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VIII.
Arrivato a Venezia, Filippo si recò a palazzo Vagli.
Erano le cinque; sua madre riceveva.
Egli, indugiatosi un istante nella grande sala, nella quale non era alcuno, udì le voci che provenivano dal salotto attiguo. Parlavano, a volta a volta, sua sorella contessa Ada de Idris, la contessa Osvaldi, la contessina Fioresi, e dall'acciottolìo di chicchere e di piattini si comprendeva che le gentildonne stavano bevendo il tè.
Filippo era per ritirarsi e salire nel suo appartamento, allorchè la contessina Fioresi, tutta vestita d'azzurro, uscì correndo dal salotto, vide Filippo che s'era messo innanzi a uno specchio il quale occupava intera una parete, e si mise a ridere.
- Colto in flagrante! - esclamò. - Si fa bello, qui, solo? Ma la contessa Bianca ci annunciava poco fa che lei era in campagna....
- Dalla, campagna non si può tornare? - disse Filippo, sorridendo e stringendo la mano alla fanciulla dai capelli fulvi.
- Chi c'è? Chi c'è, Giselda? - chiesero più voci dal salotto.
- C'è Flopi che si arriccia i baffi! - rispose Giselda Fioresi; e ridendo uscì per andare a prendere una cartella di musica.
- Davvero, Flopi? - esclamò la contessa Bianca, apparsa subito sul limitare.
Ella era alta e magra, vestita di scuro; dal volto pallido spirava un'aria di maestà e di dolcezza insieme; gli occhi castani avevano sguardi placidi e dritti; la bocca ben disegnata, col labbro inferiore un po' sporgente, sorrideva volontieri. Tutti i capelli della contessa Bianca erano candidi come neve e un poco ondulati.
Filippo si chinò a baciarle la mano; ella lo baciò in fronte e gli disse, presto, sottovoce:
- Che hai fatto? Che hai fatto?
Ma anche le altre signore apparvero sulla soglia, e Filippo si avanzò per salutarle.
- Dove sei stato fino a oggi? - domandò la contessa Ada de Idris, ch'era bionda e aveva una carnagione rosea delicatissima.
- In giro, sono stato, - rispose Filippo. - Avevo qualche cosa da sbrigare a Milano e a Torino.
La contessa Osvaldi, piccoletta, irrequieta, bruna, diede in una risata; ma Filippo non se ne curò, perchè quella rideva sempre.
Tornarono nel salotto, tappezzato di stoffa antica, giallina ad arabeschi tenuemente rosei, che un raggio di sole, penetrando dal balcone prospiciente il Canalazzo, sembrava cospargere d'una imponderabile polvere d'oro.
Ada de Idris, ripreso un discorso interrotto dall'arrivo di Filippo, parlò della campagna. Il conte de Idris era in campagna, e Ada doveva raggiungerlo; poi sarebbero andati a Lucerna, dove l'anno prima s'erano molto affaticati e punto divertiti.
- O perchè vi ritorni? - domandò Filippo, prendendo una tazza di tè dalle mani di sua madre.
- -Sai che Leopoldo non vuol campagne romantiche; odia le chaumières....
- E anche ton coeur? - chiese sbadatamente la contessa Osvaldi.
Ma le chiacchiere furono interrotte di nuovo.
Entrò il conte Lombardi, alto e calvo, che, vedendo Filippo, fece un gesto di piacevole maraviglia, andò a baciar la mano alle signore, e disse:
- Tornato?... Io ti faceva così lontano!
- E perchè? - rispose Filippo. - L'ultima volta che ci siamo visti....
- Ma sì, alla stazione, - seguitò il conte Lombardi. - Mi sembravi nervoso, allegro, inquieto....
Filippo, che stava in piedi presso un alto stipo di mogano a fregi d'oro sbiadito, sentì gli sguardi di sua madre.
- Anzi, - continuò il Lombardi, - ti avevo invitato a pranzo, tu avevi accettato, noi ti abbiamo atteso.... e ti rivedo ora, da quel giorno!
- Questa è grossa, Flopi! - disse Ada.
- Hai ragione; non so come scusarmi, - convenne Filippo, sorridendo, ma noiato per quel ricordo.
- Ti dirò io come puoi essere scusato, - rispose il conte Lombardi. - Vieni a pranzo da noi, domani. È detta?
- È detta! - ripetè Filippo, pensando che aveva sperato di ripartire subito, ma che a quel secondo invito bisognava arrendersi.
- Ecco, benissimo, - osservò Ada de Idris. - Domani vai a pranzo da Lombardi, e domani l'altro mi accompagni a Vittorio, da Leopoldo, e ti fermi da noi.
- No, cara, - disse Filippo recisamente. - Ho da fare qui.
- Ha da fare a Venezia, in luglio! - esclamò la contessa Osvaldi, ridendo. - Voi avete da fare a Milano, a Torino, a Venezia! Mi sembrate un ministro....
