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XXI.
Il professore Salapolli con molte circonlocuzioni e con un discreto timore, interrogò Bruno intorno al libro che intendeva scrivere.
Gli pareva che da quando era arrivato a Milano, il giovane fosse irrequieto. A Roma, dove aveva seguito per quattro anni i corsi universitarii, scegliendoli tra le materie che più lo interessavano, era attivo e pertinace nel suo studio. A Milano si distraeva, stava quasi l'intero giorno assente, un poco per rivedere la città, molto per vivere accanto a Nicla. E del libro non diceva più parola, quasi l'avesse dimenticato.
Il Salapolli passava gran parte della giornata in biblioteca e solo, perchè al secondo piano c'era un pandemonio, un disordine, un viavai di visite, che gli rammentavano i peggiori tempi di Vienna e di Berlino. Come allora, la contessa non si stancava mai di ricevere; come allora, faceva attaccare i cavalli da un istante all'altro, e usciva. Si faceva colazione e si pranzava quando si poteva; e sempre c'erano invitati. Il cuoco, il cocchiere, la cameriera, il portiere, tutti si lagnavano. L'instabilità della contessa, il suo dire e disdire, la vertiginosa attività che pretendeva, eran causa che ad ogni poco i domestici si licenziassero, se non li licenziava ella medesima per un nonnulla.
Era il regno del capriccio: i fornitori portavano in casa oggetti svariati ch'ella degnava appena d'uno sguardo e che aveva comperato in tutta furia un'ora prima, quasi non avesse potuto viverne senza. Le era accaduto di regalar cappelli, vesti, scarpe, calze alla cameriera, alla manicure, alla prima donnaccola che le capitava tra i piedi, senza aver nulla indossato, tutta roba nuova di trinca: aveva visto di meglio; aveva pensato a un'altra foggia o a un altro colore.
A tavola, tra gli amici e le amiche, in una società elegante, scintillava di spirito e di grazia; era affascinante a dispetto delle pitture che si metteva sul viso e dei capelli d'oro. Non si sapeva comprendere come una donna intelligente e arguta qual'era si lasciasse abbindolare da tutti i venditori di cosmetici portentosi e di acque vivificanti.
Non ne aveva alcun bisogno: la figura elastica, ancora bellissima, e lo spirito indiavolato le davan tutte le vittorie che poteva desiderare; aveva ai piedi giovani dell'età di suo figlio e uomini maturi. Il professore Salapolli, il quale, per desiderio di Bruno, sedeva a colazione e a pranzo con quei signori, e sebbene si studiasse di tenersi in disparte, era trattato alla pari, vedeva che la contessa quasi ogni giorno aggiogava qualcuno al suo carro; e col dovuto rispetto pensava che lo schiavo non avrebbe avuto a sospirare molto.
Il solo che passava imperturbabile tra quel frastuono era Bruno; abituato al rumore dalla nascita, non si stupiva di nulla, nè che si pranzasse alle dieci di sera, nè che si cenasse al tocco dopo la mezzanotte, nè che la brigata intera corresse a una trattoria invece di far colazione in casa. Aveva già visto tutto ciò con suo padre a Parigi e a Bruxelles, con sua madre a Vienna e a Berlino. Non se ne annoiava e non se ne divertiva; prendeva parte a quel bulichìo come un uomo stretto e trascinato dalla folla. Aveva in breve conosciuto tanta gente, che non ne rammentava nemmeno il nome, e se gli avveniva d'esser salutato per via da persona che non ravvisava subito, pensava fosse un amico della mamma, un frequentatore della casa.
La sensazione delle porte e delle finestre spalancate, l'imagine del vento che soffiava da tutte le parti involando il danaro, gli erano abituali.... La sola cosa che lo stupiva un poco, si era che il patrimonio resistesse ancora e che sua madre non si accorgesse della rovina imminente.
