Antonio Gramsci
L'albero del riccio

Lettera XXI   «Barbabucco»

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Lettera XXI

 

«Barbabucco»

 

 

Caro Giuliano,

ho ricevuto con molto entusiasmo i tuoi nuovi disegni: si vede che sei allegro e quindi credo che tu sia in salute. Ma dimmi: sai fare altri disegni che non siano per burla? Non mi hai scritto se a scuola fanno imparare il disegno e se ti piace disegnare anche «sul serio».

Io da ragazzo disegnavo molto, ma i disegni erano piuttosto lavoro di pazienza; nessuno mi aveva insegnato. Riproducevo, ingrandendoli, le figure e i quadretti di un giornalino. Cercavo anche i colori fondamentali con un mio sistema non difficile, ma che domandava molta pazienza.

Ricordo ancora un quadretto che mi costò almeno tre mesi di lavoro: un contadinello tutto vestito era caduto in un tino pieno d’uva, pronto per la pigiatura, e una contadinella tutta rotondetta e grassottella lo guardava tra spaventata e divertita. Il quadretto apparteneva a una serie di avventure in cui il protagonista era un terribile caprone (Barbabucco) che, cozzando all’improvviso e a tradimento, faceva volare via i suoi nemici e i ragazzi che gli avevano dato la baia.

Le conclusioni erano sempre allegre, come nel mio quadretto. Come mi divertivo a ingrandire il disegnino: misure col doppio decimetro e col compasso, prove, riprove con la matita ecc. I fratelli e le sorelle guardavano, ridevano, ma preferivano correre e gridare e mi lasciavano alle mie esercitazioni.

Caro Giuliano, ti bacio.

ANTONIO

 

 

 

 


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