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I.
Giselda Fioresi, al braccio di Berto Candriani, s'era fermata innanzi alla tavola del buffet, in casa della contessa Lombardi.
La lunga tavola era tutta occupata da piatti colmi di pasticcini e di dolci; due grandi samovar d'argento fumavano, e da un'enorme zuppiera un servo scodellava nelle tazze il punch freddo, mentre altri versavano lo sciampagna gelido dalle caraffe di cristallo e distribuivano i sorbetti rosei e bianchi.
- Se lei non fosse venuto a salvarmi, - continuò Giselda, accennando con la testa a un signore tozzo e rubicondo, che sorbiva adagio una granita di caffè, - gli sarei caduta fra le braccia....
- Oh Dio! - singhiozzò comicamente Berto Candriani.
- Per la noia, per la noia! - disse Giselda ridendo. - Non sa parlare che del suo automobile, e s'atteggia a disdegnare i cavalli....
- Così le ha fatto sapere che ne ha....
- Ne ha dieci, nelle scuderie della sua tenuta di San Polo; ma vuol venderli....
Nuove coppie, gli uomini in marsina, le donne in abito scollato e grande cappello, erano sopraggiunte e facevan coda, incalzando, alle spalle di Berto e di Giselda.
- Vuole sciampagna? - domandò Berto, prendendo una coppa dalle mani d'un servo e passandola a Giselda, che vi bagnò appena le labbra.
- Datemi due gelati, - ordinò qualcuno che stava dietro il Candriani.
- Aspetta, - disse questi al marchese di Spinea, che aveva al braccio la contessina Cafiero, - ti lasciamo il posto.
E avviandosi con Giselda, seguitò ad alta voce:
- Bada, che c'è molto punch bollente, che non si beve, e poco sciampagna freddo che si berrebbe volontieri.
- Zitto, maldicente! - gli disse il marchese di Spinea. - Vedremo che cosa ci offrirai quando verremo da te.
- Bravo, stai fresco! - esclamò Berto. - -Resto scapolo apposta per non avere seccatori in casa!
Sul limitare, Berto e Giselda dovettero fermarsi. La duchessa di Torrecusa e la contessa Osvaldi, tenendo ciascuna una coppa di sciampagna, s'esercitavano a portarla alle labbra, dopo aver fatto col braccio destro alcuni giri a spirale. La duchessa vi riuscì, versando dall'orlo metà del contenuto, e la contessa Osvaldi, che rideva a gola spiegata, vuotò la coppa intera sul tappeto, e rinunziò alla prova, perchè i cavalieri intorno la facevan ridere troppo.
Berto Candriani s'aprì un varco tra i gruppi, traversò con Giselda un lungo corridoio, poi la sala pei fumatori, dove sedevano alcuni uomini, timidi o noiati, che si scambiavan gli astucci delle sigarette o i gravi propositi d'una più energica politica internazionale; passò oltre la sala rossa, tutta rossa fiammante per le tappezzerie e pel colore dei mobili dorati, e si fermò nella sala rosea che precedeva la sala da ballo.
- Andiamo laggiù! - disse, accennando un alto e lungo paravento sul quale eran trapunte in oro parecchie grosse cicogne, brillanti sopra uno sfondo color chiaro di luna.
- Dietro il paravento? - chiese Giselda, lasciandosi trascinare senza troppa resistenza.
- Sieda, - ordinò Berto. - Io siedo qui di di fronte; lei metta fuori le punte dei suoi piedini, così quelli che passeranno per andare a saltar come pere secche, capiranno che qui c'è qualcuno.
- Ma no, ma no, è sconveniente! - osservò Giselda. - E poi, lei ha l'abitudine di parlar male di tutti, e potrebbe sparlare proprio di quelli che passano....
- Ingenua fanciulla! - esclamò Berto Candriani. - C'è l'occhio della cicogna!
- Che cosa vuol dire? - domandò la contessina Fioresi con un sorriso, che pregustava qualche strana storia.