Spensierata e generosa, ella pareva invasa dalla furia di distruggere i resti d'una fortuna cospicua, di due fortune cospicue, quella del conte e la sua. Faceva la beneficenza nella maniera più impreveduta, regalando cento lire al primo cencioso che batteva alla porta, mandando mille lire a un comitato che ne chiedeva cinquanta, non per vanità nè per grandezza, ma perchè le cinquanta e le mille valevano lo stesso ai suoi occhi.
Bruno lasciava fare. Egli possedeva ancora il fondo della Tralda, di cui ritirava esattamente il reddito di ottomila lire l'anno: e lo avrebbe difeso a prezzo del suo sangue, perchè quella somma occorreva ad assicurare il trattamento di suo padre nella casa di salute.
Messo il papà al sicuro, non si occupava d'altro. La famiglia Traldi di San Pietro gli aveva fatto intendere, appena tornato a Roma, che avrebbe avuto tutto ciò che poteva desiderare, se avesse abbracciato la carriera ecclesiastica, aggiungendo che il suo nome e più il suo talento precoce e straordinario gli assicuravano un avvenire impareggiabile.
Rimasti senza risposta, gli zii Guido e Giovanni - la nonna era morta poco dopo Francesco - gli avevano mandato il notaio Alemanni5 in persona a trattare e a circuirlo; ma nel ragazzo che contava allora diciassette anni, il notaio riconobbe il bambino che gli aveva detto: «Tu non sai niente; porta il denaro, e non perder tempo!».
Il ragazzo lo aveva lasciato parlare e poi lo aveva garbatamente messo alla porta; onde gli zii Guido e Giovanni avevano subito disposto perchè il loro patrimonio andasse intero a opere di beneficenza e ad istituti di religione, tolto un lauto reddito per il notaio fedele. Non v'era dunque speranza; gli ultimi danari che la contessa Clara Dolores sgretolava sotto i denti ancora bianchissimi, eran veramente gli ultimi.
Bruno lo sapeva e rimaneva indifferente.
- Si può sapere, caro conte, - disse il professore Salapolli, - come vanno i suoi studii?
- Lo vedi, - rispose Bruno. - Non ho trovato ancora l'ubi consistam.
Erano nella biblioteca, nella quale il Salapolli si teneva al riparo dalla babele del secondo piano; e accarezzando la barbetta aguzza, osservava Bruno, dicendosi che smagriva e impallidiva e che doveva aver qualche nuovo demonio in cuore.
E pensava alla signora Nicoletta, alla Nicla famosa, e si stupiva, nella sua inesperienza da topo di biblioteca, che la bella donna esitasse ancora a far contento il bel ragazzo.
- No, - egli riprese. - Intendo parlare del suo libro, caro conte, di quel libro, sa?...
- Eh, che vuoi? Ci penso! - rispose Bruno. - Io voglio farne un poema di speranza e di gioia; e,dalla penna non mi stilla che amaro. Già tre volte ho cominciato, e già tre volte ho dovuto smettere.
- Questo non è degno di lei! - obiettò il Salapolli con franchezza.
- Come! - esclamò Bruno sorpreso.
- Ripeto: non è degno di lei! - insistette il Salapolli Ostinato. - Perchè scrivere un poema con un preconcetto? perchè voler che esso dica la gioia e la speranza?... Dica ciò che sente! La penna stilla amaro? E lei scriva amaro! La penna stilla dolce? E lei scriva dolce.... In ogni modo, non scriva falso...! È il grande precetto oraziano.
- Ah, caro Pantalone! - esclamò Bruno. - Se versassi in un libro metà del veleno che ho in cuore, avvelenerei mezzo mondo.
- E tanto peggio per il mondo! - fece il Salapolli, alzando le spalle. - Un capolavoro vale il mondo intero.
- Su, su, vecchio matto! - -disse Bruno ridendo. - Tu mi credi capace di scrivere un capolavoro?...
Il Salapolli squadrò il suo allievo, pallido e nervoso, che sembrava divorato da un fuoco interno.
