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XVIII.
Poi, d'un tratto, Loredana si rintanò in casa di nuovo, come impaurita, e non volle più uscirne.
Aveva incontrato Adolfo Gianella per istrada e s'era rifugiata in un negozio a comprar bottoni e nastri; ma non così presto che Adolfo non avesse potuto vederla, sentire il sangue avvampargli la faccia e il cuore martellargli in petto.
Gli avevano tanto e tanto parlato di Loredana, delle sue colpe, dei suoi amori, della sua perfidia, che mentre egli lavorava a tutt'uomo per dimenticarla, essa gli tornava alla mento con acre persistenza; e la fantasia s'infervorava a seguirla nel turbine della nuova vita, tra i divertimenti che il seduttore prodigava certo intorno a lei, per ubbriacarla di gioia e avvincerla a sè tenacemente.
Poi Adolfo apprese la notizia del suo ritorno, e ne fu percosso come da un gran colpo; il ritorno scombuiava tutte le visioni fantastiche. Era un pentimento? Era una sconfitta? Era una sosta? E i pettegolezzi incalzavano; il conte l'aveva abbandonata, l'aveva gettata da banda, come un cencio. Tornava povera come prima, e non era più come prima....
Adolfo imaginò la disperazione di colei ch'egli chiamava un giorno sua fidanzata; e s'alternava nel suo animo il piacere della vendetta insperata con la vergogna per quel piacere; e, quando meno se l'aspettava, s'imbattè in lei, e sentì il cuore martellargli in petto e il sangue avvampargli la faccia.
Allungò il passo, non sapendo egli medesimo che volesse fare, spinto dal bisogno di leggere la verità su quel viso, di rintracciare dentro gli occhi della ragazza la parola suprema dell'enigma; ma Loredana, al vederlo, si gettava nel primo negozio che le si parava innanzi, e Adolfo non osava aspettarla all'uscita.
Di quell'incontro egli non soffiò verbo ad alcuno; in casa Gianella, del resto, dopo un uragano di romanzesche calunnie e di drammatiche imprecazioni, il nome di Loredana non si pronunziava più; la madre di Adolfo per poco non spingeva l'ostentato disdegno per la perduta fino a vestir di gramaglia, come si usa nelle case principesche.
Ma la visione della ragazza bruciava dentro, nel cuore di Adolfo; ed egli cominciò a gironzare intorno alla casetta bianca, a guardar le finestre, ad aspettare. E tremava e sperava di rivederla, perchè tutte quelle avventure, vere o false, gliel'avevano ingigantita nel pensiero, ed egli temeva di subirne il fascino, come se Loredana avesse compiuto qualche grande impresa della quale nessuno l'avrebbe detta capace.
In quell'andirivieni intorno alla casa di Loredana avvenne ad Adolfo d'imbattersi e una e due e dieci volte in una signora, che si poteva credere lo canzonasse, perchè anch'essa gironzava di frequente nei dintorni, anch'essa guardava le finestre; anzi, fu più spiccia del giovane, perchè entrò in dimestichezza con Rosa, la serva della De Carolis, la quale pareva zelantissima nel recarle notizie. Si trovavano, la signora e Rosa, in una calle vicina, all'ombra d'un sottoportico, e generalmente la signora consegnava a Rosa una lettera, alla quale Rosa portava la risposta l'indomani.
Adolfo non riusciva a capir nulla in tutto quell'armeggiare; la sconosciuta era assai ridicola, con un certo cappello alla cacciatora, che le stava appena sul cocuzzolo e ch'era ornato d'una penna di fagiano, ardita come una sfida al cielo; ma c'era, di peggio: la signora guardava Adolfo con occhiatacce mezzo beffarde e mezzo compassionevoli, le quali avrebbero fatte perder la pazienza a chiunque non avesse avuto un demonio più sarcastico e più fiero nel cervello.
E fu appunto per le stratte di quel demonio, che non voleva star queto e che aveva tutta l'andatura d'una passione irragionevole, fu appunto in un impeto di dubbio, di gelosia, di paura e d'amore, che Adolfo Gianella varcò la soglia della casetta, e su a corsa per le scale, dietro Rosa che, rientrando, non gli aveva badato.
In anticamera, Adolfo si fermò. Gli giunse, netta e squillante, la voce di Loredana, la quale doveva essere nel salottino; e la fanciulla cantava a distesa, con pieno abbandono, come se tutta la bella gaiezza veneziana, come se tutta l'audacia della giovinezza avessero ripreso il loro dominio. E tra l'una e l'altra strofe del canto s'udiva il rumor delle forbici posate sul tavolino da lavoro o il passo svelto della ragazza, che si muoveva per la camera.