- Vuol dire che son forati gli occhi d'una cicogna, e di qui vedo benissimo senza essere veduto. Guardi che bei buchi!
Giselda si alzò a guardare, appoggiandosi lievemente alla poltrona di Berto; attraverso due fori, che corrispondevan dall'altro lato agli occhi d'una gigantesca cicogna, si vedevan benissimo il resto della sala e la porta dalla quale dovevan passare le coppie. Giselda diede in una risata.
- Ma quando ha fatto questo lavoro? - domandò.
- Badiamo: è un segreto che si rivela a una gentildonna; i buchi li ha fatti Silvestrelli, il capitano di corvetta, due anni or sono, e prima di partire per il giro del mondo li ha confidati a me. Io sono l'unico erede di questi buchi, e nessuno se n'è mai accorto. Spero che lei apprezzerà tutto il valore della mia rivelazione.
- Sono utilissimi, - dichiarò la Fioresi solennemente, - Non dirò parola ad anima viva.
Berto fece un cenno con la mano; qualche coppia passava, dirigendosi al salone da ballo e chiacchierando; alcuni cavalieri sopraggiunsero, diedero un'occhiata, videro la sala vuota e se ne andarono di nuovo.
- Ha notato, contessina, che stasera non c'è Flopi? - riprese Berto con la sua voce più melliflua, piano piano.
- Non ho notato nulla! - rispose Giselda bruscamente. - Perchè dovrei notare queste inezie?
- Inezie? Non ci sono inezie per chi ama.... Si vorrebbe sapere dove è Flopi a quest'ora, che cosa fa, che cosa dice.... Non è vero?
- Non è vero; io non voglio sapere nulla. Il conte Vagli non m'interessa più di quanto sia lecito, e io non ho l'abitudine di amare chi non si occupa di me.
- Non dico sia un'abitudine, - osservò Berta. - Può essere una fatalità.... Zitta! - soggiunse, dopo aver dato uno sguardo ai buchi della cicogna. - C'è lo zio!
Il conte Roberto Vagli entrava in quel punto con un altro vecchio signore; il conte Roberto era dritto e magnifico, il largo petto inquadrato dal panciotto della marsina, all'occhiello della quale era fissato un superbo garofano bianco; tra le mani il conte teneva il gibus, alla maniera antica.
- Io ti assicuro, - egli seguitava, - che è una corbelleria, questa di voler tanti treni fra Venezia e Milano; treni diretti, treni direttissimi, o, come si dice ora, treni-lampo! Sai che cosa avverrà?
L'amico sedette in una poltrona, e il conte ripetè, standogli innanzi:
- Sai che cosa avverrà? Avverrà che Venezia fra pochi anni sarà un sobborgo di Milano, e le nostre civette andranno a far le compere a Milano, e i nostri giovanotti si vestiranno a Milano, e tutti i nostri quattrini ingrasseranno Milano, e il nostro commercio e la nostra industria rimarranno quel che sono ora, una povera cosa. Non mi diceva un momento fa il Cavenaghi, sai, quel mercante di carbone, che si pensa d'attuare un treno per tempissimo, cosicchè si possa andare a Milano, starvi sei o sette ore, e tornar la sera, medesima? Io ti domando!...
L'amico si alzò, e tutt'e due s'avviarono.
- Io ti domando se questo si chiama far l'interesse di Venezia....
- Che bella mente! - esclamò Berto Candriani, quando fu sicuro che i due se n'erano andati. - Non vuole i treni i diretti; bisognerà offrirgli un servizio di muli. Dopo la battaglia di San Martino, non ha capito più nulla. E Flopi deve lottare con questi suoi parenti, i quali, nonchè l'amore, non sanno intendere nemmeno la ferrovia!...
- Ma io non comprendo perchè Flopi debba lottare coi parenti, - osservò Giselda. - Lotta per che, per chi?
