Paolo Emiliani-Giudici
Beppe Arpia

XIX

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XIX

 

La famosa Gazzetta di Firenze, quell'innocente fogliolino che nel mondo giornalistico era come il principato di Monaco nel mondo delle nazioni, quella sentinella politica di stupida memoria che col sistema della tartaruga soleva recare le nuove sei mesi dopo, quest'unica volta dopo quindici giorni circa dalla fuga di Beppe Arpia, riferiva la seguente notizia in data di Barcellona:

 

«Nei giorni scorsi il Pirata, grosso brigantino livornese, che carico di mercanzie e di passeggieri faceva vela alla volta di Boston, assalito, al di dello stretto di Gibilterra, da una furiosa tempesta, fu quasi per naufragare. Grazie allo zelo de' nostri marinari e in genere di tutti gli abitanti della costa, i quali corsero prontissimi a soccorrerlo, non ebbe a deplorare altro danno che quello della perdita di tutto il carico, e della roba de' passeggieri, e la morte di un missionario fiorentino che andava a convertire alla santissima religione cattolica i selvaggi dell'America centrale. Il Pirata è stato rimorchiato al porto di Cadice, dove immediatamente darà opera a riattarsi».

 

Ignazio Gesualdi soleva tutti i giorni, verso l'un'ora di notte, andare a bere il caffé al Bottegone, dove incontrava qualche suo amico, ed informavasi di tutti i pettegolezzi della città, che andavano a finire in quel convegno di sfaccendati come in un padule le acque de' campi circostanti. Era assuefatto a prendere in mano la patria Gazzetta, e lettivi attentamente gli Avvisi ed Atti giudiciali, strascicava lo sguardo cosí di fuga sopra le notizie politiche. Qella sera, cioè quindici giorni circa dopo la partenza dello sgozzino, gli occhi d'Ignazio furono attratti da una arcana fatalità, poiché non potrebbe altrimenti spiegarsi, proprio all'articolo surriferito, ed in specie alla parola missionario come se fosse stampata in caratteri speciali e distinti. Si scosse, lesse da capo a fondo l'articolo, lo rilesse; computò, «Non v'è piú dubbio», dice fra sé, «Beppe è morto: accidenti alla morte! Questa volta mi ha guaste le faccende; o non lo poteva far vivere almeno un'altra quindicina di giorni

Augurata la felice notte ad un amico che gli sedeva accanto, s'abbottonò il soprabito, si ravvolse nel mantello, e tornossene a casa.

Senza andare a salutar la marchesa, com'era suo di fare, senza né anche chiedere della salute dell'Amalia, si rinchiuse in camera, e si pose a pensare. Girava per la stanza come un forsennato. Ora sedevasi, ora rizzavasi, ora si affacciava alla finestra a strologare le stelle, ora smoccolava il lume; brontolava, sbuffava, sospirava a vicenda: chi l'avesse veduto in quella estrema inquietudine, avrebbe detto: in quel cuore c'è un mongibello ed è presso ad esplodere con un torrente di lava. Non ch'egli commiserasse la sciagurata sorte dello strozzino, che anzi qualche mese dopo l'avrebbe pagata a peso d'oro, e già anticipava preghiere e faceva voti a certi suoi santi protettori. Raccontasi che v'era un uomo, tozzo di persona e panciuto, e colle gambe corte, il quale pretendendola a gran cavalcatore, sempre innanzi di montare sulla bestia, segnandosi in fronte, dicevaSant'Antonio, aiutatemi — ed una volta l'impulso del salto fu cosí forte che capovolse dall'altro lato, e cascando a rompersi le costole, gridò: — Sant'Antonio caro, mi avete aiutato un po' troppo. — Nel modo medesimo e per simile ragione Ignazio Gesualdi, nella tempesta de' suoi pensieri, dubitoso sul partito da prendere, andava esclamando: Santo Ignazio mio, per avermi voluto troppo bene, mi avete buscherato!

Dopo tanto lottare con le idee che gli si affollavano in mente, conobbe che non aveva tempo da perdere in titubanze inutili e nocive, bisognava determinarsi; e poiché il tristo aveva preso lo sdrucciolo della perdizione, senza considerare gl'infiniti ed inevitabili pericoli che gli si accumulavano sul capo per piombargli addosso e schiacciarlo, decise di operare con prontezza ed energia, giacché anch'egli aveva lo istinto de' colpi di stato.

Con un paio di mesi che gli sarebbe durata in mano la procura dell'Arpia, e il protettorato sopra Babbiolino, egli adottando la politica d'un reggente, intendeva d'imbrogliare le faccende in guisa da divorare mezzo il tesoro dello sgozzino, oltre le gioie nuziali, di cui egli, dal che considerò come morta l'Amalia, si era aggiudicato il perpetuo possesso, e le teneva riposte e ben custodite, ed oltre una lunga nota di spese occorse per lo imbarco, da lui compilata con diligenza ed onestà ammirevoli. Ma appena saputasi la morte dello sgozzino, la sua posizione, pensava egli saviamente, sarebbe mutata, le relazioni con la famiglia di lui sarebbero tosto cessate, e il frutto di tanta astuzia e di tante tribolazioni se lo sarebbe mangiato il diavolo: ohibò! Commettere una simile corbelleria! Nemmanco per sogno. Per la qual cosa pensò ch'era oramai tempo di disimpacciarsi di Babbiolino; della strozzina non temeva punto, perocché era tanto grulla, che se egli era riuscito a trappolare il marito che reputavisi il re de' furbi, avrebbe agevolmente ravvolta lei fra le sue astuzie e se la sarebbe resa schiava. Ragionamento da bestia piú che da animale ragionevole: e pare impossibile come egli, che fino da fanciullo, per cosí dire, aveva bazzicato sempre co' tribunali, coi legulei, i procuratori, i birri, le spie e simiglianti cose e persone, non pensasse che ne' paesi inciviliti esiste la Legge a tutela degli oppressi ed a spavento degli oppressori.

 

La dimane, appena fatto giorno, va diritto, a casa di Beppe, chiede di voler favellare con la signora o col signorino, cui aveva importantissime nuove da comunicare. Dopo una mezz'ora d'anticamera la mamma e il figliuolo entrarono in sala, dove Ignazio con volto ilare, appena li ebbe veduti e salutati, disse loro:

Buone nuove! Signora.

