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VI.
E corsero a rivedere gli alberi amici, che sopra uno sfondo opalino mescevano e confondevano in magici archi il loro fogliame, su cui il tramonto gettava un riflesso di luci dorate
E sotto gli archi si stendeva il terreno molle come una corsia di velluto cinereo; parevan più dure e determinate le linee dei fusti, più vaghe e ampie le radure. Tutto il bosco esalava di legno disfatto, e ai piedi dei tronchi s'ammucchiava il ciarpume di frasche e di sterpi che sprigionavano un odore umido in quell'ora madida e calda.
Risonava qua e là il crepitare delle vecchie cortecce.
Bruno correva a fianco di Nicla, poi che ella stessa correva più che non camminasse; e sentendo la mano dell'amica stringere, stringere forte la sua, il fanciullo tollerava il dolore senza far motto.
Bruno levò il capo a guardar Nicla e la vide tutta rossa. Ella abbassò gli occhi per rispondergli e anche vide Bruno tutto rosso di riverberi.
Il tramonto si faceva vermiglio, e sul velluto cinereo del terreno serpeggiavano larghe chiazze di color del sangue.
Eran giunti a uno spiazzo, su cui giacevano qua e là, disposti a gradi, tronchi abbattuti, e che tutto in giro era chiuso da grossi castagni e da cerri poderosi.
Nicla sedette, e presso a lei Bruno.
- Ti ha fatto male, - egli chiese, - quel signore? Ti ha detto brutte parole?
La fanciulla scosse il capo, negando.
Guardava le vôlte che le fronde formavano e che parevano dilungarsi fin che si chiudevano lontano con una fitta cortina di rami e di foglie.
Duccio e Clara Dolores s'eran dato convegno1 a Sonnenberg, e di là eran tornati un giorno, ella per rivedere il suo bambino, egli per corteggiare Nicla e forse chiederne la mano.
Erano scesi allo stesso albergo, insieme.
Duccio dedicava qualche ora a Nicla e alla sua famiglia, e si ritirava la sera all'albergo: la sera e la notte. Conduceva nello stesso tempo due intrighi, l'avventura piacevole e il matrimonio solido.
Clara Dolores non aveva colpa alcuna. Libera, mal conosciuta e abbandonata dal conte Fabiano, aveva disposto del suo cuore come più le era piaciuto, certo con l'illusione di trovare in Duccio Massenti l'uomo fedele e degno.
Fino a due giorni addietro, ignorava pur l'esistenza di Nicoletta Dossena, e ancora ignorava e avrebbe ignorato sempre che la fanciulla era desiderata dall'uomo al quale ella s'era data.
Poteva essere triste per Brunello apprendere più tardi che anche sua madre non aveva saputo resistere; poteva essere triste pel giovane che s'affacciava alla vita non trovar nella vita alcuna fede, e dover dubitare di suo padre e di sua madre.
Ma di fronte a Nicla, la contessa non aveva macchia.
Lo sciocco, il fatuo, l'immorale era egli solo, quel Duccio Massenti, già così slombato a ventisei anni da non sentire l'indelicatezza e la vergogna della sua condotta; melenso e maligno, trattava Clara Dolores come una facile avventura e Nicoletta come una più facile preda.
- Non mi ha fatto alcun male, vedi? - esclamò Nicla riprendendosi. - Voleva offendermi, e non vi è riuscito.
Il volto di Brunello si rabbuiò. D'un subito s'era ricordato che poco lungi di là, un giorno in cui leggevano un viaggio al paese delle pellicce, anch'egli aveva offeso Nicla, ed ella, gettatolo dalle ginocchia con rabbia, lo aveva rimandato a casa prima del consueto.
Nicla non gli aveva detto nulla allora, ma egli aveva capito ch'era offesa, perchè aveva voluto baciarla come le ragazze di Parigi, che si rotolavan con lui sul divano.
E si levò repentinamente, affannato e sospettoso.
- Come? - disse. - Voleva baciarti dietro le orecchie?
- Sei pazzo? - esclamò Nicla arrossendo. - Chi ti ha detto mai questo?
Bruno respirò, e tornò a sedere, in silenzio; ma i suoi occhi andarono più volte agli occhi di Nicla, interrogativi e solleciti.
- Io, - dichiarò infine, - sarò sempre savio. Con te sarò sempre savio.
- Va bene! - disse Nicla gravemente. - Tengo la tua promessa.
E Brunello confermò ancora, con un cenno del capo.
S'era messo a ginocchi innanzi alla sua amica e restava così a guardarla, mentre ella pensava. Ella pensava all'inopinato avvenimento che d'improvviso stringeva anche meglio il legame spontaneo fra lei e il figlio di Clara Dolores.
Non era più una simpatia, non un'amicizia fresca e rara, ma una simiglianza di casi per la quale lo stesso uomo faceva male e al bambino e alla fanciulla. Questa involontariamente era venuta in possesso di un segreto che toccava il piccolo Traldi e ch'ella non avrebbe detto mai.
Nicla allungò la mano ad accarezzare Brunello, guardando lontano, tra le luci del fondo che si smorzavano a poco a poco e si facevano argentee.
- Se tu vuoi, - disse Bruno a un tratto, - io racconterò al papà che quel signore ti ha offesa, ed egli lo punirà. Io sono ancora troppo piccolo. Come si chiama: Duccio?
- Tu non racconterai nulla! - ordinò. - Quel signore è già punito.
- Ma il papà.... - insistette Bruno.
- Il tuo papà non è il mio. Io ho un altro papà! - rispose Nicla.
- Oh, il tuo non vale niente! - osservò Bruno sorridendo. - Egli non sa sparare con la pistola e far la scherma come il mio. Non sa uccidere!
La fanciulla fissò Bruno con la fronte corrugata.
