Luciano Zuccoli
L'amore di Loredana

SECONDA PARTE.

IV.

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IV.

 

Quando, la sera stessa, Loredana gli domandò qualche notizia di quella festa, Filippo fu insolitamente loquace.

Il salottino nel quale si trovavano era per tutta la parte superiore immerso nell'oscurità; dalla tavola di mezzo la lampada, coperta con un paralume rosso, proiettava la luce sul capo di Loredana, che stava un po' curva a ricamare; e Filippo, sdraiato in una poltrona nell'angolo, s'intravedeva appena. Egli era ancor tutto vibrante per le impressioni della giornata, e fu felice di parlarne; disse a Loredana di quella cerimonia straordinaria e si fece a descrivere i particolari che meglio avevano attratto il suo sguardo.

- Ah quei teschi, quei teschi! - esclamò. - Che eloquenza viene dalle cose! Io, vedi, non avevo mai capito, anzi dirò che non avevo mai apprezzato lo zio; ci voleva San Martino, ci voleva l'Ossario perchè comprendessi finalmente Roberto e imparassi ad amarlo. È un uomo semplice e buono, ed è un valoroso. Prima m'infischiavo di lui: oggi in verità, non vorrei dispiacergli per nulla al mondo.

Loredana tacque: il fervore inusato dell'uomo le giungeva nuovissimo, e non sapeva come spiegarne la causa.

- Ho sentito, - continuò Filippo, - quanto io sono miserabile al confronto di quei vecchi. C'era il generale Cucchiari, te l'ho detto? Guardandolo, ho pensato ch'egli ha visto cose e provato emozioni che io non potrò mai nemmeno sognare. Io sono un piccolo uomo impegolato in una piccola guerra di pettegolezzi; e tra me e quei vecchi c'è la stessa differenza che tra il pettegolezzo e un colpo di cannone.

- Quale piccola guerra di pettegolezzi? - domandò Loredana, senza alzare il capo dal suo lavoro.

- Ma sì, la solita musica! - disse Filippo. - Voglio dire, tutte le chiacchiere che si fanno intorno a me, e intorno a te, e le ire dei parenti, di mia madre, di mia sorella, di mio cognato e anche dello zio.

- Ma allo zio non vorresti spiacere! - osservò Loredana. - E se ti pregasse di lasciarmi, allora mi lasceresti subito?

Le parole furon dette con accento così teneramente dubbioso, che Filippo balzò in piedi ridendo, e corse a baciar la testa curva, dell'amante.

- Sono uno sciocco! - esclamò. - Anche tu sei una sciocca, a farmi queste domande. Su, àlzati, su, !

Loredana si alzò lentamente, e senza comprendere depose il ricamo sulla tavola; ma Filippo l'afferrò pel busto e la trascinò ballando.

- Su, su! - diceva. - Dobbiamo ballare; non essere triste per queste sciocchezze....

La giovane, abbandonata fra le braccia del suo Flopi, cominciò a ridere, lasciandosi trasportare; ma a poco a poco, perchè egli insisteva, si mosse con giusto ritmo; e la signora Teobaldi, che entrava in quel punto con un mazzo di carte per il suo abituale solitario, restò a bocca aperta, vedendo i due amanti che ballavano un valzer in silenzio nella camera penombrosa.

- Quale spettacolo! - disse ammirata, disegnando nell'aria un gesto solenne. - Quale spettacolo d'amore perfetto!

Loredana diede in una risata; ma il cuore le martellava dalla gioia; una fanciullaggine di Filippo, un suo atto gentile, un pensiero di sollecitudine le snebbiavan dall'anima quelle ore di trepidanza che la vita mondana di lui le cagionava.

Non era più la vita dei salotti; l'autunno aveva ormai circoscritto i convegni, e la società elegante si ritrovava nelle sale dei grandi alberghi sulla Riva degli Schiavoni o lungo il Canalazzo. Ivi i ricchi stranieri che avevano amicizia con l'aristocrazia veneziana, davano pranzi e feste: e le riunioni eran tanto curiose e vivaci, quanto e meglio che quelle della società consueta.

Gli stranieri si dilettavano di recarsi dopo pranzo in gondola alle serenate, per udir le canzoni e per vedere i palloncini che si riflettevano dalle barche dei cantanti nell'acqua scura. Filippo, che a quei pranzi doveva spesso partecipare, si destreggiava sempre in maniera da evitare il supplizio delle canzoni, e tornava presto a Loredana per uscir con lei in gondola, lontano, nell'ombra del Canal della Giudecca, dove il silenzio era stupendo.

