Luciano Zuccoli
La freccia nel fianco

PRIMA PARTE.   ....fiori animati esperti de la gioia e de l'affanno.

VIII.

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VIII.

 

Al solito convegno sulla riva del lago, Nicla giunse l'indomani, tutta attillata in un abito color d'acciaio, con un morbido cappello bigio messo di traverso a guisa del feltro d'un arlecchino, e coi guanti bigi lunghi oltre al gomito.

Presso la lancia di casa, appoggiati ciascuno al remo, due barcaiuoli aspettavano in silenzio.

A poppa sventolava, tutta bianca con un serpentello vermiglio aggomitolato in un angolo, la bandiera di Nicla.

Bruno andò incontro alla sua amica e la guardò senza parlare.

Aveva con se la goletta, per la quale aveva fatto fare dalla governante una bandierina di seta bianca identica a quella di Nicla; ma invece del serpente aggomitolato, suo padre gli aveva dipinto in un angolo un asinello che sparava calci all'aria.

Quell'asinello era stato causa di molte discussioni tra padre e figlio.

Bruno non lo voleva: se ne sentiva offeso, e Fabiano gli aveva spiegato, con un ambiguo sorriso, che c'era più forza nella groppa dell'asino che nella testa del serpente.

Del resto il serpente era un emblema femminile.

- Tu, alla tua età, - aveva soggiunto Fabiano col suo bonario sorriso canzonatore, - non puoi avere per emblema che l'asinello. Specialmente considerando la vasta coltura che possiedi!

Bruno s'era infine persuaso o almeno rassegnato; ma udita la cosa, Nicla ne aveva riso fino alle lagrime.

- Il tuo papà ha ragione! - aveva detto. - L'asino rappresenta una forza che io non ho, e puoi contentartene.

Così la goletta aveva fieramente spiegato sui flutti la bandiera bianca con l'asinello riottoso, di cui Bruno guardava di tanto in tanto la groppa, pensando alla forza di quei calci gagliardi.

- Ebbene? - gli disse Nicla stringendogli la mano. - Non mi dici nulla?

E lo fece salire nella lancia; poi gli sedette accanto sui cuscini bianchi dai bottoni rossi e prese tra le mani i fiocchi del timone.

- Stai molto bene! - rispose Bruno, con l'accento d'un goloso soddisfatto.

- Allora sei rimasto muto innanzi alla mia bellezza? - disse Nicla ridendo.

- Proprio! - confermò Bruno. - Così, sei più bella ancora!

- Dove andiamo, signorina? - domandò il primo barcaiuolo, togliendosi il largo cappello.

- Alla Croda! - ordinò Nicla.

La lancia prese il largo; scintillavano sotto i raggi le pale dei quattro remi , come le zanche d'un velocissimo insetto.

Tornando dal bosco la sera innanzi, Bruno aveva pregato Nicla di fare l'indomani una gita in barca fino alla Croda, ch'era un frangente a fior d'acqua, a venti minuti circa dalla villa Carlotta.

Di quella roccia grinzuta, morsa e bucherellata dall'onda, con seni e rientranze e culmini e schiene e venature, Bruno aveva fatto un suo dominio.

Vi aveva passeggiato altre volte con Nicla, dando nome ai solchi e alle vette, versando acqua con le mani nelle cavità per farne mari e fiumi, stabilendo nel mezzo una capitale, animando con la fantasia lo scoglio grigiastro, come sotto i suoi occhi brulicasse la vita d'un intero continente.

Ma da più tempo, rapito dal piacere di correre pel bosco, pareva aver dimenticato il suo isolotto.

E non se n'era rammentato che la sera stessa della gita in barca, con Nicla e Duccio, per aver pretesto a un'altra gita, la quale cancellasse dal suo cuore e dal cuore di Nicla la triste impressione, il ricordo amaro della prima.

Nicla aveva capito.

E per fargli intendere a sua volta ch'ella apprezzava il suo sforzo e che si prestava a chiudere per sempre quel molesto episodio, gli era comparsa innanzi con l'abito che non aveva mai indossato, con un cappello nuovo, diversa da quella ch'egli aveva veduta con Duccio, «ancora più bella».