- Anzi, la negazione d'un ministro, - corresse il conte Lombardi. - Un ministro non ha mai da far nulla, in nessun paese del mondo!
Filippo non seguì oltre la conversazione; s'avvicinò a uno dei poggiuoli, gettò un'occhiata distratta in Canalazzo, dove non passava che una gondola lenta.
Quei discorsi, quegli accenni a persone e ad abitudini familiari, quelle amiche, tutto lo noiava. All'infuori di sua madre, nessuno pareva conoscere l'ultima scappata di lui; ma le poche parole scambiate in quei brevi istanti, gli facevan comprendere che si sarebbe saputo tutto da tutti, poco più tardi.
La sua vita, la vita a Venezia, tra quella società aristocratica tanto esigua di numero, era troppo nota, confidenziale, metodica. Si svolgeva sempre tra le medesime persone, che ripetevano, senz'accorgersi forse, le medesime occupazioni, ogni anno, ogni giorno. Le donne erano strette in gruppi; gli uomini erano stretti in gruppi; nulla poteva sfuggire in quel circolo nel quale egli pure era chiuso da anni.
Giselda Fioresi gli passò daccanto col suo fascicolo di musica.
- Dunque, - ella disse. - È stato in campagna? Ora si ferma?
- Le pare? - rispose Filippo. - Fermarmi a Venezia? Credo che la mamma parta a giorni; e io rimarrei qui solo?
- Allora accompagna la mamma, come sempre?...
Come sempre! Egli guardò la fanciulla, che gli stava innanzi, col suo fascicolo sotto l'ascella, il busto eretto, i capelli fulvi arruffati sulla fronte. Era graziosa; gli occhi avevano qualche lampo di malizia, e la bocca, schiudendosi, mostrava bei denti.
- Come sempre? - ripetè. - Io vorrei invece quest'anno far qualche cosa di diverso.
- Ah, bene! - esclamò Giselda. - Allora al Polo Nord, in cerca d'avventure.
- Già, in cerca d'avventure! - mormorò Filippo.
- Mi dispiace. Speravo vederla in campagna!
Filippo s'inchinò leggermente.
- Lei è molto gentile. Ma, le avventure? Le avventure a San Donà?
La fanciulla scosse la testa, lo guardò un attimo, rise con gli occhi:
- Eh, siamo d'accordo! - disse. - Se ha intenzione di fare il matto, San Donà non le conviene. Mi dispiace, ripeto!
Veramente non sapeva nemmen lei, Giselda, perchè la partenza di Filippo le spiacesse, e non sapeva perchè andasse ripetendoglielo; ma la vita di quell'uomo aveva il curioso potere di irritarla, a quando a quando. Avrebbe voluto mettersi a cavalcioni d'una sedia, accendere una sigaretta e udirlo raccontare ciò che faceva e ciò che pensava. L'ignoranza alla quale era costretta, la pungeva continuamente.
- Bene, - concluse. - Buone avventure, dunque!
- Ma no; non vorrei che desse alle mie parole un significato che non hanno. Intendo fare un piccolo viaggio, ecco tutto! - spiegò Filippo.
- E a me lo racconta? - esclamò Giselda, allontanandosi.
- Che originale! - pensò Filippo con un sorriso, mentre la seguiva con gli occhi.
Ella andò a parlare con la contessa Bianca.
- La ringrazio, - disse, mostrando il fascicolo di musica. - Fra un paio di giorni glielo rendo!
- Ma non importa, bambina! - esclamò la contessa Bianca ridendo. - Fra un paio di giorni io sarò già forse in campagna.
- Sola; perchè Filippo va a fare un viaggio. Al Polo Nord, mi ha detto....
La contessa lanciò un'occhiata interrogativa a suo figlio, che finse di non vedere e di non comprendere.
Ma quando le dame e il conte Lombardi si congedarono, verso le sette, Filippo si avvicinò a sua madre, le baciò di nuovo la mano sorridendo, e disse:
- Ebbene, mamma, so che tu sei inquieta....
- Sono sdegnata, Flopi, - rispose la contessa Bianca, severamente, pur non potendo abbandonare il diminutivo col quale sempre aveva chiamato il figliuolo. - Sono sdegnata per quello che so e per quello che si dice....
- Quanto a quello che si dice, - osservò Filippo, - non è il caso di curarsene; a Venezia si dice sempre qualche cosa di qualcuno, per ozio e per abitudine. Quanto a quello che sai....
- È questo! - interruppe la contessa, con gli occhi vivi di luce, fissando il figlio. - Tu hai fatto fuggire di casa una onesta ragazza e te la sei portata via; con quale coscienza, con quale diritto? Che ne farai, quando il vergognoso capriccio sarà sazio e non potrai più mentire? Mi spaventa l'idea che tu sia di quelli i quali, per un istante di concupiscenza, osano spezzar la vita d'una donna e abbandonarla a un destino orrendo; e mi sembra anche ridicolo che tu, a trentasei anni, non sappia calcolar l'importanza delle tue azioni e non veda dove tu vai....