Senza discutere con se stesso, Adolfo spinse la porta, e si trovò alla presenza di Loredana, la quale stava adattando un pezzo di seta gialla a una certa forma di ferro ch'era un paralume da candela; innanzi a sè la fanciulla aveva altri pezzi di stoffa a colori e diversi gomitoli di seta; ed era così assorta nel lavoro e nella canzone, che il giovane dovette chiamarla:
- Loredana!
Ella alzò il capo, e trattenne a stento un grido; ma Adolfo aveva già detto ogni cosa, e non sapeva come continuare, come esprimersi, come riprendere d'un subito le abitudini di padronanza.
Sprofondò le mani nelle tasche della giacca, e disse:
- Sei stata l'amante del conte, non è vero? Così, ti preparavi2 a sposarmi? E non hai vergogna?
Loredana mandò un lampo dagli occhi. Aggredita di fronte, non esitò un attimo a rispondere:
- Io mi preparava a sposar lei? Non mi è mai venuta per la mente un'idea così malinconica, sa? Era la sua famiglia, che mi seccava tutti i giorni per ottenere questo sacrificio. Io non pensava a sposare nessuno....
- Già, volevi conservarti per il conte, - osservò Adolfo con ironia. - Ti sei conservata benissimo, non c'è che dire!
La ragazza arrotondò con le forbici una certa lingua, di seta violetta, che doveva ricadere sul paralume a uno dei quattro angoli; misurò l'altezza, adattò, provò, cambiò, tranquillamente, senza occuparsi del giovane, fremente nell'attesa di una discolpa.
- Non so, - disse poi, - come ha potuto venire fino in casa; ma se per la stessa strada se ne andasse, non mi dispiacerebbe.
- Mi metti alla porta? - esclamò Adolfo. - Invece di scolparti, invece di giurarmi che col conte non c'è stato nulla di nulla, tu mi metti alla porta?
- Scusi, perchè dovrei scolparmi? Che cosa rappresenta, lei? Chi è, lei? Che diritto ha lei di giudicarmi?
A queste parole di Loredana, Adolfo si lasciò calare in una poltrona, come annichilito. Chi era, che cosa rappresentava, che diritto aveva?
- Io, - mormorò, - sono pronto a sposarti.
- Ma non sono pronta io, vede? - rispose, arrotondando un'altra lingua di seta violetti. - E, del resto, la sua dichiarazione mi stupisce: mi crede o non mi crede l'amante di Filippo.... del conte?
Adolfo si strinse nelle spalle.
- Me l'hanno detto, - mormorò. - Me l'han detto a casa, che tu sei stata col conte fuori di Venezia.
- E tuttavia mi sposerebbe? - incalzò Loredana.
- Ma perchè non ti difendi? - gridò Adolfo balzando in piedi. - Perchè non mi dici se sei stata o non sei stata l'amante di colui?...
Egli era avanti al tavolino da lavoro, con le mani aperte e stese dirette al volto di Loredana, la quale lo guardava, piuttosto attonita che intimorita.
- Vede, - ella rispose pacatamente, - innanzi tutto non basta dire a una donna: «Son pronto a sposarti» per acquistare il diritto di indagarne la vita; poi, io m'ingannerò, ma lei mi sembra disposto a sposarmi in tutti e due i casi, che io sia stata, o che io non sia stata l'amante di Filippo.... del conte. E allora, a che pro una discolpa o una confessione?...
Adolfo, il quale era rimasto, ancora con le mani aperte e stese, ad ascoltar la risposta della colpevole, si sentì vinto, e si lasciò calar di nuovo nella poltrona. Egli ritrovava, immutati, l'anima sdegnosa, la sensibilità intellettuale, l'intelligenza acuta, la rapida intuizione, l'orgoglio, il coraggio, che facevano la ragazza tanto superiore a lui. Egli era andato arrovellandosi per sapere che cosa volesse, che cosa intendesse fare, e se lo sentiva dir dalla bocca di Loredana, e doveva riconoscere che quella bocca diceva giusto....
- Non so, - egli riprese, tanto per riattaccare il discorso. - Non so nulla. Ti hanno accusata anche d'aver avuto un figlio e di essertene sbarazzata.
Lo forbici, che stavan nella mano della fanciulla, descrissero uno stretto arco nell'aria, e andarono a cadere ai piedi di Adolfo. Il viso di Loredana avvampò di collera, e le labbra le tremarono.