Egli aveva subito inteso.

E quando furono al largo, sotto il sole, tra la buona aria che fischiava ai loro orecchi e baciava il loro viso, domandò:

- Non lo avevi mai messo questo abito?

- No, caro!

- E anche il cappello non lo avevi mai messo?

- Neppure.

- -Allora li hai messi oggi per andare in barca con me? - esclamò Bruno, aprendo i grandi occhi in una luce di gioia.

Ma al momento di rispondere sì, di rallegrarlo e di farlo superbo, Nicla esitò. Non osava.

Una specie di verecondia subitanea innanzi a quel fanciullo delicato e geloso, che capiva e sentiva come un uomo, la rattenne. Le parve di far male concedendo qualche soddisfazione al suo amor proprio di maschietto prepotente.

- Bisogna bene, - rispose, - cambiar d'abito e di cappello, qualche volta.

Ma scorgendo che un velo di tristezza calava repentinamente sul viso del fanciullo, soggiunse:

- No, no, caro! Ho messo proprio per te l'abito e il cappello nuovi. Proprio per te!

- Allora Duccio non sa che tu li avevi? - esclamò Bruno con uno scoppio di voce gioconda.

- Non sa!

- Allora non ti ha mai veduta così, vestita di ferro?...

- D'acciaio, - corresse Nicla. - No: non sa niente!

- Non sa che tu sei così bella? - gridò ancora Bruno.

- Zitto, zitto! - disse Nicla.

Egli le gettò le braccia al collo e la baciò sulle guance.

- Come mi piace! - esclamò. - Ieri nel bosco eri tutta rossa; oggi sei tutta grigia.

Tacque per ricordare, indi aggiunse:

- La mamma non veste mai come mi piace. Dice che non m'intendo.

- Ma è elegantissima, più elegante di me, - rispose Nicla. - E poi la mamma, poveretta....

E con maraviglia s'accorse che ogni altro elogio della contessa le moriva sul labbro, e un beffardo spirito le fischiò all'orecchio che la mamma, poveretta, era a Sonnenberg, con Duccio Massenti.

- Tu non sei come la mamma, - seguitò Bruno. - Tu non sei una donna.

- No? - chiese Nicla stupita. - E che sono allora?

- Tu sei una ragazza, come me.

- Sì: una donna ha troppe cose da pensare, - spiegò Nicla. - Una ragazza non ha nulla da pensare e può perdere il tempo nei capricci. Sarà così....

- Sarà così! - disse Bruno, quantunque sembrasse poco persuaso.

Sbarcati alla Croda, Brunello mise in acqua la goletta per proteggerli, mentre più lontano vagava lentamente la lancia, che rappresentava una corazzata.

Nicla ripensava alle parole di Bruno.

Una ragazza come lui! Ancora quel giorno e altri giorni. Poi la differenza d'età si sarebbe aperta tra i due quale un abisso. Entro il breve giro di quindici anni, egli sarebbe stato il giovane che s'affacciava impaziente di desiderii e d'illusioni, ed ella la donna placida e delusa, forse la madre, con qualche rimpianto della libertà perduta.

Non avrebbero mai più trovato il linguaggio che li affratellava; non si sarebbero compresi, se pur si sarebbero rivisti; ed egli certo non avrebbe cercato di lei....

Passarono un'ora sullo scoglio, intrattenendosi a riformar laghi e fiumi. Brunello sosteneva che il suo dominio aveva cambiato figura e s'eran formate nuove valli, alle quali bisognava dare un nome. Nicla, seduta sulla parte più alta della roccia, lasciava dire il fanciullo, che stava accosciato a sbarcare i soldatini di cui la goletta recava un grosso carico, e a distribuirli nelle varie guarnigioni.

Osservando quella ingenua felicità, fatta di tanto poco, Nicla vedeva rinascere il bambino che posava la testa sulle sue ginocchia, così diverso dal piccolo uomo che voleva baciarla dietro le orecchie o far uccidere Duccio per vendicarne un'offesa. A quale di quelle due anime, la modesta e candida, o la violenta e appassionata, avrebbe il destino dato forma e potenza?

- Dobbiamo tornare! - annunziò Nicla, notando che il sole era già basso all'orizzonte.

