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In principio di quella estate, Bruno andò a Parigi a trovare suo padre.
Vi andava ogni anno, almeno un paio di volte: e per l'effetto, quelle visite eran più inutili, e per l'impressione più disperate che la visita a una tomba.
Bruno ne tornava sempre col cuore affranto.
Suo padre, ch'egli amava con tenerezza infinita, non lo guardava; o lo guardava ora con occhio stupido, ora con occhio torbido. La bocca che tanto aveva riso e sorriso, che aveva saputo dir frasi di sottile arguzia e amabili parole, era aperta a un ringhio di minaccia o a un riso ebete. L'affascinante conte Fabiano, il quale aveva attraversato mezza Europa in un'affannosa ricerca del piacere, seminando il denaro e facendo tutti allegri quelli che lo avvicinavano, perchè gli era intollerabile vedersi intorno visi scorati o smorfie d'angustia, non era più se non una rovina. Il volto solcato da rughe mordenti, i capelli bianchi, la barba bianca scomposta, la schiena curva innanzi tempo, davan l'imagine della decrepitezza; le mani stesse eran secche e gonfie di grosse vene; e i denti eran caduti tutti.
Bruno lo chiamava, gli si metteva innanzi, lo accarezzava, cercava rammentargli nomi e cose d'un giorno; la mamma, Villa Florida, il vecchio Elia Polacco, la sua amica Paulette Demours, Parigi, lo zio Francesco, Nicla, Salapolli detto Salafame. Invano: era come gridar dentro un pozzo senza eco.
Non rispondeva nemmeno al suo nome; si lasciava scuotere, e rimaneva insensibile.
Nulla era più spaventevole di quello sguardo aperto sul vuoto, di quello sguardo che non vedeva.
Dopo lunghi sforzi, con lagrime silenziose che gli rigavano il volto, Brunello si ritraeva, senza chiedere notizie ai medici. Ciò che aveva visto diceva meglio di qualsiasi parola ciò che si poteva attendere.
Da Parigi scrisse a Nicla una lunga lettera di dolore.
Nicla, ch'era già in villa, rispose una lunga lettera di passione. Supplicava Bruno d'andare in campagna, direttamente al ritorno da Parigi; avrebbe riposato là, avrebbe trovato memorie care; tutti sarebbero stati felici di rivederlo, anche il vecchio buon vetturale.
Bruno tornò da Parigi, ma tornò a casa sua.
Un sordo inesplicabile presentimento lo teneva lontano dalla campagna e da Nicla, sebbene desiderasse, anzi forse perchè desiderava appassionatamente l'una e l'altra.
Ormai egli a Nicla e Nicla a lui s'eran confessati: si amavano.
E dover vivere sotto il medesimo tetto, passare la notte in camere forse vicine, essere martoriati di continuo dal desiderio ed eccitati senza posa da incantevoli ricordi, gli pareva supplizio da fiaccar le forze del più tenace lottatore.
Nicla nella sua inesperienza poteva illudersi; egli non s'illudeva affatto.
E perchè cercare volontariamente e deliberatamente un martirio inutile? Perchè sfidare il pericolo?
Talora si diceva che non era umano lottar con sì ostinata costanza; meglio valeva lasciarsi travolgere dalla passione, correre da Nicla, suggellarle la bocca con la bocca, perdersi per sempre in un delirio senza nome e senza fine.
Egli non aveva mai conosciuto la felicità; la felicità era Nicla, che pareva gelida e ardeva; la felicità era Nicla, così sua, così legata a lui con tutte le più dolorose fibre dell'anima, che ella gli avrebbe dato amore e vita e passione, in un grande inenarrabile empito di gioia. Meglio era amarsi per un'ora sola, suprema, e poi morire.
Ma quando pensava in tal modo, e il sangue gli martellava nei polsi col furore dissennato dei suoi vent'anni, gli si faceva tosto innanzi l'imagine di Gigi Barbano.
Gigi Barbano gli aveva gettato le braccia al collo e gli aveva detto: «Tu sei un fratello, e ti accolgo come un fratello!». E a Nicla aveva detto: «Mi fido!».
Nè mai per un solo istante, per un solo attimo, aveva mentito alla sua parola. Nulla gli era più caro che aver Brunello alla sua mensa; nulla gli era più caro che parlar con Brunello; spesse volte gli aveva detto parole di conforto, animandolo a lavorare, a dar prova di volontà e d'energia; con tatto squisito chiedeva sovente notizie di suo padre; e rievocava il passato di Brunello e la vita sul lago e i giuochi e le corse nel bosco con Nicla.
Non era possibile ingannare un tale uomo. Nicla aveva ragione. Valeva meglio morire.
Gigi Barbano aveva ricevuto parecchie lettere anonime; Nicla lo aveva capito dall'insistenza di certune col francobollo di città e con calligrafia alterata, che per maggior sicurezza erano indirizzate a casa invece che allo stabilimento. Lo insultavano? Lo aizzavano? Lo beffavano? Venivano da donne o invidiose di Nicla o desiderose di strappar Bruno al fascino di lei e di impossessarsene.