Quindi, arricciando la punta della barba intorno all'indice destro, soggiunse:
- Tutti i capolavori sono nati dalla passione; l'odio, l'ira, lo sdegno, hanno creati i capolavori; la gioia non ha mai creato nulla!
- È ardito ciò che dici! - osservò Bruno.
- Non lo dico io: lo dice la storia di tutte le letterature.
- Talchè, la disperazione potrebbe produrre il capolavoro?
- Andiamo, pagliaccio! E il Don Chisciotte, e il Decamerone, e il Canzoniere, da quale odio son nati?
- Ma il genio di tutti i genii non ha scritto l'Inferno per odio e per vendetta, per ira e per isdegno? Ma nello Shakespeare, dall'Otello all'Amleto, non sente il turbine di tutte le passioni? E la disperazione non ci ha dato il Werther? Mediti ciò che le dice un uomo, il quale non s'intende di nulla, fuor che di libri; se ha veleno nel cuore, lo lasci libero; sarà fecondo!
Bruno crollò il capo ridendo e parlò d'altro.
Ma gli parve molto strano che in quei giorni anche Clara Dolores gli tenesse parola del libro.
Ella sapeva da tempo che il figlio aveva un'inclinazione spiccata per la letteratura e andava preparando la sua prima opera; e gliene chiese notizie.
- Nulla di buono, nulla di pronto, cara mamma! - rispose.
- Io volevo dirti.... - seguitò sua madre.
Ma guardando il figliuolo che fumava una sigaretta, seduto in un angolo del salotto finalmente ordinato, non osò proseguire.
- Volevi dirmi? Hai paura di dir qualche cosa a tuo figlio? - interrogò Bruno.
- Ho paura di farti dispiacere....
- Coraggio, mamma! - fece il giovane ridendo.
- Ebbene, volevo dirti che disapprovo le tue intenzioni, che se potessi, contrasterei il tuo desiderio di darti alla letteratura.
Egli fece quella esclamazione con accento di meraviglia sincera; e interrogava attonito il volto di sua madre. La prima opposizione alle sue più dilette cure gli veniva da una madre, la quale non s'era mai altrimenti occupata di lui.
- Sì, - riprese la contessa. - Io avrei voluto che tu ti dessi al commercio o all'industria, che tu entrassi, per esempio, in una Banca....
- Ma è impossibile, cara mamma! - esclamò Bruno. - La mia coltura non è fatta per ciò; la conoscenza del latino e dei classici è assolutamente inutile per le Banche. Non è che io tenga in poco conto il commercio e l'industria; si è che son nato ad altro, e son preparato per altro.
- Giovane come sei e col tuo ingegno, in breve tempo ti faresti la coltura necessaria per una professione più pratica! - ribattè la contessa.
- T'inganni. Non avendo alcuna passione per il commercio, non vi apporterei nulla, - rispose Bruno. - E resterei sempre tra gli ultimi.
La contessa tacque un istante, quasi cercasse argomentazioni più decise.
- Si è che, - ripigliò quindi, - si è che la letteratura non ti darà altro che fumo. Tu hai bisogno d'una posizione indipendente, e i poemi e i romanzi e tutte le forme di letteratura non riusciranno a fartela. Se non avrai danaro tuo, stenterai la vita. Un poema, oggi, non si paga nemmeno: un romanzo si paga poco, e può costarti un anno, due, tre, di lavoro e di fatica. Hai scelto una carriera alla quale occorrono non soltanto qualità d'ingegno, ma qualità di carattere che s'avvicinano a quelle d'un apostolo o d'un martire....
- Mamma, - interruppe tranquillamente Bruno, - queste idee non sono tue.
- Lo confesso, - rispose Clara Dolores. - Non ho sufficiente esperienza della vita letteraria per giudicarla con sicurezza. Sono idee degli amici coi quali ho parlato di te e ai quali ho chiesto qualche consiglio....