— Che c'è egli? — domandò ansiosa la strozzina.

— Quando torna il babbo? — disse Babbiolino.

— Tra poco, non abbiate paura, caro amico, e spero che assisterà al vostro prossimo matrimonio.

Poi rivoltosi alla madre e facendole un cenno cogli occhi, le bisbigliò all'orecchio:

— Ho ricevute nuove di Beppe; mi ha scritta una lunga lettera — e frugandosi nelle tasche del soprabito, de' calzoni, del panciotto, e del pastrano, e tastandosi il petto e i fianchi come suol farsi quando si cerca una cosa che si crede d'avere addosso, esclamò:

— Che bella testa che ho io! L'ho lasciata a casa di sicuro; basta ve la farò leggere domattina. In sostanza — e questo è il punto essenziale — egli sta benone, non fu mai contento quanto adesso, ed ingrassa, e di certo tra breve sarà smascherato l'impostore, e Beppe potrà ritornare senza la minima molestia. Mi raccomanda ch'io badi al buono andamento delle faccende di casa, e insieme con voi mi rechi alla villa per fare eseguire da' muratori e da' contadini certi lavori ch'egli m'indica, e mi fa una gran fretta. Io penserei d'andarci oggi stesso, che ne dite? Il tempo è bellissimo; e d'altronde, da domani in poi io sarò occupato, e per un paio di settimane non potrò venire, e non mi parrebbe ben fatto indugiar tanto a servire un amico, ch'io amo piú di me stesso.

Andiamo puredisse la donna — e Babbiolino verrà anch'egli. — Senti, nino; o che fa' tu costí? — Mentre Ignazio parlava con la madre il giovinetto erasi allontanato, e svagavasi a far oscillare il pendolo d'un orologio vecchio che stava sopra un cassettone. — Tu mi sciupi ogni cosa: o che non hai piacere a sentir le nuove del to povero babbo? Oggi s'ha andare in campagna.

Gnamo, gnamo puredisse Babbiolino.

— Dunque fate il vostro comodoriprese Ignazio — io faccio porre in ordine la vettura, e fra una ora — vi basta un'ora?

Gnorsí, e' me n'avanza: tanto m'infilo un vestito e sarò pronta.

— Fra un'ora si partirà.

 

Partirono, giunsero sani e salvi alla villa, che era un quindici miglia discosta da Firenze. Ignazio inventò certi ordini di Beppe, esaminò le cose con gran cura, spiegò lo zelo di un ministro responsabile nel provvedere agli interessi dell'amico.

Verso sera si posero a tavola; mangiarono senza riguardi, vale a dire a pieno e libero arbitrio del ventre, cibi d'ogni sorta. La strozzina, benché da qualche tempo avesse assunto il contegno della Crezia Rincivilita e si sforzasse e tormentasse ad assuefarsi agli usi de' signori, che non c'era verso attaccassero sopra i suoi sensi incalliti e sulla sua anima ottusa, non aveva potuto smettere l'abitudine del fiasco; aveva sempre avuta dimestichezza con esso fino nella casa paterna, poiché era figliuola di un ricco vinaio; ed ora standosi in campagna ci si abbandonò senza complimenti, e mentre tracannava gotti di santa ragione sì che le lacrimavano gli occhi, domandava ad Ignazio:

Bevo un po' troppo, n'è vero? Quasi, quasi ne avrei vergogna.

Bevete, bevete allegramente; siamo in campagna; una volta ogni tanto si può, anzi è necessario: licet in anno semel insanire.

— Che volete vo' dire? Non mi parlate greco, io intendo il parlare latino, quello solo ve'.

— E' vuol dire che è permesso di fare il chiasso quando si è in villa, e di mangiare e bere quanto uno ne vuole. O bella la libertà! Guardate, anch'io ho bevuto e bevo, e mi suol far male; nonostante, alla barba di chi non vuole e crepino gl'invidiosi.

Sicuro, alla barba de' birbanti.

— Di loro, giusto.

Due ore dopo erano tutti a letto, allorquando improvvisamente, il silenzio della notte fu rotto da urli e da lamenti che mettevano paura. Era il povero Babbiolino che sentiva bruciarsi e lacerarsi gl'intestini. Giaceva a pancia a terra contorcendosi che faceva compassione a vederlo. La mamma accorre in camicia, ma reggevasi appena sulle proprie gambe come quella ch'era mezzo istupidita dal troppo bere; o con parole vuote di senso confortava il figliuolo, il quale invece di chetarsi raddoppiava gli urli. Accorrono a chiamare il Gesualdi; e il tristo si fa trovare anch'esso assalito da un fiero dolor di ventre: nondimeno finge di sforzarsi strascinandosi fino al luogo dove pativa il malarrivato giovane, e comincia a maledire ai tartufi, alle anguille, al maiale che avevano mangiato in abbondanza. Ordina acqua di camomilla e di malva, ne beve anch'egli e ne a bere a Babbiolino, e gli applica de' panni caldi sullo stomaco. Ma il misero seguitava a dibattersi come un serpe sotto la zappa del villano; il viso gli era diventato livido, e chiazzato di macchie sanguigne; i capelli bagnati di sudore, le gambe e le braccia intirizzite. L'anima di Babbiolino aveva sloggiato dal suo corpo dopo venticinque anni di domicilio, aveva presa la posta e viaggiava per l'altro mondo. Babbiolino era freddo come un cadavere di tre giorni.

Il sentimento materno della strozzina fece un po' di lume al suo cervello avvinazzato, e la richiamò ai sensi. Come ella vide il figlio steso a terra privo di vita, si mise a fare un lamento che inteneriva i cuori di tutti. Ignazio spargeva anch'egli un fiume di pianto, disperavasi, la chiamava sciagura piú sua che d'altri; diceva che la marchesa ne sarebbe impazzata di dolore, la marchesina ne sarebbe morta, e che egli non avrebbe avuto cuore di scrivere all'amico la disgrazia del figlio. Poi si mise a fare un elogio funebre di tutti i meriti del giovinetto, ne lodò la bontà, la dolcezza, la cortesia, la grazia; la bellezza, il senno, e soprattutto la religione, e concludeva: — Beato lui! che ha finito di tribolare in questa valle di lacrime, mentre a noi tocca — chi sa fino a quando? — di piangere i nostri peccati in questa terra di miserie, ed egli se n'è ito diritto diritto in paradiso; mi parve di aver veduta volare l'anima sua in forma di colomba verso il cielo.