- Mi hanno detto, ti hanno accusata! - ella ripetè, imitando il tono piagnucoloso del giovane; poi esclamò con forza: - E lei, che cosa faceva, che cosa diceva, che cosa raccontava? Stava ad udire, soltanto? Non son tre mesi, lei veniva per casa tutti i giorni e sapeva della mia vita ogni cura, minuto per minuto; e non ha trovato un argomento per difendermi, come amico, come fidanzato? Bel rispetto avevan di lei quanti venivano a dirle quei complimenti!... E vuole ch'io mi difenda innanzi a un pupazzo del suo genere, e che tremi davanti a un giudice della sua levatura? Non capisce d'essere stupido? Se in casa sua si sparlava della ragazza che doveva un giorno portare il suo nome, lei aveva l'obbligo di farla rispettare, mi sembra! Invece, porta qua tutto il rifiuto dei pettegolezzi, pretende ch'io lo ascolti e vuole sapere anche se, caso mai, avessi avuto un figlio! Non s'avvede, non sente di essere ridicolo?...
- No, ascolta, - interruppe Adolfo, alzando la destra quasi a frenare quel torrente. - Io non voglio sapere nulla....
Ed era, per seguitare, quando la porta, s'aperse e comparve la signora Emma, seguita, da Clarice Teobaldi, col cappellino alla cacciatora.
- Ah, è lei! - disse Emma, vedendo Adolfo, che s'era levato in piedi. - Mi era parso di riconoscere la voce....
Non aggiunse parola per lui; poi si rivolse a Loredana:
- Lori, questa signora dice che tu l'aspettavi....
La fanciulla andò incontro a Clarice e le strinse la mano sorridendo, mentre Adolfo, combattuto tra il desiderio di capire, la convenienza d'andarsene, l'impressione per la gelida accoglienza fattagli dalla signora De Carolis, restava in piedi a guardare or l'una or l'altra delle tre donne.
- Se m'aspettava! - esclamò Clarice, gettando le braccia al collo di Loredana. - Doveva aspettarmi, questo tesoro, perchè da tanto tempo desideravo rivederla! Ho sempre nel cuore quella partenza, di sera, con la carrozzella.... Lei era così bianca, così debole....
- Già, erano bianche e deboli tutt'e due, madre e figlia....
- Le presento il signor Adolfo Gianella.
Clarice fece un cenno con la testa, verso Adolfo che s'era avanzato di qualche passo; poi tutti tacquero; Clarice e Loredana sedettero l'una a fianco dell'altra sul divano, come intime amiche, sorridendosi.
- Fa molto caldo a Venezia, - riprese Clarice. - A Verona non abbiamo questo scirocco....
- Sì, fa molto caldo, - confermò Emma, la quale stava sempre a un passo dalla porta, e si augurava che l'uno o l'altra, Adolfo o Clarice, comprendesse la necessità di ritirarsi.
Ma erano ostinati ambedue. Adolfo, ormai, aveva ripreso posto nella poltrona, e sembrava deciso a voler seguire la conversazione.
- A Venezia abbiamo poi le zanzare, - egli disse.
- Le zanzare, sì, ma ci sono le zanzariere, - osservò Loredana.
Emma si sentiva morire per quella commedia, maravigliandosi che la sua Lori vi prendesse parte. La buona donna, al ritorno da Sirmione, aveva perduto l'energia e la volontà, soffrendo per la sofferenza della figlia, chiedendosi se il suo intervento non fosse stato inutile di fronte al traboccar della maldicenza, tormentandosi ogni giorno per mille timori, studiando ansiosamente negli occhi di Loredana il pensiero segreto, la segreta ambascia, e rideva quando rideva la sua Lori, e piangeva quando la sua Lori piangeva, e ormai non avrebbe più discusso, non avrebbe più riflettuto, pur di vederla felice, a qualunque costo.
Per ciò, la visita della Teobaldi le era gradita, perchè sembrava gradita a Loredana; ma non le piaceva che si dovesse fingere innanzi al Gianella, come se la Teobaldi fosse venuta per tramar qualche intrigo.
- Lei non è di Venezia? - domandò Adolfo a Clarice.
- No; ma conosco bene la città, - rispose l'altra.
Un silenzio pesante ricadde; e allora, comprendendo3 ch'era impossibile uscirne, Adolfo prese congedo.
- Tornerò, se permette, - disse a Loredana.
Questa non rispose. Egli s'avviò, seguito da Emma, la quale ardeva di sbarazzarsi dell'impaccio per lavorar nella sua camera ad una coperta da letto, nella quale doveva ancora ricamare trenta foglioline in seta verde e sessanta viole del pensiero.