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XII.
Loredana, accasciata per la lettera nella quale Filippo le annunziava che la sua lontananza si sarebbe ancora prolungata di alcuni giorni, stava sul divano, a occhi chiusi, non udendo, non pensando, nella disperazione di far passare quel tempo che doveva essere eterno.
Le fiamme della gelosia cominciavano a divorarle il cuore. La società alla quale apparteneva Filippo e nella quale era momentaneamente rientrato, pareva alla fanciulla singolarmente pericolosa. Egli vi avrebbe ritrovato Fausta e mille altre donne come quella, aiutate dal lusso e dall'eleganza. E che cosa poteva far lei, povera ragazza ancora ingenua, contro le malìe di quelle femmine sapienti, cariche di gioielli prodigiosi, ornate di tutte le grazie? Per la sua fantasia inesperta i convegni mondani eran come convegni d'amore nei quali Filippo avrebbe dimenticata presto la piccola amica che soffriva.
E il pensiero venne a colpirla con tanta durezza, che la fanciulla balzò in piedi, corse nella camera da letto, ne uscì con un largo cappello bianco che piantò risolutamente in testa, e s'avviò, tenendo un ombrellino scarlatto fra le mani.
Nel vestibolo trovò la signora Teobaldi, la quale s'avviava appunto dalla ragazza per strimpellare il piano. Clarice era vestita alla Pompadour, con amplissimi disegni sul corsetto e sulla gonna: questa, troppo corta, lasciava scoperti i piedi calzati di scarpe bianche; e così abbigliata, coi fianchi prominenti, la figura tozza, la Teobaldi pareva una trottola accuratamente pitturata di fresco.
- Esce? - ella domandò con voce triste.
- Sì, vado a passeggiare, - risposo Loredana. - Vuol tenermi compagnia?
Eran le quattro; il sole abbruciava, la luce era acciecante, sugli alberi strillavano le cicale.
Clarice, fattasi sulla soglia, gettò un'occhiata intorno, aggrottò le terribili sopracciglia, e disse:
- Non so se mi convenga arrischiare....
- E perchè no? - chiese Loredana stupita.
- Sa, per la voce; potrei prendere un riscaldo....
La fanciulla crollò le spalle e uscì.
Voleva andare a quelle Grotte di Catullo che avevano visto la sua felicità, quando vi passava con Filippo quasi l'intera giornata, imaginando d'esser con lui in un'isola perduta dell'Oceano. Ma per la certezza che quei ricordi, uniti all'amaritudine presente, l'avrebbero fatta soffrire di soverchio, Loredana s'avviò sulla strada di Sirmione, verso la strada provinciale.
Camminava adagio, riparata dall'ampio ombrellino scarlatto, e guardava gli alberi, l'erba, l'acqua, le barche dei pescatori, per distrarre la mente, perdendosi in osservazioni oziose. Si fermò a rintracciar fra l'erba una cavalletta, stette a vedere una lucertola che, immobile, la fissava coi piccoli occhi neri e acuti. A un punto della strada, alcuni monelli uscirono a giuocar coi noccioli delle pesche, e Loredana assistette a una partita, come un monello essa pure.
Così s'era già dilungata verso la strada provinciale, quando da un nugolo di polvere che si scorgeva lontano, comprese che una carrozza s'avvicinava; e perchè la cosa non era troppo frequente, Loredana sedette sopra un muricciuolo, aspettando l'arrivo insolito. La vettura correva rapidissima e si udiva il tintinnìo dei campanelli.
Un pensiero balenò nel cervello di Loredana:
Ma non volle fermarsi a quell'idea, assurda, e che pur le faceva battere il cuore con tanta ansietà.
Del resto la carrozza era ormai a pochi passi. Loredana si alzo in piedi, gettò un'occhiata, e vide....
Era possibile? Aveva visto bene? Non si trattava, d'un'allucinazione?
La carrozza procedette ancora per alcuni metri, poi si fermò, e una donna ne discese, tornò indietro a corsa, gridò:
Loredana le andò incontro, smarrita, felice, non riuscendo a comprendere; e sulla strada, innanzi al vetturale attonito, madre e figlia s'abbracciarono e si baciarono piangendo.
- Vieni con me, - disse la signora De Carolis alla figlia. - Andiamo all'albergo. Devo parlarti....
Le due donne saliron di nuovo nella vettura, che riprese la sua corsa.
- Oh mamma, come sono felice! - esclamò Loredana, tornando ad avvinghiarsi al collo della madre, e baciandola con forza. - Chi ti ha detto che ero qui? Sei venuta a farmi compagnia? Sono sola, tutta sola. Starai con me. C'è una bella camerina all'albergo, e te la farò preparare subito, subito, perchè devi essere stanca, con questo caldo. Ah, come sono felice, mamma! Mi pareva che qualche cosa mi chiamasse per questa strada!
Mentre ascoltava le parole e rendeva i baci, Emma andava considerando la sua figliuola, così elegante nell'abito leggero di seta cruda color d'oro, con la vita stretta in un'alta cintura rossa, con quell'ombrellino scarlatto dalla impugnatura d'avorio bruciato.
Era molto bella, e molto diversa da un giorno. Il soffio misterioso dell'amore le aveva dato un'espressione nuova, inconsciamente più ardita; se prima era ammirata, adesso poteva svegliare la concupiscenza e accendere la passione degli uomini. Ma Loredana pareva ignorare e il mutamento compiuto e la significazione pericolosa della sua bellezza. Tutto pareva ella ignorare; anche l'abisso in cui era precipitata, dal fondo del quale sorrideva a sua madre.
Emma evitò di rispondere, il cuore stretto da uno struggimento oscuro; per fortuna il supplizio durò poco; la carrozza giunse innanzi all'albergo, e Loredana, svelta e leggera, balzò a terra, e stese la mano ad Emma.
Una donna assisteva a quell'arrivo impensato: Clarice Teobaldi, la quale, pavoneggiandosi nell'abito troppo corto alla Pompadour, passeggiava avanti all'albergo, per farsi ammirare da alcuni pescatori, che la guardavano con ironia mal celata.
Loredana si volse, vide la Teobaldi e sorrise.
- È tornata in carrozza? - disse l'altra, sorridendo a sua volta. - Credevo fosse arrivato il signor conte.
- No, è la mamma, la mia mamma! - esclamò gioiosamente Loredana.
La Teobaldi fece un inchino alla signora De Carolis, che la squadrò con un'occhiata, non rispose al saluto, ed entrò nell'albergo, seguita dalla fanciulla.
Quando giunsero alla camera di Loredana, Emma, appena varcata la soglia, si volse e chiuse l'uscio a chiave.