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IV.
Tutti i giorni si videro così e più volte il giorno, ora allontanandosi con la barca, ora errando nel bosco di cerri e di castagni che si stendeva e si arrampicava su pel monte a ridosso del quale sorgevano le due ville.
L'esistenza di Nicla s'era tanto accomunata con l'esistenza di Bruno, che la fanciulla non desiderava più d'avere ospiti per distrarsi; e quando giungevano amici e amiche e ad essi doveva sacrificare i convegni con Bruno, le passeggiate dal pomeriggio fino al crepuscolo, durava fatica a dissimulare il suo malcontento.
Il bosco saliva aprendosi lungo il monte; era qua e là fitto d'ombra, qua e là libero al sole, con larghi spiazzi, con bruschi gomiti per dove s'ingolfava il vento, con vôlte ben conteste di fogliame e ben riparate. Terminava su di un poggio, donde si scorgeva lontano il lago, e sotto la valle umida, da cui fumigavano al tramonto fumi turchini di vapori e fumi densi di casolari che indicavano il tempo della cena.
Nelle ore più calde, Nicla e Bruno coi seggiolini pieghevoli, avevano il loro posto prediletto su una breve prateria, che i castagni tutt'in giro chiudevano e riparavano come grandi chiomati spiriti verdi; e nell'ora in cui il sole andava scomparendo di là dai monti, salivano sempre al poggio per udir le campane che annunziano da lungi il vespero, le campane degli armenti che si radunano e tornano alla stalla, le campane flebili che mormorano a fior d'acqua sul lago.
E osservavano di là i fiumi densi, i fiumi turchini, la verzura che digradava giù pel versante e si faceva a poco a poco bigia e poi nera; e ascoltavan qualche voce perduta che chiamava di tra le macchie; e guardavan cangiarsi il color delle acque, dall'argento pieno di mobili riflessi alle lividure dell'agata, al duro piombo senza luce.
Il lago diventava uno specchio magico, che d'ora in ora mutava, a seconda dell'aria e del sole; una conca bianca, azzurra, aurea, opalescente, quando tutta corsa da brividi leggeri e quando immobile come metallo.
Si baciavano sul limitare del bosco e si lasciavano per rientrare ciascuno nella propria villa.
Nicla s'era chiesta che cosa poteva essere per quel fanciullo balzato così rudemente e gentilmente nella sua vita.
Egli aveva la madre e il padre; aveva nonni e zii; troppa gente che invece di farlo felice, lo rattristavano disputandoselo chi come un balocco e chi come un gioiello. Non aveva donne intorno.
La madre, a quanto Nicla aveva capito dai racconti del fanciullo, era un poco bizzarra e non costante nel suo affetto; ella pure incline ai dispendii e alla vita leggera. Le altre, conosciute a Parigi e altrove, quelle che giuocavano e si facevano calpestare da lui e se lo conducevano a casa come un cucciolo riottoso, non erano donne agli occhi di Nicla.
Avevan lasciato in quel piccolo cuore un torbido ricordo, ed egli le rammentava troppo d'improvviso, per un gesto o per una parola.
Nicla più d'una volta, nella dolcezza del suo idillio, n'era rimasta turbata sinistramente, quasi avesse visto passar nel caro bosco dei castagni, sotto la placida luce, un faunetto lascivo.
Un giorno in cui Bruno sedeva sulle ginocchia di lei e tutti e due leggevano un romanzo di viaggi, all'ombra dei pacifici loro alberi, il fanciullo la fissò a lungo.
Ella sentiva quello sguardo che la percorreva tanto vicino da non poter non rispondergli; ma teneva gli occhi sul libro e continuava a leggere ad alta voce, chiedendosi perchè Bruno insistesse così stranamente.
Era uno sguardo non più animato dalla devozione, ma freddo di curiosità ambigua, crudele di dubbio e d'impertinenza. E d'un tratto il fanciullo disse:
- Nicla!
- Ascolta, ascolta, - rispose Nicla, senza levar gli occhi, indovinando che bisognava distrarlo. - Ascolta com'è bello, ora che trovano il grande lago.