- Bah, - esclamò Berto Candriani, arricciandosi i mustacchi con studiata, espressione di mistero. - Affari riservati! Non dimentichiamo che lei è una signorina.
Giselda si sentì avvampar la faccia: aveva ventitre anni, molta voglia di vivere, fors'anco molta violenza contenuta dall'abitudine e dalla educazione; e nulla più l'irritava che l'ignoranza e l'espressione di candore che dovevan formare la sua maschera sociale.
Ella crollò il capo e risposo con voce dura:
- Quali sciocchezze! Ma se so tutto!...
- Tutto? - ripetè Berte, sicurissimo che non sapeva nulla, ma contento d'essere esonerato dalla discrezione. - Lei sa che Flopi ha un'amante?
- Ma certo!
- La quale è bellissima?
- Ciò non importa. Chi la dice bellissima, - rispose, - chi mediocre, chi brutta!
Berto sorrise fugacemente, e incalzò:
- Bellissima; e lei sa che Flopi l'ha rapita, l'ha sedotta, la tiene con sè, e che ora ha sulle braccia tutti i parenti?
- Di lei; è naturale, - osservò Giselda.
- No, di lui; i parenti di lui sono spaventati, perchè non capiscono che cosa voglia farne, e temono che la sposi....
- Ma i parenti di lei perchè non intervengono? - domandò Giselda quasi con impazienza.
- Per una ragione ottima, contessina, mia, - rispose Berto ridendo. - Perchè sono nel regno dei cieli, ad eccezione d'una madre, la quale se l'è ripresa una prima volta, ma se l'è vista ripartire con Flopi; onde la povera donna ha rinunziato a lottare e a discutere.
- E dove sono ora? - chiese Giselda con aria distratta.
- Chi? I parenti? Lo zio era qui poco fa, a parlar di treni....
Giselda interruppe, battendo un piede a terra, spazientita.
- Ma no, mio Dio! Flopi e quell'altra!...
- Ah!... Sono a Venezia; anzi ho pranzato oggi da loro. Bisogna dire che se qualche cosa d'irregolare è in quella casa, non lo si vede certo nella disposizione dei mobili, nella scelta delle vivande, nella qualità degli oggetti che adornano l'appartamento. Tutta roba squisita.... Credo che Flopi verrà stasera a salutar la contessa, sul tardi....
- Lei è molta addentro nella confidenza di Flopi! - osservò ironicamente Giselda, alzandosi.
- Sì, sono dei pochi che frequentano la casa, - disse Berto drizzandosi in piedi e offrendo il braccio a Giselda.
- No, grazie, - rispose questa, freddissima. - Devo dire una parola alla Torrecusa, che vedo seduta laggiù, nella sala da ballo.
E s'avviò sola, ma sì fermò di repente:
- Quale casa? - -domandò sottovoce.
- Sì, la casa di Flopi. Egli vive solo, ora; voglio dire non vive a palazzo. Ha un bellissimo appartamento sulle Zattere....
- Con la bellissima compagna! - concluse Giselda, che si lasciò sfuggire una risatina troppo stridula per essere sincera.
Berto s'inchinò, girò sui tacchi, e perfettamente sicuro d'aver fatto il bene di Giselda, di Flopi, e fors'anco di Loredana, passò nella sala rossa, e si mischiò a un gruppo di dame che ridevano in piedi con alcuni ufficiali di marina.
L'orchestra attaccò un valzer; i cavalieri traversarono la sala, s'incrociarono, ricomparvero con le dame al braccio, s'avviarono alla sala da ballo; fu una sfilata rapida di coppie, un'ondata di profumi.
Il valzer diceva: «Queste gioie fallaci, tutte simili all'invisibile onda delle mie note, si dissolvono nel tempo, e nulla più rimane quando l'alba livida vi richiama alle case. Abbandonatevi a queste gioie malinconiche, a quest'onda invisibile, e sognate tutti i vostri sogni, prima che l'alba vi risvegli....»
