Antonio Gramsci
L'albero del riccio

Lettera II   Che farņ da grande?

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Lettera II

 

Che farò da grande?

 

 

Carissima Tania,

e cosí l’anno nuovo è incominciato.

Bisognerebbe fare dei programmi di vita nuova, secondo l’usanza: ma per quanto abbia pensato, un tale programma non sono riuscito ancora a combinarlo. È stata questa una grande difficoltà sempre nella mia vita, fin dai primi anni di attività raziocinatrice.

Nelle scuole elementari ogni anno di questi tempi assegnavano come tema di componimento la questione: «Che cosa farete nella vita». Questione ardua che io risolvetti la prima volta, a otto anni, fissando la mia scelta nella professione di carrettiere. Avevo trovato che il carrettiere riuniva tutte le caratteristiche dell’utile e del dilettevole: schioccava la frusta e guidava i cavalli, ma, nello stesso tempo, compiva un lavoro che nobilita l’uomo e gli procura il pane quotidiano.

Sono rimasto fedele a questo indirizzo anche l’anno successivo, ma per ragioni che direi estrinseche. Se fossi stato sincero, avrei detto che la mia piú viva aspirazione era quella di diventare usciere di pretura. Perché? Perché in quell’anno era venuto al mio paese come usciere di pretura un vecchio signore che possedeva un simpaticissimo cagnetto nero, sempre in ghingheri: fiocchetto rosso alla coda, gualdrappina sulla schiena, collana verniciata, finimenti da cavallo in testa.

Io proprio non riuscivo a dividere l’immagine del cagnetto da quella del suo proprietario e dalla professione sua. Eppure rinunciai, con molto rammarico, a cullarmi in quella prospettiva che tanto mi seduceva. Era di una logica formidabile e di una integrità morale da fare arrossire i piú grandi eroi del dovere. , mi ritenevo indegno di diventare usciere di pretura, e quindi di possedere cagnetti cosí meravigliosi: non conoscevo a memoria gli ottantaquattro articoli dello Statuto del regno! Proprio cosí.

Avevo fatto la seconda classe elementare (rivelazione prima delle virtú civiche del carrettiere!) e avevo pensato di fare nel mese di novembre gli esami di proscioglimento, per passare alla quarta saltando la terza classe: ero persuaso di essere capace di tanto, ma quando mi presentai al direttore didattico per presentargli la domanda protocollare, mi sentii far a bruciapelo la domanda: «Ma conosci gli ottantaquattro articoli dello Statuto?». Non ci avevo neanche pensato a questi articoli: mi ero limitato a studiare le nozioni di « e doveri del cittadino», contenute nel libro di testo.

Ciò fu per me un terribile monito, che mi impressionò tanto piú in quanto il 20 settembre precedente avevo partecipato per la prima volta al corteo commemorativo, con un lampioncino veneziano e avevo gridato con gli altri: «Viva il leone di Caprera! Viva il morto di Staglieno» (non ricordo se si gridava il «morto» o il «profeta» di Staglieno: forse, tutti e due, per la varietà), certo come ero di essere promosso all’esame e di conquistare i titoli giuridici per l’elettorato, diventando un cittadino attivo e perfetto. Invece non conoscevo gli ottantaquattro articoli dello Statuto. Che cittadino ero dunque? E come potevo ambiziosamente aspirare a diventare usciere di pretura e a possedere un cane con il fiocchetto e la gualdrappa? L’usciere di pretura è una rotella dello Stato (io pensavo fosse una grande ruota); è un depositario e un custode della legge, anche contro i possibili tiranni che volessero calpestarla. E io ignoravo gli ottantaquattro articoli!

Cosí mi limitai gli orizzonti, e ancora una volta esaltai le virtú civiche del carrettiere, che tuttavia può avere un cane anch’egli, sia pure senza fiocchetto e senza gualdrappa. Vedi come i programmi precostituiti in modo troppo rigido e schematico vanno a cozzare, infrangendosi, contro la dura realtà, quando si ha una vigile coscienza del dovere!

Ti abbraccio

ANTONIO

 

 

 

 


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