In questa era già corso il priore della chiesa vicina, con tutti gli arnesi opportuni ai bisogni del caso. Ignazio, piangendo sempre, lo aiutava a dir le preghiere in suffragio dell'anima. Appena finite le cerimonie consuete, lo trasse da canto e gli messe in mano una borsa con cento scudi dentro, perché ne dicesse tanto bene per quell'anima santa; già non ve n'era bisogno, ed avrebbe scommesso un occhio che l'era in luogo salvo, nondimeno per non avere rimorsi di coscienza, la voleva far suffragare; promettendogli che il padre di certo avrebbe largite piú pingui elemosine alla chiesa dove era sepolto il suo unico figliuolo, la gioia della sua vita. Al povero prete quel cento scudi parvero come cascati per isbaglio dalla tasca della provvidenza, e non capiva in sé dall'immensa contentezza; perocché quell'anno, fagiuoli scarsi, grano poco, vino pochissimo, olio punto, la sua esistenza trovavasi tutta appoggiata alla sola sagrestia, dalla quale per i tempi che correvano c'era da ricavar poco, per il poco numero e la condizione miserabile del gregge a lui affidato, e gli sarebbe forse toccata la trista ventura di andare scroccando la vita, ventura dolorosa, alla quale — esempio piú presto unico che raro per un prete di campagna — si sentiva poco inclinato. Noto queste circostanze affinché s'intenda in che modo quell'ottimo sacerdote s'inducesse a seppellire il defunto prima che spirasse il tempo prescritto dalla legge, e chiudesse gli occhi sulla natura del male che anche ad un cieco, per i segni evidentissimi che lo avevano accompagnato, doveva far nascere non il sospetto ma la certezza di un avvelenamento.

 

Il numero susseguente della insigne Gazzetta di Firenze in data d'un giorno dopo, gettava maggior lume sopra la nuova riferita nel numero antecedente:

 

«L'individuo perito nel quasi naufragio del Pirata, di cui parlammo ieri, non era un missionario, ma un uomo travestito da prete, famoso usuraio fiorentino, che fuggiva in America, sottraendosi alla giustizia che lo andava perseguitando come falsificatore di polizze di banca».

 

La nuova, appena sparsa in Firenze, messe in subbuglio la città tutta; l'evento fu ricevuto con somma ed universale letizia. Il foglio venne ricercato tanto che se ne dovette fare una seconda edizione. Il pubblico tripudio fu la misura dell'odio pubblico in cui era tenuto il famoso sgozzino. La sua misera morte, della quale non si sapevano i particolari, e quindi lasciava agli sfaccendati libero campo d'inventarne quanti e quali volessero, fu reputata un castigo del cielo, un esempio offerto dalla divina giustizia a sgomento di tutti i carnefici de' figli di famiglia.

Della morte di Babbiolino per allora non si seppe nulla a cagione degli artifici adoperati da Ignazio, il quale fra le altre cose ebbe cura di ritenere la povera donna in villa, dove il dolore della perdita del figlio le diede una febbre che la stese parecchi giorni delirante sul letto.

 

Frattanto il generale Alamanno Braccioferri non dormiva, insistendo di continuo presso il governo per iscoprire l'autore della lettera che produsse l'arresto di Roberto. Di Romagna era venuta risposta che dichiarava non esistere affatto né l'individuo né anche il nome di Fracassi; essere una pretta finzione secondo che il governo di aveva tutte le ragioni di assicurare. Allora il governo di qua non poté ricusarsi di annuire alle pretese di Alamanno, il quale chiedeva si costringesse la polizia a nominare la spia e punirla, della iniqua impostura. Gli spartani — è cosa notissimapremiando il furto eseguito con destrezza, punivano il ladro balordo: tale costume che la ragione ripudia come mezzo inutile se non dannoso, è stato trovato d'immensa utilità da alcuni governi de' tempi nostri, i quali mentre rimeritano le spie che sappiano fare il proprio mestiere con garbo ed astuzia, lasciano nell'imbroglio ed abbandonano a tutte le conseguenze quelle che si fanno chiappare in fallo, e talvolta le sottopongono a tutti i rigori della giustizia, per rendere un'apparente tributo ad essa, che, come affermava il buon Sancio Panza, è cosa buona ed utile anche fra i ladroni. Per tale ragione, il governo promise di punire severamente il Gesualdi, ed il generale Braccioferri ne rimase satisfatto. Ma Cincinnato Assoluti aveva poca fede nel rigore del patrio governo, e bramava di vedere il sanfedista, se non impiccato, almeno in galera, segnato del bollo degl'infami; e però essendogli giunta per avventura all'orecchio la nuova della morte repentina di Babbiolino, seguita contemporaneamente all'arrivo della notizia della sciagura d'Arpia, con quel suo modo lesto di pensare, d'immaginare e determinarsi, corre alla casa della vedova, e saputo da Sandro Imbroglia che la stava in villa, vi si reca a volo, la trova in istato di ragionare, la conforta e si maraviglia come ella tuttavia ignori la sorte del marito: la capacita di ogni cosa e le ficca in capo l'ideadimostrandola con tutta la eloquenza pittrice, che ispirano quasi sempre il rancore e la sete di vendicarsi d'un grande oltraggio patito — le ficca e le figge in capo l'idea che Ignazio Gesualdi — di cui Cincinnato le fa un ritratto morale dipinto cosí alla prima ma con tocchi pieni di vitaera colui che aveva mandato alla perdizione il marito e le aveva avvelenato il figlio.

La sgozzina alle parole di Cincinnato si sente rizzare le chiome sulla fronte, le pare di palpare le cose cosí come egli le dimostra, sorge dallo scuoramento in cui l'avevano prostrata le sue sciagure, e giura di vendicarsi. Cincinnato le promette assistenza, dacché — soggiunse — anch'egli bramava vendicarsi di un oltraggio ricevuto; e la donnicciuola con un coraggio ed un ardire da disperata, come una lupa trafitta dallo strale del cacciatore, salta in carrozza, e fremendo e brontolando in compagnia del giovine che la infiammava sempre più, fa sferzare i cavalli verso Firenze. Arrivati in città, Cincinnato la mette in relazione co' due più celebri ed intrepidi avvocati, i quali senza indugio diedero una querela criminale al Gesualdi e disposero le cose in modo da farlo preventivamente incarcerare.