Il maggiordomo comparve a un tratto nella sala rossa, si presentò alla contessa Lombardi, le disse qualche parola inchinandosi.
La contessa ebbe un sorriso e mosse lentamente verso la porta d'entrata, mentre un susurrìo di curiosità ai propagava, nella sala tra i gruppi degli invitati che avevan preferito la conversazione alla danza.
Quasi contemporaneamente un signore non alto di statura, largo di spalle, con lunghi favoriti biondi, varcava il limitare e dirigendosi rapidamente incontro alla contessa, le prendeva la mano, così da impedirle l'inchino che la dama aveva abbozzato.
S'udì la voce dell'uomo, una bella voce molle:
- «Je vous suis bien reconnaissant, comtesse», - egli diceva, baciando la sottile mano guantata.
- Chi è? - -domandò Berto Candriani.
- Non lo conosci? - disse il tenente di vascello Paolo Orseolo. - È Milan, l'ex-re di Serbia.
- Oh guarda! - esclamò Berto. - Si muove bene in un salotto, meglio che sul trono, l'animale....
Il conte Orseolo diede una gomitata a Berto.
Milan s'inoltrava, tenendo al braccio la contessa Lombardi, che gli presentò gli invitati.
Berto aveva ragione: Milan aveva piuttosto l'aria d'un gran signore annoiato che non l'aspetto d'un Sovrano. I favoriti e i baffi biondi contrastavano con l'espressione di lassezza diffusa sul volto; e dentro gli occhi grigi e freddi passavan talora lampi improvvisi, come per effetto d'un pensiero che sopraggiungesse e illuminasse o facesse tremare quell'anima.
Egli disse qualche complimento alle dame intorno, con misura e con gusto, sorridendo e socchiudendo gli occhi.
- «Est-ce que vous êtes du Rowing-Club, comte?»
- «Mais sans doute, Altesse!» - rispose Berto Candriani prontamente.
Milan gli sorrise sorrise soddisfatto; e mentre egli si allontanava con la contessa per dirigersi alla sala da ballo, Berto soggiunse a bassa voce con Paolo Orseolo:
- Mai visto il Rowing-Club! E tu?
Il conte Orseolo si mise a ridere.
Milan era giunto a Venezia in quei giorni, proveniente da Abbazia, dove aveva passato qualche settimana col giovane re Alessandro, suo figlio. I giornali avevano anzi parlato d'un tentativo d'avvelenamento commesso dai nemici degli Obrenovich contro Alessandro; e Milan, che in quell'epoca dimostrava pel figliuolo una vera tenerezza, ne era rimasto foscamente impressionato.
Era sceso all'«Hôtel d'Europa»; la contessa Lombardi, che l'aveva conosciuto alcuni anni prima a Biarritz, l'aveva invitato alla sua sauterie.
Berto Candriani stava per seguirlo a distanza e per gustar le altre presentazioni, ma vide entrare in quel punto Filippo Vagli, e gli corse incontro.
Filippo lo guardò interrogativamente.
- C'è Milan, - annunziò Berto.
- C'è già? - disse Filippo. - È simpatico?
- Un tozzo di pane. Ti domanderà se sei del Rowing-Club. Ti prego di dirgli di sì, perchè ciò gli fa piacere.
- Va bene. E la contessa è con lui?
- Naturalmente. Adesso che ha una specie di re per le mani, tu puoi risparmiar di salutarla, perchè conti anche meno del solito.
I due amici s'avviarono ridendo verso la sala rossa.
- A proposito, - soggiunse Berto. - Ti ho reso un piccolo servizio, questa sera.
- Mi fai tremare! - esclamò Filippo.
- Coraggio! C'era la Fioresi che schiattava dalla voglia di saper che cosa fai, come vivi, dove ti nascondi. Io le ho raccontato tutto.
- Le hai parlato di Loredana? - esclamò Filippo, arrestandosi.