A una di quelle feste date da stranieri in un grande albergo, Filippo non fu poco sorpreso di trovare lo zio Roberto.

- Tu qui? - gli disse Filippo, con espressione di piacere.

- Ti dirò poi; usciremo insieme, - rispose il vecchio.

Alla festa erano intervenuti madame Lodge, una parigina bionda (bionda o tinta?) e una mistress Stewart col marito, il signor Stewart, il quale era un grande cacciatore di galli di montagna.

V'era la principessa Stephen, una viennese di trent'anni, che girava il mondo; suo marito girava il mondo dall'altra parte e non s'incontravano mai. La principessa parlava costantemente dell'anima e si faceva corteggiare di preferenza dagli ufficiali. Ella era tutta vestita di bianco, tre giri di grosse perle al collo, merletti bianchi sullo strascico; ma aveva le scarpette d'oro come mademoiselle de Toulouse.

Mademoiselle Lucienne de Toulouse, di passaggio a Venezia con la madre, abitava a Singapore, aveva diciotto anni, sapeva quattro lingue ed era molto insolente; non la si vedeva mai senza il portasigarette d'argento stellato di turchesi e una piccola borsa a maglie d'oro. Parlava di tutto, a grande velocità. Il conte Roberto stava ad udirla con una maraviglia così schietta, che Filippo scorgendolo non potè trattenersi dal ridere. Egli conosceva bene quei convegni di gente venuta da tutte le parti del globo, non legata che da vincoli di cortesia, pronta a ripartire domani per il Polo Nord o per l'Africa o per qualunque paese dove la noia fosse minore e la moda imperasse; di volta in volta ricomparivano vecchie conoscenze e si ingrossava la schiera delle nuove.

Il signor Stewart, ad esempio, passava a Venezia quindici giorni ogni anno, da trent'anni; e Filippo l'aveva sempre udito parlar della caccia al gallo di montagna; sopra gli altri argomenti il signor Stewart non nutriva alcuna opinione; onde Filippo aveva preso tanto in uggia il gallo di montagna, che avrebbe dato la caccia al cacciatore.

Ma in quelle riunioni di stranieri infierivan l'amoretto, il piccolo intrigo, ciò che le persone bennate chiamano flirt, e mademoiselle de Toulouse e la principessa Stephen avevano un flirt a ogni angolo della sala; e abitualmente a Vienna, a Biarritz, a Zermatt, al Cairo, ad Aix-les-Bains, ovunque le signore si recassero, il flirt si ripeteva con altri personaggi e con lo stesso effetto; Filippo, sapendo il giuoco, vi si prestava per cortesia, senza mettervi alcun impegno, come chi arrischia una partita per ingannare il tempo.

Egli fu molto gentile con la principessa Stephen, la quale desiderava, civettando con Filippo, d'indispettire il capitano Ketwort, che nel flirt non era sufficientemente destro e si appassionava in modo pericoloso; ma quando Filippo s'accorse che negli occhi del giovane capitano balenavano lampi d'odio, smise subito, fece un lieve cenno al conte Roberto e insieme con lui si congedò.

Era ormai la mezzanotte; i due uomini percorsero in silenzio la riva degli Schiavoni battuta dalla luna; l'isola di San Giorgio era così bianca sotto il raggio, che la chiesa e il campanile parevano di gesso. Dietro l'isola si effondevano densi cirri color d'argento.

Roberto si fermò d'un tratto e disse:

- Volevo chiederti una spiegazione.

Dal tono, Filippo sentì che si trattava d'un argomento inusitato, e aspettò.

- Volevo chiederti quante sono a Venezia le contesse Vagli.

- Non capisco, - disse Filippo, guardando stupito lo zio.

- Ecco; oggi ero in un negozio a comprarmi qualche cianfrusaglia, quando è entrata una ragazza, un cosino, un diavolino alto quattro spanne, che rivolgendosi al commesso ha detto: «Quella roba per la contessa Vagli non è ancor pronta?» Io ho guardato la ragazza, ma non la conoscevo. Il commesso ha risposto: «Sì, è pronta!» E volgendosi al facchino, e consegnandogli un involto, ha soggiunto: «Porta subito alla contessa Vagli, sulle ZattereOra io ti domando di nuovo: quante sono a Venezia le contesse Vagli?...