I suoi amici della polizia lo avvertirono de' formidabili apparecchi fatti a suo danno; egli si accorse allora in quale inestricabile rete era implicato, e raccolte le gioie nuziali, e quanti danari poté di casa Arpia e tutti gli oggetti preziosi trasportabili del palazzo Pomposi, un addio perpetuo alla cupola di Firenze, e cauto e guardingo si parte prendendo sentieri storti e poco frequentati, varca i confini e ripara nel ducato di Modena, dove il rinomato principe di Canosa suo intimissimo amico, gli offerse un asilo.

La marchesa Eleonora che aveva visti andare in fumo i suoi disegni, tra per la vergogna del pubblico vitupero che si doveva aspettare inevitabilmente, tra perché la birba del Gesualdi l'aveva stregata in modo che essa non poteva aver pace lontana da lui, nuova Clitemnestra, sorda alla voce del sangue, abbandona la innocente figlia in pericolo di vita, e corre dietro al caro marito; il quale, malgrado la protezione del Canosa e della Compagnia che a que' tempi e in que' paesi era onnipotente, ebbe a fuggire anche da Modena, e per nuove scelleraggini commesse, riparatosi in altra terra, andò a finire la sua vita lorda sulle forche.

 

— Oh bene! bene gli stia! Raccontatelo, raccontatelo.

— Non posso; mi rincresce, mia virtuosa lettrice, di non appagare la sua curiosità, ma non posso e non devo. Come la legge savia non ammette un governo dentro un altro governo, cosí la critica sennata non ammette un libro dentro un altro libro.

— Ma via si vuol sapere, e tanto basti.

Basta per lei, ma non per me. La senta, ieri l'altro in Via della Vigna Nuova accadde che tre carrozze s'incontrassero, scantonando dalle tre strade in un momento medesimo, e con furia tanta che furono per fracassarsi tutte. I cocchieri, imprecavano, vituperavano, urlavano per isnodare quell'imbroglio. Un'Eccellenza che andava ad un pranzo diplomatico, trovandosi in uno di quel legni, impazientito, fa capolino dallo sportello e comanda al suo cocchiere che faccia cosí e cosí. Il cocchiere smezza una bestemmia complicata ch'egli saettava contro i rivali, si volge al padrone e gli dice: — Eccellenza, la faccia il padrone e stia zitto, ed a me lasci fare il cocchiere. — Amenrispose la Eccellenza rificcando la testa dentro la carrozza, poiché pensava che a ciascuno bisogna concedere assoluta indipendenza nel campo dell'arte propria. Nel medesimo modo la mi vorrà perdonare s'io le dico: la faccia la lettrice, e lasci a me fare lo scrittore, e non mi costringa a sviarmi dall'ordine della storia, il quale m'incalza verso la meta che l'arte rigorosamente mi addita, e m'impone.

 

La fuga d'Ignazio e della marchesa messe lo scompiglio in casa Pomposi; nessuno de' famigliari aveva ordini da eseguire, e quel che piú loro importava, non sapevano da chi farsi pagare, in specie perché la marchesa, osservando il costume dei gran signori spiantati, era a tutti debitrice di parecchi mesi di paga. Soprattutti era da udirsi la vecchia cameriera e fidata ministra della signora. Sperava di essersi meritato il ben servito, ed ora vedevasi a un tratto precipitata in una piena e perfetta miseria. Andava per tutte le stanze in sembianza di forsennata: predicava a tutta gola, rivelava le piú secrete lordure de' due coniugi, ed inviperita era corsa in camera dell'Amalia a riepilogare la storia della nefandità della marchesa. La vecchia strega già cominciava ad arringare schizzando veleno dagli occhi e dalle labbra, rabida come furia d'averno, allorquando entrò l'Adelina ad impedire che le escandescenze della vecchia aggravassero i mali dell'inferma.

All'Amalia la febbre da parecchi giorni era cessata, o a dir meglio aveva smesso dal suo furore ed erasi fatta lenta; ma il colpo era stato forte che la giovinetta era estremamente debole. Non era piú nel letto, ma giaceva sur una poltrona, con guanciali che le sostenevano le spalle e i fianchi. I medici affermavano che la era nella via di vivere: ma tornata alla ragione, l'anima sua, resa piú debole, era piú ferocemente lacerata dal pensiero di Roberto. L'Adelina erasi studiata di rassicurarla, di confortarla, giurandole che Roberto l'amava sempre; ma ella crollava la testa, quasi volesse dire: «Non posso crederlo» e lacrimava incrociando le mani sul petto come rassegnata ai dolori che il cielo le mandava.

Come l'Adelina seppe i fatti soprariferiti, benedicendo il cielo che aveva fatta tremenda giustizia degli iniqui, inebbriata di gioia ineffabile, era corsa all'Amalia, quasi portasse seco la virtú che doveva improvvisamente risanarla. Mentre adunque la vecchia aveva dato principio a quel profluvio di vituperi, la giovinetta che voleva restar sola con l'Amalia, si volse alla strega, dicendole:

— Ma zitta; andate via, voi le fate male, abbiate un po' di riguardo.

— Ed io mi voglio sfogareurlò la vecchia — con chi mi devo sfogare se non c'è nessuno in casa, e mi vedo assassinata?

Viadisse Amalia con voce debole, ma con contegno imperioso.

Viasoggiunse l'Adelina col viso infiammato di sdegnova' al diavolo, vecchia scellerata.

E raccogliendo tutte le sue forze, la prese per le spalle, la spinse fuori e serrò l'uscio.

— Mia buona Adele, tu vieni a visitarmi; ogni volta ch'io ti rivedo mi sento tutta racconsolare.

— E davvero vengo a darvi una gran consolazione — e le prese la mano e glie la baciò piú volte carezzandola: i suoi occhi fiammeggiavano di gioia; l'Amalia la sentiva anch'essa come per riverbero, e la interrogò: — Ma ch'è egli seguito? Roberto...?

— È vostro; ora non ve lo può togliere nessuno.

L'Amalia crollava il capo, e sorrideva amaramente; l'Adelina intese il cenno ed esclamò:

— Ma se tutti sono andati al diavoloVergine, santa, io ti ringrazio: meglio non far male, che o presto o tardi la mano di Dio piomba sopra chi ha peccato.

— Ma dimmi...

