Luciano Zuccoli
La freccia nel fianco

PRIMA PARTE.   ....fiori animati esperti de la gioia e de l'affanno.

XIII.

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XIII.

 

Nicoletta Dossena stava ancora coricata nella sua graziosa camera che guardava il lago, allorchè la cameriera le recò la posta.

La fanciulla era stanca e scorata.

Il vetturale interrogato da lei il giorno innanzi non le aveva nulla taciuto: il viaggio sotto il furioso uragano, la tappa all'osteria dopo tre chilometri, la ripresa allorchè Bruno non era ancora ben rimesso.

Aveva aggiunto che il bambino s'era sentito molto male ed era molto debole quando era salito in treno; e che il signor conte recava con tanta roba nei bauli e nelle valigie da far presumere che non avesse alcuna intenzione di ritornare.

Queste notizie avevano tolto ogni speranza a Nicla.

Bruno era veramente perduto, e subito, dalla felicità della vita sana e libera in compagnia della sua giovane amica precipitava nei disordini e nelle imprudenze di cui il cervello di suo padre era fecondo.

Allorchè Vico Malerba le aggiunse che Bruno lo aveva incaricato di salutarla e di dirle che l'aspettasse perchè voleva tornare da lei, Nicla non potè frenare un singhiozzo.

Ben lo aspettava e bene lo avrebbe aspettato sempre; ma sentiva che sarebbe stato invano.

Aveva pianto a lungo, sola; non era uscita di casa per non riveder luoghi tutti echeggianti dei più teneri, dei più tristi ricordi; e mai non aveva capito come in quei giorni che nessuno dei suoi poteva compatirla.

Sua madre menava ancora in lungo la storia di Duccio Massenti, e ne formava a poco a poco un pettegolezzo. Suo padre andava esortando la fanciulla a confessare il segreto scoperto.

E tanto più l'uno e l'altra s'impuntavano nella loro idea, in quanto Duccio non aveva scritto parola, non aveva dato segno alcuno di vita. Fatti i ringraziamenti e presentati di persona i suoi saluti, s'era creduto assolto da ogni altro obbligo, considerando il brusco trattamento usatogli da Nicla. Era la fine, silenziosa ma irrimediabile.

E nulla più cuoceva alla signora Carlotta che il non poterne afferrare il motivo riposto; e nulla più cuoceva al cavalier Maurizio che non poter vincere la resistenza di sua figlia. Onde l'una e l'altro, non che consolar Nicla della perdita di Bruno, l'avrebbero rimproverata duramente perchè invece di provvedere al suo avvenire si perdeva in frasche e in fantasie non più perdonabili alla sua età.

N'era venuta una freddezza nuova tra Nicla da una parte e Carlotta e Maurizio dall'altra, che alla fanciulla aveva dato una grande sensazione d'abbandono; ancora una volta ella aveva guardato a suo padre e a sua madre come a persone quasi estranee, immedicabilmente meschine; e di nuovo sua madre guardava a lei come a una persona dai gesti e dagli atti poco rassicuranti.

La posta le recava quel mattino tre lettere; di due conosceva la calligrafia.

Erano Fanny Contini e Cecilia Verli, che le raccontavano le loro mirabili avventure campestri, come ad esempio la conquista d'un ufficiale, il quale aveva detto sospirando a Fanny: «Ah, vorrei essere quel ventaglio», e la passione d'un giornalista che a Cecilia, la quale aveva mandato cento lire per beneficenza, aveva risposto «per ringraziare» sopra un biglietto di visita.

Nicla giudicò che si poteva leggere più tardi la narrazione d'altre consimili avventure, e aperse la terza lettera, dalla calligrafia aggrovigliata e rigida.

Guardò la firma: F. Traldi. E spalancò gli occhi.

La lettera diceva:

 

«Gentile signorina.

 

«Partito improvvisamente, mi è stato impossibile compiere il più gradito dei doveri, e ringraziarla di nuovo dell'affetto e della protezione che ha prodigato al mio Brunello. Trovi qui l'espressione della più viva mia gratitudine. Bruno sta bene. Mentre Le scrivo, dorme a pugni stretti, e sogna forse i bei giorni della vita lontana. Noi ci fermeremo qui ancora per poco, ma Bruno non mancherà di darle sue notizie. Accolga, gentile signorina, i sinceri augurii e gli ossequii rispettosi di

«F. Traldi

 

- Dove va? Dove va? Dove me lo trascina? - esclamò Nicla ad alta voce in un impeto di dolore iroso. - Questo fanciullo mi troppi pensieri. È ridicolo soffrire tanto per il figlio degli altri, e val meglio lasciarlo alla sua sorte.