Filippo non rispose: era annichilito. La descrizione del cosino, del diavolino alto quattro spanne, gli aveva fatto subito comprendere che si trattava della cameriera di Loredana, e le osservazioni di Roberto lo avevano colpito in pieno petto.

- Di contesse Vagli, io non ne conosco che una! - seguitò lo zio: - tua madre, mia cognata. Se ve n'è un'altra sulle Zattere, ti prego di presentarmi, perchè avrò piacere di vederla in faccia.

Filippo continuò a tacere; e come se il silenzio di lui lo inacerbisse, il conte Roberto riprese alzando la voce:

- Si tratta di quella solita birichina che ho visto a Sirmione. Io non ne ho più parlato perchè non volevo annoiare me e te. Ma ormai le cose prendono proporzioni fantastiche: non posso permettere, nessuno può permettere che usurpi un nome e un titolo, i quali non solo non le appartengono....

Filippo diede rapidamente un'occhiata intorno: sulla Riva i passanti erano radi e non parevano badare ai due uomini, che si fermavano di tratto in tratto.

- ....ma appartengono a tua madre, la quale è una dama, una vera dama, esempio d'ogni virtù! Che cosa sarebbe avvenuto se quel diavolino di quattro spanne si fosse trovato nel negozio con tua madre? Che cosa avrebbe pensato di te quella povera donna?

- Permettimi! - interruppe Filippo, tanto per interrompere. - Tu ti arrabbi troppo per la storditaggine d'una cameriera....

- Ah no, poi! - esclamò il conte Roberto, fermandosi. - Non verrai a dirmi che è un capriccio della cameriera: la cameriera non può inventarsi un titolo; se lo inventa, la si redarguisce; ma essa ne usa, invece, e ne abusa, perchè sa che quest'abitudine riesce gradita alla tua monella e fors'anco a te....

- Io? - disse Filippo, mentendo come un ragazzo. - Io non ne sapeva niente.

- Tu non ne sapevi niente, è inteso! - ripetè il conte Roberto con sarcasmo. - In casa, pei negozii, tra pettegole, per le vie, tutti la chiamano contessa Vagli, e tu non ne sai niente, tu vivi nelle nuvole, tu non hai orecchie per udire.... Questo è deplorevole, Flopi; bisogna saper udire e vedere, specialmente quando si ha a fare con donne, le quali, da ciò che ho appreso, non hanno scrupoli.... Qui si tratta d'una vera e propria usurpazione di titoli, non solo, ma anche di nomi. Certo, quella ragazza non è di nostra famiglia; certo, non è contessa.... Questa commedia, insomma, deve finire....

- Finirà, - disse Filippo seccamente, sperando che lo zio si arrendesse.

Ma Roberto, forse animato dalla brezza che soffiava piacevolmente e dall'ora calma che incitava a lunghi discorsi, volle continuare:

- Tutto potevo aspettarmi da te, all'infuori di questa mancanza che è quasi una mancanza contro l'onore....

- Zio, non dire spropositi! - rimbeccò Filippo.

- Dico quasi: quasi una mancanza contro l'onore, - insistette il conte Roberto. - Hai dato in balìa d'una ragazza un nome e un titolo illustri, che a noi devono essere sacri; hai permesso che i servi e le serve se ne gonfino la bocca e forse ridano alle vostre spalle, sapendo magnificamente che nome e titolo sono falsi, messi insieme per divertire la tua mantenuta....

- Ma che mantenuta! - esclamò Filippo, irritato. - È la mia amante!

- Amante e mantenuta sono sinonimi in certi casi, - dichiarò inappellabilmente Roberto. - La birichina non ha una posizione sociale che le permetta di vivere senza il tuo aiuto; e dunque tu la mantieni, e dunque è la tua mantenuta....

- La mantenuta è un altro tipo di donna, - osservò Filippo. - Fa dell'amore un reddito e un mestiere, allogandosi presso l'uno o presso l'altro; è un oggetto di piacere che si noleggia per un dato tempo. Il caso di Loredana è ben diverso....

- Loredana! - ripetè il conte Roberto. - Si chiama anche Loredana, nome patrizio e storico....

- Non pretenderai mica di toglierle il nome di battesimo? - osservò Filippo ironicamente.

- Ma è suo? È veramente suo? Non sarà posticcio come il titolo di contessa? - domandò Roberto con inquietudine.

Per tutta risposta, Filippo alzò le spalle.

- E si deve chiamar Loredana! - seguitò Roberto, quasi parlando tra di . - Una volta si era più guardinghi nella scelta dei nomi, e si rispettavano quelli che il patriziato rendeva famosi....