Gigi aveva avuta la forza magnifica di non curarsene. Non gli importava nulla della opinione pubblica, nè di parer ciò che non era: sapeva di non essere. E non domandava nemmeno se e quando e quanto era stato Brunello. Aveva detto «Mi fido». Si fidava. Aveva detto «Sei un fratello». Era un fratello. Meglio morire che ingannare un tale uomo!
Per tutto questo, Brunello era tornato direttamente a Milano.
Quantunque l'estate affocasse le strade e le case della città, Clara Dolores v'era ancora.
Stava scegliendo la sua campagna e aveva fatto più disegni: la Svizzera o il Cadore, un viaggio al nord o una crociera nei mari d'Oriente. I bauli eran chiusi da tempo; ma avendo bisogno ora d'un abito, ora d'un paio di guanti, li faceva aprire, gettava tutto all'aria, e lasciava che la cameriera si rimettesse a ordinarli, fin che l'indomani non fosse venuta di nuovo la necessità d'aprirli e di scompigliarli.
- Sono una scervellata, non è vero? - diceva a Maritza la governante.
- La signora contessa è padrona! - rispondeva Maritza.
Ella era secca a guisa d'uno stoccafisso, e più indifferente che una orientale fatalista; non diceva che la contessa non fosse una scervellata; soltanto, essendo padrona, poteva essere scervellata a piacer suo, e nessuno aveva diritto a contrastarla.
Clara Dolores aveva trovato a Milano ancora un manipolo di signore e di signori che vi si trattenevano per gli esami dei figliuoli o per ragioni d'affari; e con quelli si divertiva a fare scampagnate nei dintorni e a inventare ogni giorno un pretesto urgente per muoversi e muovere con lei tutta la brigata. Bruno le aveva consigliato di prendere una automobile.
Ella respingeva il consiglio con orrore.
- Nulla di più borghese e di più ridicolo che un'automobile!
- Ma, - osservò Bruno, - quando si fanno come te gite di venti e trenta chilometri, l'automobile è comoda.
- Una pariglia è ugualmente comoda! - ribattè la contessa.
- Bisognerebbe domandarlo ai cavalli! Tu li ammazzi!
- Domattina andiamo a far colazione fuori! - disse Clara Dolores per tutta risposta. - Verrai anche tu?
E l'indomani mattina, nel cortile di via Meravigli, tre carrozze aspettavano; il paniere di vimini della contessa con due sauri poderosi, e due vetture scoperte con pariglie di bai.
Tutta una comitiva di dodici persone scendeva per le scale, uomini e donne con abiti chiari, chiacchierando e ridendo; i domestici seguivano con le ceste perchè la colazione si faceva all'aria aperta, in piena campagna.
Bruno che precedeva, scorse nel vestibolo un signore, il quale parlava col portiere; e questi a capo scoperto gli dava indicazioni. Era Gigi Barbano.
- Gigi! - esclamò Bruno, correndogli incontro gioiosamente. - Cerchi di me?
- Sì, - rispose Gigi, stringendo la mano al giovane. - Mi dispiace di giungere in momento così inopportuno!
- Che, che! Rinunzio subito alla gita; farò colazione con te. Vieni, che ti presento a mia madre.
La contessa stava nel mezzo d'un crocchio e assegnava i posti, con una certa abile malizia perchè tutti si trovassero appaiati opportunamente; e faceva i nomi delle coppie, che si presentavano, salutavano e sorridevano.
- Che intelligenza! - borbottò un giovane vestito di bianco. - Come ha fatto a comprendere che io non posso vedere la contessa Sbrùgola e l'ha ficcata nell'altra carrozza?
- Caro? - disse Clara Dolores, allontanandosi un istante dai suoi ospiti.
- Permettimi di presentarti il mio amico Gigi Barbano.
- Oh, ne ho molto piacere! - esclamò la contessa, stendendo a Gigi la destra, ch'egli baciò. - Io ho conosciuto la sua signora quand'era signorina Dossena; e non l'ho più dimenticata, tanto era bella e gentile....
- La ringrazio! - disse Gigi inchinandosi.
- Oggi deve essere un fiore! - seguitò la contessa. - La rivedrei volontieri.
- Ma Nicoletta sarà felice di venire a presentarle i suoi ossequi, - rispose Gigi, - non appena sarà di ritorno dalla campagna.
- Lei mi permette, non è vero? - soggiunse la contessa, indicando con gli occhi i suoi ospiti.
- Vada, vada, contessa! - esclamò Gigi, inchinandosi e baciandole di nuovo la destra. - La prego!
- Mamma, io rimango! - annunziò Bruno.
- Naturalmente! - rispose Clara Dolores.