Bruno stese la mano aperta sul libro, perchè Nicla non leggesse più.
E disse, quasi a conchiudere un suo pensiero:
- Vuoi che ti baci dietro le orecchie?... Abbassa il capo, che ti bacio dietro le orecchie.... E dopo, farai così....
Con le labbra modulò un lieve lungo sospiro.
- Che dici? - esclamò Nicla, gettandolo quasi dalle ginocchia a terra, e guardandolo offesa.
Ma si trattenne; capì che non doveva chiarire alla mente del fanciullo la sconvenienza delle sue parole.
Lo prese per mano, lo condusse sul poggio a guardare la conca del lago in cui si riflettevano con ombre verdastre i monti.
E senza volerlo, a cuore chiuso, fu così fredda e diffidente, che Brunello sentì d'averla allontanata; ed egli ripercorse il bosco nella discesa, stretta la mano nella mano di Nicla e singhiozzando.
- Non mi vuoi più bene - egli borbottò tra le labbra raccolte in un grosso broncio.
- Ti voglio bene ancora, ti voglio bene sempre - lo rassicurò Nicla, - ma oggi non sei stato savio, e torniamo a casa più presto.
Egli non protestò, accettando la punizione; ma Nicla fu stupita che non chiedesse perchè lo puniva. Il piccolo sapeva, aveva compreso.
Donde veniva il faunetto? Quale strana perfida esistenza aveva avuto lui per testimonio?
Già la candida ignoranza dell'età era qualche volta soverchiata da istinti obliqui, da reminiscenze stravaganti. Pareva, a udirlo discorrere, che avesse conosciuto mille donne.
E tornava alla memoria di Nicla un delizioso quadretto del Castiglione, veduto in una galleria d'arte a Roma. In aperta campagna, sotto un roseo tramonto, un piccolissimo fauno s'avvicina in punta di piedi a una ninfa che dorme, e toltone cautamente ogni velo, ne occhieggia cupido le nudità.
Nicla guardava talora Brunello col senso di corruccio con cui aveva guardato offesa il piccolissimo fauno.
Perchè egli le sfuggiva di tanto in tanto.
Certi giorni era insofferente d'ogni tenera carezza; o dopo avere accolto un bacio, voleva baciare a sua volta, e baciava Nicla sulla bocca, indugiandovisi, premendo le labbra di lei con le proprie, sentendo ch'eran buone e fresche e che nessuno le baciava così, le aveva mai così baciate.
Poi il fanciullo tornava, il candore velava quelle precoci inquietudini, e in Nicla rinasceva la fiducia. Sentiva di potere accarezzare Brunello, di potere stringerselo fra le braccia, di poter maneggiarlo come cosa sua.
E voleva ostinatamente persuadere lui, persuadere sè stessa ch'egli era un bambino come tutti gli altri; voleva tacitamente fargli dimenticare ciò che aveva visto o intuito, e addormentare gli istinti, che le altre, le giovani sconosciute e perverse, avevano forse aizzato pel loro ozio.
Il bosco, il monte, il poggio erano lo scenario di quei piccoli drammi; e le risa e i pianti del fanciullo e le risa e le rampogne della giovane eran noti agli annosi alberi amici, che stormivano al vento, che stendevano il loro fogliame al tepore del sole.
I giorni di capriccio non eran pochi nella vita di Brunello. Talora non voleva nè leggere, nè udir leggere, non voleva correre, nè star quieto, nè guidare il suo cavallo ch'era Nicla, nè ascoltar le favole che lo avevano sempre dilettato.
- Che vuoi tu? Che vuoi tu, brutto ragazzo? che possiamo fare per te? Andremo a prenderti il sole e la luna e tutti i pesci d'argento che sono nel lago?
Sorrise e d'un tratto, con un'altra voce, più alta, più libera, che pareva un'onda cullante, con una voce in cui vibrava la sua bella giovinezza di cristallo, s'abbandonò a cantare:
/* Noi coglierem per te balsami arcani Cui lacrimâr le trasformate vite, E le perle che lunge a i duri umani Nudre Anfitrite.