- Duccio Massenti! - ripetè Bruno. - È lui che ti consiglia a contrastar la mia strada e a spingermi verso una Banca, presso la quale sarei e resterei l'ultimo degli impiegati?
Si fermò innanzi alla contessa che stava seduta in una larga poltrona, l'oro del cui arco superiore si confondeva con l'oro della chioma. La signora volgeva a suo figlio uno sguardo di muto stupore.
- Vedo che non capisci, - disse Bruno, - ed è naturale. Io non ti ho mai detto che Duccio Massenti lo conosco da dodici anni e lo rammento benissimo. Era sul lago lo stesso giorno e la stessa ora in cui tu sei venuta a trovarmi; è ripartito per Sonnenberg, dove tu villeggiavi, ventiquattr'ore dopo la tua partenza. A Sonnenberg tu eri con lui.
La contessa fece un gesto, ma Bruno proseguì subito:
- Tutto ciò non mi riguarda, sono io il primo a riconoscerlo. Non alzo gli occhi su mia madre, della quale devo avere ed ho il più vivo rispetto. Tutto ciò non mi riguarda!
Si fermò un poco, con la sigaretta che fumava tra l'indice e il medio della destra.
- Tornato qui, - riprese, - ho incontrato di nuovo Duccio Massenti come amico di casa e consigliere. Sta bene. Egli non ha detto nulla ed io non ho detto nulla della nostra antica conoscenza e di una gita in barca, durante la quale io, fanciullo innocente, ho scoperta la trama ch'egli andava tessendo.
S'interruppe ancora; quindi con voce secca e metallica, una voce diversa da quella con cui parlava abitualmente a sua madre, seguitò:
- Ma occorre che tu lo avverta di star quatto e di non dare consigli sopra un argomento così geloso come è la mia carriera. Bisogna ch'egli non si occupi assolutamente di me, se vuole che io non mi occupi assolutamente di lui. Tu capisci, mamma, che si tratta d'una vera necessità. Può consigliare chiunque sopra qualunque cosa, non me sopra la letteratura o il commercio. Mi ha già fatto male. Non me ne faccia altro!
Ripetè con la voce stridente e un lampo negli occhi:
- Non me ne faccia altro!...
- Io non sapevo nulla di tutto questo! - mormorò la contessa.
Bruno si piegò, le baciò la destra, e con voce carezzevole soggiunse:
- Hai ragione, povera mamma; tu non sapevi nulla, e ti chiedo scusa d'aver parlato con qualche vivacità. Ma Duccio Massenti sa tutto, e deve guardarsi.
Dopo quel colloquio, Clara Dolores non parlò più a suo figlio di letteratura; ma Bruno s'accorse che Duccio Massenti era scomparso. A qualunque ora egli salisse da sua madre, a tutti i ricevimenti, a tutti i pranzi, a tutte le gite di piacere, non gli avveniva mai d'incontrar Duccio Massenti.
Bruno pensò che sua madre lo avesse messo alla porta, dopo una spiegazione; e non era lontano dal vero.
L'accenno alla conoscenza di dodici anni prima e alla gita in barca avevan posto la contessa sopra una traccia; e non le era stato difficile andar fino al fondo. Duccio Massenti era stato il suo primo fallo, ed egli lo sapeva; e sapendolo contava d'abbandonarla alla lesta per contrarre un ricco matrimonio. La contessa pensava mortificata che la signorina Dossena doveva aver capito tutto, e che in quell'episodio singolare stava la ragione misteriosa per la quale il matrimonio con Duccio Massenti era sfumato, e poco tempo di poi la signorina sposava Gigi Barbano, contro l'aspettazione di tutti.
Il cinismo di Duccio, l'offesa fatta a lei e a Nicoletta, le parvero mostruosi; e chiamato in fretta Duccio Massenti dopo il colloquio con Bruno, e strettolo di brevi domande sicure, lo aveva cacciato di casa, in un impeto di furia irrefrenabile.