Filippo, ch'era seduto in una poltroncina assai bassa, quasi alle ginocchia di sua madre, la guardò più inquieto per la verità semplice e logica delle sue parole, che non per lo sdegno onde s'era imporporato il bel viso pallido di lei.
- Bisogna conoscere gli ambienti, - egli osservò.
- Gli ambienti? - ripetè la contessa. - C'è dunque un ambiente nel quale tu abbia il diritto di non essere onesto? Se questo ambiente esiste, un gentiluomo non deve mettervi piede.
- E dàlli! - esclamò Filippo, allungando la mano fino a togliere da un tavolino un astuccio, e accendendo una sigaretta. - Tu sei rigida come la matematica! Non ti dico che io abbia il diritto di essere disonesto; ti dico che ogni colpa ha le sue attenuanti.
La contessa si alzò, passeggiò lentamente pel salotto, a capo chino, meditando; e dopo un istante di silenzio, disse:
- Forse noi non ci comprendiamo. Tu credi che io voglia ascoltare le attenuanti della tua colpa per giudicarti. No, di questo non mi occupo, perchè le tue attenuanti non mi commoverebbero, e la colpa è, in ogni caso, alla tua età, nella tua posizione, imperdonabile ed enorme.
Fece una pausa; sedette di nuovo, sopra un divano, all'altro angolo del salotto. La luce morente che entrava dai poggiuoli aperti illuminò i bei capelli candidi della signora e il viso un po' roseo per l'interna agitazione; c'era in quella donna forte ancor qualche cosa di giovane e di fresco, una purezza di linea e d'espressione, che pareva riflettere la purezza del sentimento e del pensiero. Nei suoi occhi non era mai passata un'ombra.
- Ma è di lei, capisci? che io mi preoccupo! Di quella, giovinetta, di quella illusa, di quella tua vittima, io voglio sapere. Che ne farai? È spaventevole pensare che tu non abbia il concetto giusto della vita....
Filippo, che stava scuotendo la cenere della sigaretta in un piattino d'argento, alzò la testa.
- No, tu non sai, ancora oggi, che cosa sia la vita, perchè non sai che valga una creatura di Dio. Credi che quella fanciulla sia nata pel tuo piacere, che il suo corpo, la sua anima, la sua intelligenza, i suoi sentimenti, la sua speranze, i suoi sogni giovanili, tutto quanto è più misterioso, più delicato, più nobile ed alto in una creatura umana, credi sia stato creato per te, perchè tu ne goda e ne abusi, perchè tu ne decida come un padrone e un giudice. E di una fanciulla, ti fai una concubina; e di una concubina farai una donna perduta! Mi parli di attenuanti, per questo delitto di prepotenza e di superbia, per questo scandalo, per questa ribellione alla volontà di Dio? Non ce ne sono, non potresti essere scusato che quando tu mi dicessi d'esser diventato pazzo. Soltanto a un pazzo non si chiede conto di ciò che fa; soltanto un pazzo può essere perdonato se reca ingiuria a Dio nelle sue creature....
Sotto quell'irruenza, stretto in quella inesorabilità di logica, toccato nei sentimenti intorpiditi ma sempre vivi coi quali era stato allevato, Filippo non osò replicare. Mormorò soltanto:
- Se non mi lasci dire una parola, mamma....
La contessa si rischiarò in volto e aggiunse con voce subitamente più calma:
- Hai ragione.
- Io non ti posso rispondere, per ora, intorno alla sorte della ragazza, - seguitò Filippo. - Fui travolto da un impeto di passione, ed è giusto che tu mi rimproveri la mia debolezza; ma appunto perchè la passione era ed è sincera, non posso risponderti circa l'avvenire che è serbato a me e a quella ragazza.
- Tu mi spaventi! - interruppe la contessa, levandosi in piedi. - Non ho mai udite parole così gravi dalla tua bocca.
- Gravi e leali, mamma, perchè non voglio ingannarti, - rispose Filippo, guardando sua madre con occhio tranquillo. - Ma devo aggiungere subito che comunque gli avvenimenti si svolgano, io non dimenticherò nè il nome che porto, nè i doveri che ho verso una fanciulla onesta e buona....
- E vai così, alla ventura, senza, un'idea, senza la stessa percezione di ciò che fai? È deplorevole, è veramente deplorevole....
La contessa tacque; aveva, udito, lontano, fin dalle ultime camere, un passo cauto e lento; indi a poco, sulla soglia comparve un valletto in livrea verde scura, e s'inchinò.
- Pranzi in casa, Flopi? - disse con voce mutata la contessa. - Dammi il braccio. Stasera siamo soli.