Noi coglierem per te fiori animati, Esperti de la gioia e de l'affanno: Ei le storie d'amor de' tempi andati Ti ridiranno.... */
Bruno stava ad ascoltare, gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa, con l'anima rapita; un piacere nuovo improvvisamente arricchiva la sua esistenza.
Non aveva mai udito recitare una lirica.
Il gesto, la voce, Nicla come uno stelo sul verde sfondo del prato; le parole numerate e misteriose, in cui correva una trepida musica e aleggiava il profumo d'un tempo che non era più; tutto spalancava un'ampia finestra sopra un mondo dai colori non mai visti, dai suoni ricchi e prodigiosi, tutto, tutto, formava una rivelazione grande.
Nicla fu a sua volta sorpresa dall'effetto che le due strofi e la sua voce avevan destato nell'animo del fanciullo.
Ella aveva recitato per giuoco, supponendo ch'egli non sentisse la parola sacra del poeta; ed egli era stato colto d'un subito, strappato alla realtà, avvolto in una nube di sogni.
- Ti piace? - disse Nicla osservando lo stupore di Brunello.
- Oh sì, sì! - egli esclamò, seduto ai piedi d'un grosso tronco.
- Hai capito? - interrogò Nicla.
- Sì, - rispose Brunello superbamente. - Sì.
- È impossibile che tu abbia capito, - rilevò Nicla sorridendo. - Poi ti spiegherò.
- Ho capito, - ripetè Bruno. - Non voglio che tu mi spieghi.
Che cosa egli avesse capito, la fanciulla non potè sapere.
Ma intuì che il piccolo aveva ragione.
Perchè spiegare? Perchè determinare l'idea, circoscriverla, farla esatta, mentre Brunello sentiva, vedeva, viveva un suo mondo, sterminatamente più grande di lui, nel quale egli si smarriva con gioia, nel quale incontrava fantasmi e luci, che nessuno avrebbe potuto indicargli se non rimpicciolendoli?
Ti ridiranno il gemer de la rosa
Che di desìo su 'l tuo bel petto manca,
E gl'inni, nel tuo crin, de la fastosa
Poi nosco ti addurrem ne le fulgenti
De l'ametista grotte e del cristallo,
Ove eterno le forme e gli elementi
Bruno ascoltava senza più respiro.
Nicla fece una pausa, s'avvicinò al fanciullo, e presogli il capo fra le mani, lo baciò due volte.
- Ti piace, dunque? - ella disse, felice. - Più che le favole, più che giuocare al cavallo, più che stare sui miei ginocchi a leggere i viaggi?
- Io quando sarò grande - rispose Brunello solennemente - dirò anch'io così.
- Sarai anche tu poeta? - domandò Nicla.
E il piccolo, seduto ai piedi del tronco, ignaro che una formica impertinente gli correva sulla schiena, promise:
- Sì; anch'io!
- Hai dunque trovato la tua professione, - osservò Nicla ridendo.
Lo fece alzare e s'avviò con lui verso la discesa, perchè le campane da lungi mandavano l'eco dell'avemaria.
- Come sai tu queste belle cose? - domandò Bruno. - Come hai fatto a impararle?
- Le ho studiate nei libri e mandate a memoria. Non ti ricordi che io volevo essere attrice?
- Ah, è vero! - esclamò Bruno ridendo.
- E ne sai molte? Perchè un'attrice deve saper dire così bene?
- Non so se dico bene - rispose Nicla. - Ma avevo tanta passione, che certo sarei riuscita.
- E adesso - constatò fieramente Brunello - non dici che per me. Domani mi dirai ancora. Io non sapevo che nei libri ci fossero cose tanto belle, e la musica....
Nicla ebbe un piccolo sorriso.
La musica era ciò che Bruno aveva subito afferrato; la musica del verso era l'elemento nuovo della sua vita, e su quelle note egli si lasciava trasportare via, con voluttà.
Ma l'indomani, mentre la fanciulla, alla preghiera incalzante di Bruno, aveva ripreso a cantare:
Noi coglierem per te balsami arcani,
s'interruppe d'un tratto.