— Vi dirò tutto: ma state tranquilla, ch'io temo la grande allegrezza non v'abbia a far male: mi promettete di mantenervi tranquilla?

Amalia accennò di col capo, e le strinse la mano come a riconfermare il cenno.

— Gli ha ripiegate le cuoia.

— Io non t'intendo.

— La secca gli ha fatto batter l'ultima capata.

— Ma parla piú chiaro.

— Gli è crepato, gli è scoppiato, gli è morto.

— È morto? Chi mai? — dimandò l'Amalia facendosi piú pallida.

— Lui, il figlio dell'Arpia.

— Lui!

— Com'è vera la Madonna.

— Chi te l'ha detto? Come? Quando?

— E' lo sa tutta Firenze: gli è morto e sotterrato e gli ha dato il veleno l'infame Gesualdi, il quale è scappato via anch'esso, e non si trova piúmortovivo.

Le cose che l'Adelina diceva in quel modo rotto, mossero tale un tumulto nel cuore dell'Amalia, che si teneva il capo fra le mani come se lo sentisse andare in giro; e l'Adelina continuava:

— E gli è morto anche l'Arpia; Dio l'ha castigato; gli è affogato in mare mentre fuggiva che volevano metterlo per falsario nel Bargello.

Amalia non intendendo bene le cose con quel favellare balzano, pregò l'Adelina che le raccontasse con calma ed una dopo l'altra. Ma l'Adelina le sapeva a quel modo, e non poteva altrimenti significarle, e vedendo l'agitazione che aveva posto in cuore all'Amalia, le disse:

— Per ora vi basti quel ch'io v'ho detto: tra poco ve lo dirà meglio da sé.

— Chi?

— Lui.

— Chi lui?

— Il conte, gua'.

Roberto! E lo vedrò un'altra volta?

— Lo vedrete? Gli ha a venire con le sue gambe il signorino garbato; se no, ve lo trascinerò io per forza, e vedrete che mi basta l'animo.

— Io non potrò mai sostenere la sua presenza; l'ho offeso indegnamente: basta; il destino cosí ha voluto, e Dio legge dentro il mio cuore. — E si asciugava gli occhi.

Adelina tergendosi anch'essa una lagrima, soggiungeva: — Non vi affliggete, per l'amore di Dio, non mi fate piangere: io vi assicuro che gli è tanto buono, ch'egli vi ama piú di prima; e' sa che siete stata messa in mezzo da quel demonio del Gesualdi — che tu possa assaettare, che tu possa cascar morto — e dalla sora marchesa che non burla: vedete come gli è ita dietro anche lei: bell'onore per una signora come lei! Questa non l'avrei mai creduta né anche se me l'avesse detto... chi?... Basta, l'è stata proprio grossa.

— Mia madre! O cosa è seguito alla madre mia? — disse l'Amalia tutta commossa, e scuotendosi come ad un colpo repentino, dacché il nome della marchesa messo tra' fatti riferiti disordinatamente dall'Adele, le fece nascere in capo tanti pensieri indistinti, nessuno de' quali era consolante; ed incalzando:

— Dunque mia madre?

— Gli è andata dietro. O come? Voi siete in casa e non ne sapete nulla? Non ve l'hanno anche detto?

L'Amalia stende la mano ad un campaello e suona a piú riprese.

Comparve la donna che soleva servirla, ed interrogata, raccontò la improvvisa fuga del Gesualdi, e la partenza della marchesa. Come Amalia fu certa che la madre era vituperosamente corsa dietro ad un uomo che non era meno sozzo di quel che fosse scellerato, quasi quest'ultimo vituperio spargesse luce e ponesse in pieno effetto gli antichi, pianse dirottamente: lo affetto filiale, la cui forza l'aveva spinta a fare olocausto del proprio cuore e della vita propria, quasi lampada cui manchi l'alimento, le si spense nel seno. Ella era dunque sola sulla terra; e col pensiero rifugiandosi fra le braccia del suo Roberto, chiuse gli occhi quasi non volesse riaprirli mai piú. L'Adele la confortava invano, e dopo d'averle dette le piú care ed affettuose parole, promettendole che tra poco Roberto verrebbe a vederla, andò via frettolosamente. Nel traversare le stanze, ai famigliari che incontrava, non anche riavutisi dallo sbalordimento delle cose seguite, stringeva le mani con aria di protettrice, e si mostrava loro in sembianza di angiolo, nunzio di piú lieto avvenire.

 

Per le cure di Alamanno Braccioferri, di Cincinnato, di Guido, e piú per la stessa complicanza de' fatti, che facevansi lume vicendevolmente, la verità s'era mostrata in tutto il suo essere. Roberto oramai guardandola come si guarda un dipinto prospettico dal suo vero punto di veduta, ne rimase convinto; ma non sapeva esser lieto, avvegnaché la sua anima non poteva riaversi pienamente dalle patite torture, in quella guisa che la sostanza piú dolce non può cacciare in un subito l'amarezza dalle labbra che abbiano toccato un vaso intinto di fiele. Se il suo cuore scusava e commiserava l'Amalia, la sua ragione la condannava, fisso nel pensiero che piú presto che mancargli di fede e dare l'assenso al matrimonio cui la costringevano, si suppongano quanto si vogliano inevitabili le circostanze, ella avrebbe dovuto morire.

— E che ha ella fatto se non lasciarsi morire? — disse Alamanno. E gli raccontò la inumana prigionia, gli strazi, gl'insulti sofferti dalla giovinetta, e la commedia della simulata infermità della iniqua marchesa, e le ambagi e le imboscate del Gesualdi che avrebbero fatto cadere chiunque nella rete. A convalidare i fatti narrati il generale condusse innanzi al nipote la vecchia cameriera, la quale accesa di sdegno contro la sua ingrata padrona, rivelò cose orrende, e fece tale pittura della vita intima, come suol dirsi, de' due sanfedisti, che la immagine dell'Amalia nell'anima di Roberto risorse come una protomartire adorna della corona di gloria e della palma del trionfo.

— Che debbo dunque fare? — chiese Roberto allo zio che lo aveva già persuaso.

— Venire subito, subito dalla signora Amaliarispose l'Adelina — e consolarla ché soffre tanto.

Precisamente, come dice l'Adeledisse Alamanno.