- Ma tu credi che bisogna uccidere per valer qualche cosa? - esclamò.
- E che dobbiamo fare d'un uomo che ti ha offesa? - disse Bruno placido. - Io lo dico al mio papà, e il papà gli spara contro, come fa con quelle tavole che sono in giardino e che il papà adopera pel bersaglio. Sopra c'è dipinto un uomo grande; e il papà mi ha fatto vedere che lo ha tutto bucato nella testa e nel cuore. Non sbaglia mai....
- Duccio Massenti non è una tavola di legno, - rimbeccò Nicla.
- Ohi - disse Bruno alzando le spalle.
- Ed è così, - proruppe Nicla, - che tu fai il savio? Dicendomi che il mio papà non vale niente e ostinandoti a voler far uccidere Duccio?
- Io ho visto due ufficiali degli ussari, - dichiarò Bruno, - che giuocavano a carte col mio papà; e tutti e due avevano ucciso un uomo in duello.
- E allora? - interrogò Nicla.
- Allora vedi che si può uccidere; perchè gli ufficiali montavano a cavallo, pranzavano con noi, ridevano, e facevano tutto come gli altri.
- Talchè, - seguitò Nicla - se tu fossi più grande, tu andresti a uccidere Duccio Massenti in duello?
- Certo! - rispose Bruno. - Mi piacerebbe!
- Ma egli potrebbe uccidere te, - osservò Nicla.
- Tu credi? - fece Bruno sorridendo con lieve ironia.
- Per carità! - esclamò la fanciulla presa da un freddo. - Non dirmi queste cose, non dirmi queste cose mai più! Che sei tu dunque? con queste idee pel capo, mi metti paura! Io pensavo che tu fossi buono e caro per la tua Nicla, e invece sei crudele e quasi feroce.... Bisogna proprio che non pensi più a te, non ti dia più la mia amicizia e ti lasci solo.
E a mano a mano che parlava, s'attendeva che il fanciullo s'accorasse, e andava studiandone l'espressione per fermarsi a tempo e non farlo piangere.
Ma egli s'inviperì, e rizzatosi, stese le mani al volto di Nicla, gridò infuriato:
- E allora io lascerò che tu vada in barca con quel signore e che poi ti dica le brutte cose? e allora ti lascerò offendere? E anche quando sarò grande, se Duccio ti avrà offesa, io dovrò essere savio? allora egli sarà il padrone e io sarò niente?
- Ma no, ma no, ma no! - interruppe Nicla con dolcezza. - Nessuno mi ha offesa e nessuno mi offenderà. Ti ho detto che Duccio voleva; voleva offendermi, e non vi è riuscito. Non ti ho detto così?
Bruno assentì con un cenno del capo.
- Vedi che dico sempre la verità! - aggiunse Nicla con un trapasso ardito di logica. - E non occorre muovere il papà e le sue pistole e le sue spade.
- Ma non andrai più in barca con lui? - interrogò Bruno ansioso.
- Sta tranquillo! - promise Nicla.
- Io so che veniva sempre a mangiare a casa tua....
- Non verrà più.
- Me lo giuri?
- Come? - esclamò Nicla. - Quale brutta abitudine! Non si deve abusare del giuramento. La promessa basta.
Bruno s'acquetò; e rimettendosi a sedere, posò il capo sulle ginocchia di Nicla.
Sommessamente, curva su di lui, sfiorandone la chioma e la guancia con lieve mano di sorella, in una malinconica tenerezza, Nicla intonò:
Io vo' da questa rupe erma cantare,
Te fra le braccia avendo e via lontano
Calar vedendo l'agne bianche al mare
E guardava le lunghe ciglia e la bocca fresca del fanciullo, che per chiamar le carezze fingeva dormire, e spalancava gli occhi non appena le carezze tardavano. Povero piccolo uomo; povero piccolo uomo, perduto nel mondo vasto e tremendo; debole e mal difeso e male sorretto nel cammino; ma già pieno d'ira, d'orgoglio e di passione; già vendicativo e tirannico, audace e geloso; lupatto tra i lupi.
Ti rapirò nel verso; e tra i sereni
Ozi de le campagne a mezzo il giorno,
Tacendo e rifulgendo in tutti i seni
Io per te sveglierò da i colli aprichi
Le Driadi bionde sovra il piè leggero
E ammiranti a le tue forme gli antichi
E non poteva nulla per lui; domani forse avrebbe dovuto lasciarlo.
Egli s'era abbandonato nelle sue braccia, credendola una fata onnipossente; ma ella stessa era debole e mal difesa e male sorretta nel cammino pel mondo vasto; e di lei pure, scampata appena a un agguato, il destino era impenetrabile.
Noi coglierem per te balsami arcani....
Il fanciullo sorrise al ritorno della vecchia strofe, quella che prima gli aveva dato l'impressione della musica in un mondo di mistero.
Noi coglierem per te balsami arcani
Cui lacrimâr le trasformate vite,
E le perle che lunge a i duri umani
I grossi alberi, i rami, le foglie, i fantastici archi e le cortine che parevan chiudere in fondo, in fondo, le imaginarie gallerie fronzute, il terreno cinereo, la radura coperta di sterpi e di tronchi, andavano confondendo linee e profili.
Stendeva la sera un manto d'ametista, che aveva pei meandri del bosco le infinite gradazioni del rosso, del pavoniccio, del gridellino; s'alzava il vento con un mormorio che aleggiava di fronda in fronda.
Bruno circondò delle braccia il collo di Nicla, ed ella delle braccia circondò i fianchi di lui; accostarono le tempie, confusero le rosee bocche, e restarono con l'anima tesa ad ascoltare il battito del cuore, il quale aveva un linguaggio profondo, senza parole, nell'ombra.