigionassero, offrendosi lui mallevadore: ma vedendo che aveva da fare con un branco di pettegoli, i quali riguardando i moti del trentuno come una stagione di carnevale, spassavansi a innestare nella tranquilla Toscana le paterne dolcezze del governo turco; dopo d'averli regalati di vituperi, andò direttamente dal conte Fossombroni, il quale fra tanti ciechi era il solo che avesse un occhio, bastevole a fargli abbracciare tutto l'orizzonte dello stato, ch'egli governava col lasciare andare, e giusta il principio fondamentale della sua politica voleva evitare ogni chiasso come una infermità contagiosa; il rispettabile ministro, ricevuta la parola d'onore del generale che lo assicurava il nipote non avere nessuna corrispondenza cogli agitatori, fece comandamento alla polizia che senza far motto subito scarcerasse il conte Roberto Cavalcanti e i compagni. — Non basta — disse il generale dopo d'avere dignitosamente ringraziato il ministro — voglio che si scuopra l'origine della trama e che se ne puniscano gli orditori. — A ciò il ministro si mostrò poco contento, e fece considerare al generale che era meglio sopire le cose; ma alle costui insistenze gli fu forza di cedere, e ne scrisse officialmente in Romagna per sapere chi fosse colui che aveva firmata la lettera a Roberto. Tanto per allora serviva; ma il vecchio soldato non intendeva di fermarsi là, bramava scuoprire la spia e farne un esempio memorabile alle birbe del paese.
Il dí seguente Roberto e i due compagni furono tratti di prigione. Vistisi liberi, ridevano dell'avventura con gli amici che davano loro il mirallegro; ma tutti ardevano della sete di vendicarsi, e Guido in ispecie diceva che non avrebbe avuta mai pace finché non avesse veduto impiccare il delatore ad una delle finestre di Palazzo Vecchio. Stavano tutti e tre a consulto, allorché entra Zanobi dicendo come il vecchio gentiluomo, che aveva accaparrata la roba da vendersi, fosse tornato e volesse parlare col conte onde finire affatto il negozio.
Roberto turbossi pensando alla presenza dello zio in Firenze; sentí tutta la indegnità dell'atto, e non sapendo come riparare, pregava gli amici lo soccorressero de' loro consigli. Costoro dopo d'avere cosí all'infretta deliberato, determinarono che concludesse il negozio, ma facesse in modo da differire la consegna fino alla partenza dello zio. Piacque a Roberto il ripiego, ed accomiatati gli amici, entra in sala con Zanobi che gli diceva: — Ecco il signore che l'attende.
Roberto, visto il generale, arrossí, abbassò a terra gli sguardi, se li velò con la mano e non osò né anche salutare lo zio, il quale, scorta la confusione del nipote, disse freddamente:
— E che? Il signor conte Cavalcanti si sarebbe forse pentito di vendere la galleria e la biblioteca de' Cavalcanti?
Roberto vie piú arrossiva e taceva, e il vecchio seguitava:
— Mi avrebbe forse barattata la parola? Mi vorrebbe preferire qualche altro offerente? Forse qualche strozzino gli offre migliori patti?
Roberto seguitava a tacere e sospirava.
— La mia offerta forse non le sembra convenevole? Ma io son pronto ad accrescerla; so bene che trecentomila lire non pagano né anche il terzo de' tesori d'arte che la mi vuol dare.
Il misero giovane non poté piú patire la crudele ironia; mentre la presenza dello zio gli era stata tanto giovevole ed egli ne sentiva tutta la gratitudine, il vederselo adesso in qualità di severo giudice de' suoi falli, lo turbava in modo, che lo avrebbe voluto le mille miglia lontano. Nondimeno non avendo potuto immaginare la minima scusa, foggiare il piú lieve pretesto, come colui che non era assuefatto a mentire, alzò coraggiosamente lo sguardo e rispose
— Ho fallato; son reo; merito i tuoi rimproveri; ma non credere...
— Io non credo nulla; io so pur troppo che hai vergognosamente rovinata la famiglia, che hai rotto ogni freno, ed hai corsa la via de' prodighi.
— Sarà, ma non ho commesso azione veruna che possa recarmi disdoro; io non mi sono disonorato.
— E so anche questo; e se fosse altrimenti, credi tu che Alamanno Braccioferri avrebbe mai posto piede nella casa dello indegno erede de' Cavalcanti? Io ti avrei rinnegato per nipote. Non ti sei disonorato, tu dici? E se non hai commessa un'azione infamante, credi tu che il menare una vita sfaccendata, il rovinare il patrimonio degli antenati, il distruggere una casa coeva alla istituzione della repubblica, sia lieve fallo? Quando passeggi solingo per queste splendide sale, non vedi le ombre de' tuoi grandi avi inseguirti, rampognarti e forse maledirti mentre contamini la gloria del nome loro? Non vedi lo spirito della mia nobile sorella, che sacrificò beltà, giovinezza e ogni bene per nutrirti, educarti, e lasciarti nell'opulenza, non la vedi spargere amarissime lacrime su i tuoi riprovevoli traviamenti?
Dalla bocca del vecchio, che in volto fiammeggiava di magnanimo sdegno, le rampogne al nipote uscivano con l'impeto d'un torrente; l'infelice Roberto sentivasi avvilito; lo zio se ne accorse, e mitigando la voce e le parole terminava:
— Non rispondi? Cosa mi avresti ad opporre?
— Nulla; ho fallato, e me ne pento.
— E che mi rimane da fare? Se la tua voce fosse venuta piú innanzi ad ammonirmi e trarmi dalla via che ciecamente ho calcata, se io avessi chiuso gli orecchi a' tuoi consigli, agli ordini tuoi, mio diletto zio, io sarei un uomo spregevole — adesso altro non mi rimane che confessare i miei falli.