Alle spalle di Bruno era comparso un signore tutto vestito di bigio.
Nicla gettò un'occhiata a lui, gettò un'occhiata a Bruno, e comprese.
- Oh, il mio papà! - disse Bruno volgendo il capo e alzandosi.
Il conte Fabiano s'avvicinò e inchinandosi lievemente, col cappello nella destra,
- Signorina - disse - non le sia sgradito che io le esprima la mia riconoscenza per l'affetto che dimostra al mio Brunello.
- Prego - balbettò Nicla confusa. - Egli mi tiene compagnia.
- Se non l'annoia, ne sono contento - seguitò Fabiano.
Nicla ricordò i consigli e gli ordini di suo padre, il cavaliere Maurizio; bisognava con quell'uomo, con quel personaggio rotto a ogni vizio, essere freddi e contegnosi. Ma come poteva ella respingere una parola di ringraziamento, come non esser turbata vedendo colui del quale tanto si parlava tra i borghesi timorati e guardinghi?
- Oh no, non mi annoia! - esclamò Nicla. - È molto savio!
- Vedi, papà? - disse Bruno con espressione di trionfo.
Il conte e la fanciulla sorrisero.
Ma Nicla era sbigottita.
Il padre di Bruno, alto e slanciato, oltrepassava d'un palmo la snella figura di Nicla.
Anch'egli come il figliuolo aveva occhi neri in un volto magro e olivastro; e quantunque non contasse che trentasette anni, già invecchiava, stretto nella morsa delle sue male abitudini. E ciò sbigottiva la fanciulla, abituata a veder visi tondi e rosei ed espressioni di placido contento.
I capelli di Fabiano eran più bianchi che neri; molti fili d'argento si mescolavano ai morbidi fili della barba corta a punta; e intorno agli occhi era una rete sottile di rughe, che apparivan quasi impercettibili screpolature quando i muscoli del suo mobile viso si contraevano in un'espressione pensosa o ironica.
- Egli è cresciuto selvatico e bizzarro - disse, accarezzando la testa di Bruno. - Lei, signorina, potrà fargli molto bene.
Detto questo, s'inchinò ancora, si coperse il capo, e proseguì la sua passeggiata per il bosco a passo lento.
- Vuoi andare col papà? - chiese Nicla a Bruno.
Egli guardò suo padre che s'allontanava e non si mosse.
Nicla disse la poesia; ma andava nel frattempo pensando a quell'incontro.
Già sapevano in casa che ella aveva conosciuto il piccolo Traldi di San Pietro; e il cavalier Maurizio e la signora Carlotta ne avevano avuto occasione per una lunga predica.
Bisognava ormai confessare d'aver conosciuto anche il grande, il personaggio famoso che veniva da Parigi, come un modello del genere?
O l'incontro non avrebbe avuto seguito, e a Nicla sarebbe stata risparmiata un'altra ora noiosa di avvertimenti e di rimproveri?
In verità, fino a quel giorno, il conte s'era ben guardato dal richiedere non chiesto l'amicizia della famiglia Dossena.
Viveva nella sua villa, con un domestico, una cuoca e una governante vecchia. Riceveva visite di gente che veniva da Milano, uomini e donne, che eran forse i suoi compagni di piacere. Usciva con questi a far gite nei dintorni, e sebbene tutti in paese si occupassero di lui, egli aveva l'aria di non occuparsi d'alcuno.
Con Nicla fu discreto, e non passò più pel bosco.
Dato uno sguardo alla fanciulla, di cui udiva raccontar maraviglie da Bruno, e giudicatala subito, aveva lasciato il bambino a quelle mani fidate.
- Il papà ha detto che di mamma ne basta una - raccontò Bruno l'indomani - , ma che tu sarai mia sorella. E che tu sei come egli aveva pensato. Aspetta. Tre cose. Ecco: timida, bella, e pura. allora tu sarai mia sorella. Lo ha detto il papà. E ha detto anche che il difetto dei bambini, è che per farli ci vogliono le mamme....