— Ma badate! — soggiunse l'AdeleBadate di non dirle né anche una parola di rimprovero: voi le avete a chiedere scusa, le avete a domandar perdono, le avete a dire che il male è venuto tutto da voi.

Alle parole della fanciulla, il generale rise, Roberto sorrise.

Ridete? — disse l'Adele fattasi piú audace — Le non son cose da ridere, no: se non la consolate voi, io vi so dire che la muore. Se la vedeste come è bianca nel viso! Pare un voto della Santissima Annunziata: que' suoi labbri ch'erano come due coralli di un vezzo; quelle guance ch'erano due rose di maggio... è pallida e sbiadita che fa compassione. Ora andiamo senza far piú ciarle. Sentite, io vado avanti, io mi farò trovar . Verrà anche lei, sor generale, n'è vero? , la venga, la venga, perché del conte mi fido poco; non vorrei che seguisse qualche fattucciaccio: gli è buono e caro, gli è un figlio d'oro, ma quando gli salta il moscerino, chi si può salvare si salvi.

L'Adele gioiva e menava vampo come se quella felice complicanza di cose fosse stata opera sua: ella si sentiva addosso una certa padronanza da vincitore; la sua gaiezza congiunta alla semplicità affettuosa de' suoi modi, la rendeva cara da far girare la testa anche ad un filosofo ascetico.

 

Ritornò dall'Amalia: la sua apparizione nella stanza della povera inferma era sempre come un raggio di sole che penetri in un luogo buio: questa volta la sua letizia era tanta, che ne provocava il consentimento anche ne' cuori meno disposti ad accoglierla. Amalia, rispondendo vezzosamente al saluto, esclamò:

— Come sei bella stamani, Adelina!

— E non è anche nulla; aspettate un poco e vedrete!

— O che c'è egli di nuovo?

— Una cosa di nulla! Il conte, il sor Roberto garbato or ora viene a chiedervi perdono.

— Ei viene!

— S'e' viene? Fra un momento: mi par di sentirlo.

L'Amalia si commosse; il petto le alitava affannoso: — Dio! Io non resisto; sostienmi, Adele mia, non mi abbandonare; io non ho coraggio di guardarlo in viso.

— Egli, non voi, dev'esser quello che non ha avere coraggio. La donna ha sempre ragione. Lasciate fare a me.

Quel quarto d'ora che scorse innanzi che arrivasse Roberto, l'Amalia, sospeso il respiro, teneva gli occhi fitti all'uscio, bramando ad un'ora e temendo di vederlo spalancare. L'uscio si apre leggiermente; era la fante che annunziava il conte Cavalcanti.

Passi, passirispose l'Adele; e quella esitando di andare perché la padrona rimaneva tacita, Adelina ripigliava: — Fatelo passare subito, non sentite?

Roberto tremante e pallido comparve e si fermò in sulla soglia: l'Amalia appena lo vide, si afferrò al braccio dell'Adelina, fece uno sforzo a vincere la debolezza delle membra, e si alzò in atto di muoversi incontro al giovine, il quale accelerando il passo, esclamò:

Amalia!

Roberto mio!

E come furono presso l'uno dell'altro, la fanciulla si abbandonò con tutta la persona fra le braccia del suo diletto. Lacrimavano entrambi, senza dirsi né anche una parola. E non era mestieri che il labbro favellasse, perocché in quel momento le anime loro parlavansi piú schietto, piú caldo e piú arcano linguaggio. Quando il primo tumulto degli affetti parve calmarsi, Roberto adagiò l'Amalia sulla seggiola dei suoi dolori. Non appena ebbe fissato lo sguardo su quel viso smunto e devastato, vi lesse intera la storia del suo martirio, e l'amore gli riarse nel cuore con nuovo impeto: in quel momento giurò che nessuna forza umana l'avrebbe staccato mai dal fianco dell'Amalia.

La giovinetta, allorché ebbe forza di alzare gli occhi al viso di Roberto, che gli parve piú bello, perché reso piú sublime dal sentimento del perdono, incominciò:

— Mio Roberto, mio diletto! Io t'ho trattato indegnamente...

— Non dirlo, amor mio, non dirlo, io so tutto; tu sei una martire; io ho fallato; era mio debito correre e liberarti dalle mani de' tuoi carnefici, fui codardo, fui debole, fui uomo infine, la colpa è tutta mia; non so cosa io possa fare perché tu e Dio me ne mandiate assoluto. Cara, se brami che io non cada morto di vergogna e di dolore ai tuoi piedi, non parlarmene mai piú. — E piegato a terra il ginocchio carezzandola ed asciugandole soavemente gli occhi, e baciandole le mani e le vesti come cosa santa, seguitava:

Adesso la tempesta è finita, è finita per sempre, il sole risplende piú lieto su noi: nessuno mi strapperà piú da te; tu sei mia, eternamente mia; il mio diletto zio benedirà la nostra unione; egli attende di e bramerebbe di vederti.

L'Adelina che appoggiata alla finestra, stavasi a mirare la scena, e con gli occhi approvava il contegno del conte — quasi dicesse con la chiarezza del linguaggio articolato: «Bravo il mio ragazzo!» — era corsa senza aspettare il comando, nella stanza contigua, e subito dopo ricomparve conducendo Alamanno, e con aria da padrona di casa, diceva:

— Il signor generale.

I due amanti gli rivolsero gli occhi. Roberto alzandosi e correndo incontro allo zio, disse: — Ecco la mia Amalia! — Al vecchio soldato l'Amalia parve una di quelle figure ideali, che create dal cuore piú che dalla fantasia di un artista, formano l'opera monumentale del suo genio. La giovinetta coperta d'una lunga veste candida, era distesa mollemente sopra una larga poltrona fra due guanciali. Appoggiava la faccia pallida sopra un'ampia spalliera di velluto bruno, dalla quale staccava come una testa radiante dipinta sopra un fondo scuro. Le chiome raccolte da un nastro azzurro le scendevano a ciocche ondeggianti e lucide sulle spalle e nascondevansi sotto le pieghe d'un velo annodato sopra il seno. Era cosa piú celeste che terrena; quel caro viso colpí di stupore e di affetto l'animo di Alamanno, il quale al solo vederlo, come se ne avesse udita l'apologia, diede subito ragione all'Amalia, e torto al nipote, che con la spada alla mano avrebbe dovuto difenderla o morire da valoroso sulla breccia. L'acquisto dell'Amalia, secondo l'opinione del vecchio militare, valeva la piú famosa battaglia di Napoleone. La contemplò in silenzio, ed appressatosi e presale la mano, se la recò al labbro e baciolla dicendo:

Signora, state lieta, son qui io; meglio tardi che mai, siete salvi ambidue.