E fece segno alla lancia che si avvicinasse.

Una improvvisa malinconia le velava l'anima, senza ragione; e durante il ritorno, abbandonata in un angolo della barca, con gli occhi che vagavano nel vuoto, non disse parola.

Bruno cercò d'appiccar discorso, ma dopo un vano tentativo, accorgendosi che la sua amica era assorta in un pensiero, ne rispettò il silenzio e tacque a sua volta.

Guardava l'acqua che mutava sotto il riflesso del Sole morente il suo color verdastro in una lieve tinta cremisi; e di tanto in tanto vi tuffava una mano, occhieggiando se Nicla non lo sorprendesse.

Ma non appena furono sbarcati e la lancia si allontanò per rientrar nella darsena, fecero un incontro singolare.

Un tizio che da qualche tempo gironzava sulla spiaggia, si avvicinò.

Era un uomo d'età mal certa, con la barba rossa non rasata, i capelli radi chiazzati di bianco; vestiva un abito lucido nei gomiti, unto sul bavero e teneva in mano un cappello di paglia divenuta scura, con le tese smozzicate.

- È il figlio del conte Traldi, signorina? - disse, indicando Bruno.

Nicla lo squadrò e procedette senza rispondere.

- Signorina, mi scusi, - insistette l'uomo.

La fanciulla, tenendo Brunello per mano, fece una sosta.

- Ho bisogno di sapere dove sia il conte Fabiano Traldi di San Pietro. Vedo che lei ha il governo del bambino, e certamente vorrà dirmi dove si può trovare suo padre.

- Non so nulla! - rispose Nicoletta con voce asciutta.

L'uomo non si mosse.

- È possibile? - esclamò. - A villa Florida, il domestico mi ha detto lo stesso.... E si tratta di cosa grave: della scadenza d'una cambiale di dodicimila lire....

- Andiamo! - disse Nicla a Bruno, avviandosi.

Era dolente d'aver appreso una notizia gelosa che non la riguardava.

- Forse è uscito per breve tempo, - insistette fastidiosamente l'uomo, mettendosi al suo fianco. - Forse è andato a far qualche visita, una gita?...

- Le dico che non so nulla! - ripetè Nicla in tono reciso.

Ma l'uomo fece più dura la voce, e seguitò:

- La prego d'osservare che si tratta di cosa importante, gravissima, l'onore d'una firma. È possibile che lei non sappia dov'è il suo padrone?

Nicla si scostò con un tal balzo, che per poco Bruno non ne fu rovesciato.

- Il mio padrone? - esclamò, volgendosi e piantandosi innanzi all'uomo dal pelo rosso. - Io non ho padroni! Sono la signorina Dossena, e non faccio la serva!

- Oh che stupido! - disse Bruno.

L'uomo si curvò immediatamente fin quasi a terra, e la sua voce diventò piagnucolosa.

- Ah, mio Dio, mio Dio! quale errore! Le domando perdono, signorina Dossena! Un gran nome delle nostre industrie! Le domando perdono con tutta umiltà, signorina! Quale errore!

E camminando per alcuni passi a ritroso, borbottando sempre con voce di pianto, l'uomo si ritirò in fretta, e scomparve in direzione della villa Florida.

- Era molto stupido! - osservò Bruno.

- Ma il papà dice qualche volta che non c'è, per non vedere quegli uomini....

- Lo imagino, - rispose Nicla. - Ora, va a casa. A domani!... E al papà non raccontare nulla. Egli avrebbe dispiacere, se sapesse.

- Tu non hai avuto dispiacere perchè quello stupido credeva che tu fossi la governante del papà? - chiese Bruno.

- No, no, - rispose Nicla sorridendo. - Addio. Va a casa!

E si chinò a baciare il fanciullo.

Ma tornata a casa, cadde in preda a una più grave, a una più nera malinconia; e a pranzo non toccò cibo.

- Riflette, riflette! - disse il cavalier Maurizio alla signora Carlotta, non appena furono soli e poterono scambiarsi qualche impressione. - Vedrai che finirà col dirci spontaneamente il suo segreto.

E rise, da furbo, mentre la moglie lo ammirava.

 

 

 


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