- No. Le ho parlato di te, della tua passione, delle baruffe con la tua famiglia; quadro completo, insomma!
- E lo chiami un piccolo servizio, questo? - disse Filippo, stringendo la mano di Berto. - Ma è un servizio impareggiabile, prezioso, magnifico....
- Un servizio per dodici persone, - mormorò Berto.
- Proprio! Così avrò costei sulle braccia, come non bastassero tutte le altre! - concluse Filippo. - Ma dove hai la testa? Quando imparerai, tu, a essere discreto?...
Berto era un po' confuso; aveva creduto, dapprincipio, che Filippo lo ringraziasse e gli stringesse la mano per davvero; ed ecco che tanta gratitudine si risolveva in un rimbrotto.
- Non ti arrabbiare, Flopi, - egli disse. - Alla fin fine, che cosa avverrà? Che la Fioresi non ti annoierà più coi sospiri e gli sguardi languidi....
- Ma ti prego di credere che la Fioresi non ha mai fatto nulla di simile, caro mio, e che queste son fantasie del tuo cervello ozioso....
Giunti nella sala rossa, videro nel bel mezzo Milan Obrenovich che parlava con la duchessa di Torrecusa.
- «Nous avons fait un pari, la comtesse et moi,» - diceva. - «La comtesse disait que vous avez les yeux gris clairs, moi je disais que vous les avez verts, ce qui vous sied excessivement bien. Et voilà, j'ai gagné!»
La duchessa sorrideva, un po' impacciata, sotto la fiamma che sfolgorarono a un tratto gli sguardi di Milan. Si sarebbe detto ch'egli avesse voluto bere la luce che sorgeva dal corpo sottile, dalla carnagione rosata, dai capelli aurei della giovane dama.
Gli altri tutt'intorno sentirono quella vampa di desiderio, che il re del tappeto verde e delle alcove aveva recato con sè, e tolsero gli occhi dalla coppia e seguitarono per discrezione i loro discorsi.
- Oh perchè non si ricoverano dietro il paravento? - mormorò Berto, con un'occhiata al principe. - Se vuole io gli insegno i buchi, a Milan....
- Quali buchi? - domandò Filippo stupito.
- I buchi del paravento. Li ha trovati comodissimi anche la Fioresi. Vieni, che ti faccio vedere; è un segreto, il segreto che si rivela a un gentiluomo....
In quel punto, la Fioresi, giungendo dalla sala da ballo con passo svelto, alta la testa, un tranquillo sorriso sulle labbra, fermò Filippo, stendendogli la mano.
- Buona sera! - ella, disse. - Si disperava di vederla tra di noi....
Berto Candriani rattenne un ghigno di malizia, ma Giselda lo indovinò più che non lo vedesse.
- Mi dia il braccio! - ella soggiunse a Filippo. - Facciamo un giro, lontano da questo re che non mi piace!
Filippo le diede il braccio e s'avviò presto con lei fuori della sala.
- Ha ragione se non le piace quel re, - disse. - Perchè pensava che io non sarei venuto stasera?
Berto, sprofondate le mani nelle tasche dei calzoni, rimase a guardar Filippo e Giselda che si allontanavano; poi squadrò di nuovo Milan Obrenovich, e gli venne in mente un verso, un verso del quale non avrebbe potuto dir l'autore, ma che gli sembrava adatto alla sua situazione:
/# "Messo là nella vigna a far da palo". #/
- Senta che bel galopp! - gli disse la contessina Cafiero, passandogli al fianco.
Berto l'afferrò per il braccio, quasi a volo, con tal furia che la fanciulla fece un gesto di spavento; e conducendola seco di corsa:
- Andiamo! - disse. - Qui tutti galoppano! Galoppiamo anche noi!...
La Cafiero, vestita di rosa, alta e bruna, un neo in mezzo alla fronte, cominciò a ballar con Berto, ridendo e socchiudendo gli occhi voluttuosamente.