Sulle smorte sembianze dell'Amalia lampeggiò un raggio di gioia; le parole franche e brevi del vecchio generoso mutavano in certezza quella che per lei non era altro che speranza. S'intertennero in lieti ed affettuosi ragionari, intorno la salute, la prossima guarigione della giovanetta; la confortavano con soavi e carezzevoli detti, quand'ella, significando cogli occhi tutta la sua gratitudine, disse:

— Mio Roberto, è tanto tempo che stanco il cielo con le mie preghiere perché mi chiami a sé, ed ero lieta di morire; ora riamo la vita, la bramo quanto non la ho mai bramata: oh! Se le mie deboli forze non bastassero a vincere il male, io partirei da questo mondo, poco rassegnata, sconsolata, disperatissima di lasciarti, senza essermi potuta mostrare tua sposa al cospetto delle genti.

L'Adelina ascoltava pietosamente le parole dell'Amalia, ed alzandosi sulle punte de' piedi per arrivare all'orecchio d'Alamanno, gli disse:

— Ma, signor generale, non potrebbe ella fare un gran bene? Non si potrebbero sposare qui in casa nella cappella? La creda a me, lo sposalizio è una gran cosa per una ragazza: provi con la signorina, e la creda in di Dio, che in due giorni la diventa sana, fresca e bella come un occhio di sole.

Il generale mentre non poteva frenare un sorriso alle frasi bizzarre della giovinetta, ne approvò il consiglio, ed appressatosi a' due innamorati, e presili per le mani, disse:

Roberto, Amalia! Voi vi amate, e lo veggo, voi siete nati per viaggiare congiunti l'amaro viaggio della vita: io per indole e per esperienza sono avverso agl'indugi, io vi consiglio, io vi esorto, io voglio che vi sposiate subito; per ora vi benedirò io; quando l'Amalia sarà pienamente rimessa in salute riceverete la benedizione del sacerdote.

Amalia e Roberto miraronsi con occhi pieni di desio; Roberto si tolse di dito la gemma nuziale della madre sua e la pose in dito all'Amalia, il vecchio prese le loro destre e le congiunse dicendo:

Figli miei, possiate vivere lunghi anni; il cielo versi sopra di voi lo infinito tesoro delle sue benedizioni.

L'Adelina che finallora era stata vispa, e che in tutte le passate procelle aveva fatto come il piloto che serba il coraggio fino a che le onde non lo inghiottano afferrato all'ultima tavola del naufrago naviglio, vedendo Roberto ed Amalia indissolubilmente congiunti, sentí in cuore tale una piena di letizia, che si lasciò cadere sopra una seggiola dicendo:

— Oimé! Gli è troppo: io muoio dalla gran consolazione. — E ridente e quasi fuori di sé, esce dalla stanza e girando per le sale del palazzo, sparge la lieta nuova e vi diffonde la gioia. Ai famigliari, i quali ripensavano alla fuga del Gesualdi, alla sparizione della marchesa, alla morte dell'Arpia, ed allo sposalizio della loro infelice padrona, parve che la mano di Dio avesse purgata la casa Pomposi de' ladroni che l'infestavano, e vi riconducesse gli uomini cristiani e dabbene.

Quando l'anima dallo abisso della disperazione dove non piova lume che la conforti, viene improvvisamente dalla forza arcana delle vicissitudini inalzata sulle ali della speranza che in un baleno la conduce al fine de' suoi desideri, si sente inondare da tanta gioia che talvolta ne rimane sopraffatta. Tale era lo stato di Roberto che fra gli amplessi della donna del cuore non avrebbe barattata la propria sorte con la soprumana beatitudine di un angiolo; vedevasi inoltre redento dai domestici danni, in cui lo aveva precipitato la demenza della sua giovinezza. Non abbandonavanottegiorno l'Amalia, la quale, forse per la stessa commozione della gioia sentiva ognor piú scemarsi le forze corporee. Nonostante, Roberto ingannava se stesso, e credeva certa la guarigione, comunque lenta; pensava che la giovinetta, tolta la cagione delle passate sciagure, dovesse nella nuova letizia trovare il farmaco piú efficace al riacquisto della salute. Ma la terribile infermità sofferta le aveva lasciato nelle membra un tarlo occulto, contro cui non valevano umani argomenti, perocché erasi abbarbicato al principio vitale e glielo andava consumando. L'Amalia, svincolatasi dalla violenza della febbre, veniva ognor meno a guisa di fonte che scemi col crescere del calore estivo fino a che pienamente si dissecchi.

La giovinetta trovavasi in mezzo alla sua nuova famiglia, in seno allo affetto purissimo ed infinito di coloro che l'amavano. L'Adelina stavale sempre da presso a spiare i piú lievi desideri ed a satisfarli. Negli affettuosi modi del vecchio zio le pareva che il cielo le avesse ridata la dolcezza delle carezze paterne: i famigliari tutti l'adoravano come cosa santa. Questo cumulo di beni, che era cagione a farle amare la vita, la illudeva mirabilmente, e non ostante che si sentisse sempre piú scemare le forze, anche essa credeva fermamente che avrebbe riacquistata la cara salute.

Un giorno Roberto e l'Amalia erano soli. Era un bel giorno di dicembre, l'aria era di quella splendida purità, che muove lo straniero ad esclamare: il bel cielo d'Italia! La stanza, volta a mezzodí, dava sur un giardino, che folto di piante e adorno di fiori invernali, richiamava alla mente le dovizie campestri di primavera. Amalia giaceva sulla sua poltrona; Roberto assiso sopra uno sgabello coperto di una pelle di tigre, teneva sulle propria ginocchia i piedi di lei, e li carezzava amorosamente, a quando a quando riscaldandoli col suo respiro. Ragionavano, godevano nel riandare la storia del loro amore; rammemorando le stesse traversie patite e felicemente superate, i loro cuori sfogavansi, e quasi si ripurgassero dell'amarezza che li aveva contristati, riempivansi di letizia. Roberto, cosí come il procedere del ragionamento gl'infiammava la fantasia, per alleviare il peso della infermità alla sua donna, con colori gai e ridenti dipingendole il piú bel quadro ideale della loro vita futura, glie ne faceva pregustare le dolcezze; glie le presentava come a chi, chiuso dentro una stanza buia, si faccia vedere un vago ed ameno paese a traverso d'una ampia finestra di limpido cristallo.