— Ma hai tu misurata la rovina in cui ti trovi?
— Conosco lo abisso in cui sono caduto; ma se non vi è mezzo a rialzarmi, mi perderò, ma non sarò per mostrarmi mai vile nell'anima.
— E che pensi di fare?
— Partirmi: ed era questa la ragione che mi aveva indotto a disfarmi degli arredi del mio palazzo; io non volevo allontanarmi da Firenze come un fallito che si sottragga codardamente ai suoi creditori: io intendevo pagare i miei debiti.
Il vecchio si compiacque degli onorati sensi del giovane, e diceva, fre sé: «Vero sangue della mia sorella!» Poi facendo sembiante di maravigliarsi, disse:
— Partirti? E per dove, e quando, se è lecito?
— Subito: ma non so dove andrò; forse in Ispagna.
— In Ispagna! A che fare?
— A combattere la guerra della libertà.
— Demente! Serba la vita alla tua patria; quando suonerà a stormo la campana della tua città, quando da un lido all'altro della penisola rimbomberà il tremendo grido di: «fuori lo straniero» — corri e versa il sangue per l'Italia; ma profonderlo a beneficio di coloro che un tempo saccheggiarono ed arsero le nostre terre, che ci aggravarono il giogo sul collo, e che sarebbero pronti a rimettercelo se lo potessero, è la insania dello sciagurato che difenda il ladro che lo ha spogliato e trafitto. Deponi dunque lo stolto pensiero e rimani in casa tua.
— O chi ti caccia?
— Le mie sciagure.
— E non hai uno zio cui non rimane anima nata che lo vincoli alla vita, e che può riparare alla rovina che ti sei formata, e che se tu ti penti, come giuri, può rifarti lo stato?
— Grazie infinite, mio caro zio; io non ho parole a significarti la mia gratitudine: ma io parlo d'altre sciagure, e irreparabili.
Roberto accompagnò d'un lungo e passionato sospiro quest'ultima parola: il vecchio impallidí, ed afferrato il braccio del nipote: — Parla — gridò — rivelami tutto; e purché non sia un'infamia, fidati di Alamanno Braccioferri.
— Ah! Diletto zio, lasciami partire, altro modo non v'è a salvare il tuo sventurato Roberto. — E gli spuntò sul ciglio, cosí dicendo, una lagrima che commosse profondamente lo zio, il quale tenendo tuttavia afferrato il braccio di Roberto, gli fissava in viso gli occhi fiammeggianti dicendogli
— Roberto! Roberto! Aprimi il tuo cuore, abbimi per il migliore de' tuoi amici. — E lo disse con tal tono di benignità che il giovane non potendo piú oltre serbare il silenzio, cominciò a narrare allo zio la storia de' suoi amori, con tanta passione di linguaggio, che il sentimento del cuore di lui trasfondevasi tutto in quello del buon vecchio, il quale, al modo del piú leale cavaliere di un poema italiano, lo confortò a tenersi tranquillo e lasciare a lui la cura di dipanare questa matassa arruffata. Disse ch'egli credea fermamente come l'arresto di Roberto si annodasse in una medesima trama con le sciagure dell'amore, e ch'egli lo avrebbe fatto trionfare di tutto; e singolarmente lo esortò perché cessasse di accusare l'Amalia, la quale, secondo lui, era innocente e meritava d'essere piuttosto compianta e soccorsa.
Mentre il vecchio faceva la difesa della giovinetta e godeva a farsela descrivere da Roberto che ripensando all'Amalia innocente, dimenticava la creduta colpevole, e la sua fantasia prendeva un volo pindarico, l'Adelina passeggiava nella stanza contigua, e piú volte soffermavasi, e cogli occhi faceva plauso alle parole del generale, il quale accortosi di lei, chiese al conte chi fosse quella leggiadra fanciulla; e quando l'ebbe saputo, e quando Roberto in poche parole gli ebbe detto di quanta consolazione questa diletta sorella eragli stata nello infierire delle sue traversie, il generale la chiamò per nome, ed ella fattasi rossa in volto come una vaghissima rosa, ringraziava il signor generale che aveva detto tanto bene dell'Amalia. Il nobile vecchio godeva e farla ragionare, di guisa che la scena ch'era principiata trista, prese un certo brio, al quale a brevissimi tratti partecipava anche lo sconsolato Roberto.
— Per me, sor generale caro, — concludeva l'Adele dopo di aver dette tante cose — io scommetterei non so che... scommetterei un occhio, la guardi! che quella stirpaccia del Gesualdi è la cagione di tutto il male: se la vedesse che faccia d'impiccato che gli ha! Io potrei guardare con meno paura il diavolo, la versiera piuttosto che lui, che pare l'effigie di Giuda, ed è capace di far morire disperata quella povera signorina...
— Ma se la sapesse com'è malata!
— La guarirà.
— Dio lo volesse!
— Non aver paura, lo accomoderò io per le feste quel birbone.
— Forte! Sor generale bello, la gnene dia una per me, la lo sorbotti bene; la ne faccia polpette... che gli dia una saetta al core.
Il vecchio rideva all'energiche parole della fanciulla, e dopo d'averla carezzata, la mandò via. Poi seguitò a ragionare col nipote, il quale sentí lievemente confortarsi dalla speranza: ma il disinganno era sí forte ch'ei non poté conoscere di quanto beneficio poteva tornargli la cooperazione dello zio.
Allorquando Zanobi si senti chiamare perché corresse allo albergo e provvedesse che il bagaglio del generale fosse trasportato al palazzo, dicendo in suo cuore: «La pace è fatta, il conte è salvo», benediceva la provvidenza e spargeva il contento per la casa, che in un baleno si comunicò a tutta la famiglia.