Fece il viso oscuro e risoluto, sapendo benissimo che giuocava a mentire con stessa; e udendo che la cameriera chiedeva di entrare, lasciò le lettere delle due amiche sulla coltre leggera, e nascose l'altra sotto il guanciale.

- La signora, - disse la cameriera, - prega la signorina di non far tardi, perchè a mezzogiorno sono attesi a villa Barbano.

Nicla sospirò.

Ma non appena la cameriera fu uscita, balzò dal letto e infilò l'accappatoio.

Bisognava sbrigarsi; far due passi in attesa che la mamma fosse pronta, e arrivar fino alla buca delle lettere.

Scrisse in fretta, per la prima volta in sua vita, di nascosto, con un batticuore che le sollevava il petto.

 

«Caro piccolo Bruno,

 

«Sono contenta che stai bene. Il vetturale mi ha detto di aspettarti. Io ti aspetterò sempre. Sta lontano dai pericoli, dall'acqua, dalle vetture, dai cavalli. Voglio che tu sia savio e bello, come quando andavamo a vedere il tramonto e tu ascoltavi la poesia, e poi giocavamo al cavallo e al bastimento. Mandami presto tue notizie, per sapere dove sei....»

S'interruppe: aveva udito qualcuno rasentar l'uscio; nascose la lettera e si mise in ascolto. Il passo della cameriera si allontanava.

Nicla riprese:

«....dove sei. Ti prego di ringraziare il signor Conte e di presentargli i miei saluti. Non ti dimenticare della tua

Nicla».

 

Scrisse l'indirizzo: al signor Conte Brunello di San Pietro, e vi aggiunse il nome dell'albergo e della città, copiandoli dalla lettera del conte Fabiano.

Respirò: aveva riallacciato le fila interrotte dal destino avverso; ormai nessuno avrebbe potuto mai più spezzarle.

Tre quarti d'ora appresso andava a salutare sua madre che stava ancora innanzi allo specchio facendosi pettinare; e usciva poco di poi, accarezzando nella borsa che le pendeva dal braccio la lettera segreta.

- Bisogna confessare, - pensò, - che v'è un certo piacere a ingannare la gente. Non mi sono mai tanto divertita a impostare una lettera.

Costeggiando la riva, osservò che i barcaiuoli approntavano la lancia e issavano a poppa la bandiera bianca col serpentello vermiglio.

- No, - disse loro, - mettete la bandiera grande.

Quella sua bandiera aveva sventolato l'ultima volta per Bruno, a fianco della bandierina con l'asinello che il fanciullo andava guardando per intendere bene che c'era molta forza nei calci.

E Nicla voleva che non sventolasse più.

Entrata nell'ufficio della posta, comperò dieci francobolli, per l'avvenire. Poi, affrancata la lettera, la gettò nella buca.

Ma subito le traversò l'anima un'inquietudine.

Non era stato un errore scrivere a Bruno invece che a suo padre? Che cosa avrebbe questi potuto pensare? Si sarebbe offeso come d'una mancanza di riguardo, avrebbe creduto a una sciocca civetteria femminile?

- Oh, - disse a medesima, alzando le spalle. - Io avevo voglia di corrispondere col mio uomo e di parlargli direttamente per fargli piacere. Il conte Fabiano è intelligente e capirà. È scappato di qui per non pagar la cambiale e ha già scovato anche il denaro per andare a divertirsi. Dunque è intelligente.... Povero piccolo, il mio Bruno! Con quel papà intelligente, non troverà più un soldo quando sarà grande, e dovrà lavorare per vivere!

E ricordò ch'egli voleva scrivere le memorie di viaggio e guidare i cavalli.

- Bisognerà che si decida tra il cocchiere e il letterato! - concluse sorridendo.

Ma la risposta di Bruno tardò quattro giorni; infine giunse dentro una busta col francobollo del Principato di Monaco; e diceva:

 

«Cara Nicla,

 

«Io son qui con il papà a Monte Carlo. Non a voluto ricondurmi sul lago perchè dice che il mare mi fa più bene, ma io sono maninconico ed egli è allegro perchè habbiamo tanto e poi tanto denaro e il papà è fortunato. Io volio ritornare; io ti scrivo per dirti che volio ritornare; non mancare di scrivermi per dirmi che mi aspetti sempre sempre. E sono molto savio. Il papà mi avverte che partiremo per andare ancora lontano. Ti volio molto bene lo sai più bene che a tutti al mondo. Io sono sempre maninconico senza di te. Addio. Ti do tanti baci grandi. Ti dico che ti volio bene e bisogna2 che io torni per darti i baci ma davvero. Tuo

 

«Brunello

 

 

 





2 Nell'originale "bisonga". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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