- Oggi non si rispetta più nulla, - osservò Filippo con lieve canzonatura.

- Tu giudichi queste cose con troppa leggerezza, - disse il conte Roberto. - Sei molto cambiato da qualche tempo, e non hai più le nostre idee....

- Quali idee?

- Le idee della nostra classe. Ogni classe sociale deve avere le sue idee e difenderle, - sentenziò il vecchio. - Ne ha il popolo, ne ha la borghesia, ne ha l'aristocrazia, e dal conflitto nasce la vita, sorge il progresso. Quando una classe rinunzia alle sue idee e non le difende o comincia a dubitarne, è perduta. Mi dispiace sempre vedere che i giovani moderni ridono d'ogni cosa; noi eravamo assurdi, forse, eravamo troppo rigidi, ma abbiamo difeso il tesoro d'idee lasciatoci dai vecchi, e abbiamo ritardato il trionfo dell'anarchia.

- Che c'entra tutto questo con Loredana? - chiese Filippo.

I due uomini passeggiavano in lungo e in largo per la Piazza deserta a quell'ora; la Basilica aveva alla sommità, tra gli archi, le cupole, le croci bizantine, ancora qualche pallido sprazzo d'oro; e dalle Procuratie prorompeva qua e , in diversi toni di giallo sul grigio, la luce dei caffè aperti. Così spopolata, con le infinite finestre delle Procuratie, tutte chiuse, la Piazza sembrava immensa.

- Tua madre ha ragione, - dichiarò il conte Roberto, per tornare all'argomento. - Ella vorrebbe che tu sposassi quella piccola Giselda, la Fioresi....

- Ma se non mi piace! - esclamò Filippo.

- Non ti piace, non ti piace!... È impossibile che non ti piaccia; una ragazza come la Fioresi deve piacere a un uomo di buon gusto. Bella, educazione squisita, intelligenza pronta, nome, titolo, patrimonio sicuri, ecco la vera contessa Vagli di domani. Io ne sarei contentissimo, per te e per tua madre.... E sai che cosa vuol dire far contento lo zio?

Filippo non rispose; procedeva a capo basso, le mani dietro la schiena, guardando le liste bianche della pietra sul selciato. Era la prima volta che il conte Roberto faceva allusione all'eredità e al denaro, quantunque assai discretamente; Filippo stette silenzioso ad ascoltare.

- Lo zio ha molti quattrini inutili, - seguitava Roberto, in tono fra lo scherzoso e il grave; - molti quattrini inutili, bene impiegati, che dànno una rendita larga e certa. E se sarà contento, lascerà tutto a Flopi, a sua moglie, ai piccoli «flopini», e creperà tranquillo, da buon vecchione semplice e onesto. Ma se lo zio non sarà contento, parola d'onore, Flopi rimarrà senza un soldo: zero via zero!...

Filippo alzò il capo: non si aspettava una dichiarazione così esplicita, e se ne sentiva offeso e annoiato. Guardò in faccia Roberto e disse con accento reciso:

- Non ti ho mai chiesto nulla, zio: non ho mai domandato quali fossero le tue intenzioni, e mi dispiace che tu confonda una questione di sentimento con un affare d'eredità. Io devo disingannarti subito: non farò nulla, non farò nulla mai per allungar la mano sul tuo denaro.

- Ma no, - interruppe Roberto stupito. - Che cosa dici? Mi sono espresso male: non ti credo capace d'un calcolo. Volevo dirti che la Fioresi sarebbe una buona moglie per te, e che io vorrei sentirmi tranquillo circa il tuo avvenire....

- Lasciamo, lasciamo, - fece bruscamente Filippo. - Abbiamo già parlato troppo. Oggi è di moda la beneficenza, e tu puoi regalare i tuoi quattrini inutili a qualche istituto umanitario. Ma io mi terrò Loredana.... Anzi, per soprammercato potresti regalare all'istituto anche quella maledetta Fioresi perchè la sposassero a qualcuno, tanto da togliermela di tra i piedi....

Il conte Roberto crollò il capo, disapprovando quel tono impertinente; poi si fece forza, e disse con rammarico: - Non ci comprendiamo.

- Non ci comprendiamo, - ripetè Filippo.

I due uomini tacquero un istante, poi arrivati in fondo alla Piazza, all'angolo della Merceria dell'Orologio, si strinsero la mano e si lasciarono freddamente.

 

 

 


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