, cara, — le diceva Roberto — come ti sarai un po' riavuta, andremo alla campagna. Ivi staremo soli.

Soli!

— E che mi cale del mondo? Il mio mondo sta tutto in te, tu mi riempi l'anima; se la vita fosse eterna, io non vorrei altro paradiso che quello del tuo cuore; in te ogni mia brama finisce, i beni tutti dell'universo non valgono un solo dei tuoi sorrisi, un solo de' tuoi sguardi; al di di te io non so nemmeno immaginare piú nulla che mi possa accrescere d'un attimo la beatitudine che mi il solo contemplarti.

— Ed io ti amerò sempre come ti amo adesso; il mio amore è infinito...

Ore beate, ore divine! Io ti edificherò una villa splendida quanto la potrai desiderare, cinta da un giardino che accolga tutte le delizie campestri: la chiamerò del tuo nome; decorerò le sale con tutto lo splendore delle arti; dalle pareti fra' capolavori de' grandi artisti penderanno le immagini de' tuoi e de' miei antenati: avremo libri...

— E quando ne' rigori del verno, rinchiusi nella nostra tiepida stanza, saremo entrambi assisi accanto al fuoco, io godrò leggendoti i piú bei tratti de' nostri grandi scrittori; congiunta a te, gusterò piú squisite le bellezze de' nostri poeti divini.

— E la tua voce soave...

— E quando l'anima tua sarà trista, io toccherò l'arpa, e la soave armonia di quel diletto strumento disperderà le nubi, e te la farà serena.

— Ed io starò ad udirti estatico come ti dipinsi: ti rammenti, o mia diletta, di Bellosguardo? Ivi mi desti il primo bacio che in terra mi fece pregustare una gioia che trascende le forze della umana creatura.

— Ed io ti baciai, senza arrossire, poiché tu eri mio innanzi a Dio, che m'importava degli uomini?

— E passeggeremo per gli ameni viali del giardino, godremo a mirare i fiori che avrò piantati per te, e ne raccorrò i piú vaghi, i piú fragranti, e fattone un mazzolino, te lo riporrò sul seno.

— Ed io lo pregierò come un vero tesoro, piú che ogni tesoro...

— E quando il lungo andare ti avrà stanca, io ti prenderò sulle mie braccia come un caro bambino... E se Dio seguiti a proteggerci come ci ha benedetti, noi l'avremo un bambino.

— E lo amerò tanto, tanto, tanto.

— Sarà bello quanto te.

— No, sarà la stessa immagine tua, e voglio che si chiami Roberto anch'egli. E presto gl'insegnerò a chiamarti a nome... e lo farò danzare sulle mie ginocchia, e gl'insegnerò che ti sorrida.

— Col fanciullo assiso sulle tue ginocchia tu sarai bella come una madonna di Raffaello.

— E ti dirà: babbo...

— Mentr'io lo divorerò co' miei baci, come bacerò te sempre, sempre. E sollevossi, spinto dall'impeto del cuore; e sulla bocca dell'Amalia, cui il soave tumulto dell'anima aveva richiamato sulle labbra la lieve e pura tinta di rose con che s'immaginerebbe colorita la bocca del piú bell'angiolo, un bacio, che Amalia gli rende, cingendogli il collo con un braccio: e qui un alternare di carezze, di sospiri, di espansioni, soave e pura ebbrietà di due cuori ispirati! La donna rimane senza moto e senza respiro col braccio strettamente avvinchiato al collo di Roberto.

L'impeto della gioia aveva vinte le deboli forze della vita, e la giovinetta con l'ultimo anelito mandato sulla bocca dello sposo, aveva spirata l'anima.

Il giovane, svincolatosi da quell'amplesso senza moto, getta un grido di spavento; accorrono Alamanno e l'Adelina; a prima vista tutti, illudendosi pensarono che l'inferma fosse caduta in uno svenimento. Adoprano tutte le possibili cure a richiamarla ai sensi; arrivano i medici, che dichiarano con voce grave: — È morta.

La bella vergine con le mani abbandonate sul grembo, con la testa appoggiata sulla spalliera della seggiola e ripiegata verso la finestra, aveva le labbra ancora atteggiate ad un riso di contento che

 

«morte bella parea nel suo bel viso».

 

Roberto rimase istupidito dal dolore: moveva gli sguardi in modo da far credere che avesse perduto il senno. Giaceva col corpo ripiegato sulle proprie ginocchia, le mani incrociate e fitte al seno; la testa declinata, gli occhi fissi all'Amalia; pareva che la sua anima si fosse sprigionata dall'ingombro corporeo, e congiunta in amoroso amplesso a quella della sua diletta, fosse anch'essa volata al cielo. Appena la ragione cominciò a far lume al suo intelletto smarrito, il suo dolore ruppe ogni freno. L'amoroso zio, colpito anch'egli profondamente dal lacrimevole caso, lo strappò a forza da quel luogo, lo condusse in altra stanza discosta, lo adagiò sul letto, e gli si assise accanto senza che gli si scostasse né anche un momento.

L'Adelina lacrimava, singhiozzava, sospirava senza mettere uno strido; ma il dolore le aveva tanto devastato i sembianti che sembrava in un'ora fosse invecchiata dieci anni. Salda d'animo, quanto era tenera di cuore, non patí che nessuno toccasse la defunta, la quale per lei era una reliquia sacrosanta. Lavò il cadavere con acque odorifere, lo vestí di abiti ricchissimi, l'adornò come una sposa novella, lo volle accompagnare fino a San Miniato, dove fu sepolto: e come vide la lapide coprire la sepoltura, quasi la sua anima si sotterrasse col feretro dell'amica, si svenne. Per piú anni non fu vista mai ridere; per tutta la vita serbò nel cuore la memoria dell'Amalia come un fuoco sacro: tutte le domeniche recava sulla tomba dell'estinta un mazzo di fiori; non pregava pace all'anima sua, ché a lei pareva vederla in paradiso nel piú bel seggio di gloria, ma le implorava protezione e sostegno con le parole con che si prega una santa.


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