Quando Bruno raccontava, con una loquacità la quale non era del suo carattere, ma si sfrenava innanzi a Nicla pel bisogno di confidarsi, la fanciulla lo lasciava andare fino al primo intoppo, fin quando, cioè, non avesse riferito qualche stravaganza o non avesse esposto qualche sua opinione zoppicante.
Udendo un così cattivo giudizio sulle mamme, Nicla lo fermò subito:
- Non è vero? Il papà dice sempre belle cose! - confermò Bruno ingenuamente.
- Quale contessa? - domandò Bruno.
- La tua mamma.
- Ma egli diceva così per la mamma, non hai capito?
- Ho capito, ho capito: e me ne dispiace molto.
- Egli diceva così perchè la mamma ora è in Isvizzera, ma deve venire a trovarci uno di questi giorni; e ciò secca molto il papà. La mamma mi vede, dice che sono magro, che sono malato, e vuole portarmi via. Il papà non vuole e dice che sono grasso e non sono stato mai così bene.... La mamma dice che....
- -Ma tu preferisci la mamma o il papà? - interruppe Nicla di nuovo.
Bruno si mise il piccolo indice dritto attraverso le labbra.
- Non sta bene domandare queste cose! - dichiarò sottovoce.
- Io non domando per curiosità! - rimbeccò Nicla. - Voglio sapere per giudicare come o con chi puoi star meglio.
- Finora, proprio, sto meglio con te! - disse Bruno. - Ma tu fa finta di non saperlo, perchè la mamma vuole che io stia meglio con lei, e il papà vuole ch'io stia meglio con lui; e se capiscono che invece sto meglio con te, diventano molto gelosi.
- Allora non dirai nulla della nostra amicizia alla mamma? - domandò Nicla sorpresa.
- No. Io con la mamma sono un altro.
- Come, un altro?
- Sì, un altro, più piccolo!
- Fai l'impostore, insomma! - spiegò Nicla.
- Sì, faccio l'impostore! - confermò Bruno.
- Un bambinetto ingenuo, un po' tardo, mezzo addormentato, mezzo scemo? - incalzò Nicla, non potendo trattenere un sorriso.
- Proprio così! - dichiarò Bruno, battendo le mani.
- E perchè, povera mamma, perchè ingannarla?
- A lei piace che i bambini siano un poco scemi. E se si accorge che io sono intelligente mi domanda che cosa facciamo, chi conosciamo, dove andiamo, e se il papà giuoca, e se ci sono in casa le istitutrici giovani e se spendiamo molto. Una volta, io che non sapevo, le ho raccontato tutto....
- Che cosa le hai raccontato?
- Le ho raccontato....
Esitò un istante, per chiamare in aiuto la sua memoria e ordinarla, poi seguitò:
- Le ho raccontato che c'era in casa, a Parigi, una governante che si chiamava mademoiselle Praline e vestiva sempre la sera con gli abiti scollati, coi capelli biondi e lunghi e con belle scarpette di vernice. E cantava tutto il giorno e aveva il naso voltato in su. Poi alla sera veniva a pranzo con gli abiti scollati. Ma il papà l'ha mandata via perchè quando non cantava, era sempre in cucina a farsi fare il tè e poi la bistecchina e poi ancora il tè, e mangiava tutti i biscotti; e io l'ho vista nello specchio che intascava i cucchiai d'argento, e l'ho detto al papà. E allora il papà l'ha mandata via, dicendo che voleva salvare almeno i coltelli e le forchette.
- E tu hai raccontato tutto questo alla mamma? - esclamò Nicla.
- Sì, io non sapevo che non bisogna raccontare tutto.
- La colpa non è tua, - mormorò la fanciulla col cuore stretto. - E allora?
- E allora la mamma ha raccontato tutto, anche lei, all'avvocato, e il papà ne ebbe molti dispiaceri.
- E da quel giorno, hai fatto lo stupido per prudenza? - interrogò Nicla, accarezzando lievemente la testa del fanciullo. - E ora andrai di nuovo con la mamma?
- No; ora la mamma viene soltanto a vedermi. Il papà la aspetta, e per ciò la governante è vecchia.
Nicla non trovò la forza di sorridere.