Gigi la vide allontanarsi, rientrar nel crocchio, dare ordini ai domestici, sorridere agli amici, osservar che tutto fosse ben disposto: salire infine nella sua carrozza e guardarsi ancora in giro per l'ultima occhiata.
- Che brio! - esclamò Gigi. - Che grazia!
- È la sua vita! - osservò Bruno. - Se non ha una brigata da comandare e un po' di fracasso intorno, sta male.
Assistettero alla sfilata delle carrozze, che passavano sotto l'atrio con fragore di zoccoli ferrati; e salutarono.
- Hai da parlarmi? Vieni su!
Lo fece salire al primo piano e lo introdusse nello studio.
Era una camera quadrata, con tappezzeria d'un colore bigio a righe verticali; sulle pareti alcune vecchie stampe inglesi in cornici sottili di mogano e un quadretto, una testa di donna della scuola del Rembrandt. Pochi mobili, di forma semplice; sulla tavola da lavoro, in un angolo, una stupenda riproduzione della Giuditta del Botticelli; presso la tavola, una piccola biblioteca girevole in cui erano adunati libri di consultazione e autori prediletti. Unico lusso, una grande larga poltrona di cuoio, nella quale Bruno si stendeva qualche volta a fumare.
Volle che Gigi prendesse posto in quella poltrona.
- Ma no, caro Brunello! - rispose Gigi sorridendo. - Nulla di grave. Son venuto a prenderti....
- A prendermi?
- Sì. Perchè non vuoi venire in campagna? Io ti ho invitato più volte; Nicoletta ti ha scritto a Parigi.... Come hai trovato tuo padre?
Bruno non rispose, ma i suoi occhi s'infoscarono.
- È triste, è orribilmente triste! - esclamò Gigi che aveva compreso. - Tu hai bisogno di distrarti; e per ciò ti abbiamo pregato e ripregato di venir da noi.... Forse ci tieni il broncio per qualche ragione che non sappiamo.
- Oh, amico mio! - disse Bruno, afferrando la mano di Gigi. - Il broncio con te, con voi?
Si alzò e si mise a passeggiare inquieto.
- Non so che cosa mi tenga lontano! - soggiunse, fermandosi d'un tratto innanzi a Gigi. - Mi pare che quella campagna, che mi è stata tanto cara, sia ora tutta lagrime; mi pare ch'io debba piangervi e disperarmi! Troppi ricordi felici contrastano col presente! Vedi: tu hai ammirato mia madre per la grazia ed il brio. È una donna straordinaria; è la sola persona che invidio; trova dentro di sè una energia e una volontà che mi sbalordiscono ogni giorno come un nuovo miracolo. Io non trovo nulla.
- Tu troveresti nel lavoro quel che cerchi! - rispose Gigi. - Ma lavorare non vuoi!...
- Non voglio? - ripetè Bruno. - Vorrei! Soltanto, ho nel cuore un tale frastuono....
S'interruppe; qualcuno batteva all'uscio.
Il professore Salapolli varcò la soglia, ma vedendo uno sconosciuto, si ritrasse.
- Vieni, vieni! - gridò Bruno. - Vieni che ti presento!
- È il mio vecchio maestro, Salapolli!
Il vecchio inoltrò, e Gigi gli strinse vigorosamente la mano.
- Mi aiuti, - disse. - Sto pregando Bruno di lasciar per qualche tempo questa città infocata e di venir da noi in campagna. Forse gli gioverà anche pel suo lavoro.
- Ma senza dubbio! - esclamò il Salapolli, deponendo la posta sulla tavola. - Il signor conte verrà!...
- Come promettete sicuro per gli altri! - osservò.
- E dove vuol vivere meglio che in campagna, - ribattè il Salapolli, - meglio che in casa Barbano, tra amici fidati? Che cosa fa qui, se non passeggiare nervosamente nel suo studio e nella biblioteca l'intero giorno? Dicono che i vecchi sono ostinati; eppure tra il signor conte e me, il più ostinato è ancora lui!
- Vada, vada! - insistette il Salapolli. - Lei che è tanto cortese, non si faccia pregare!... E poi, già, devo confessarle che lei m'ingombra....
- Ti pare che sia abbastanza insolente? - disse Bruno a Gigi, ridendo.
- Io voglio cambiar l'ordine della biblioteca, - seguitò il Salapolli, - e con l'aiuto d'un domestico, in pochi giorni le faccio trovare qualche cosa di nuovo. La libreria antiquaria da una parte; i classici dall'altra; i moderni in una terza.... Ho già pensato.... Ma se sta qui, non farò nulla, perchè non voglio che mangi polvere.
- E tu non la mangi? - osservò Bruno.
- Io non ho mangiato altro in tutta la mia vita! - disse il Salapolli. - E la polvere dei libri mi fa bene!...
Bruno esitava, combattuto tra il timore di ritornare a quei luoghi e il desiderio di non essere scortese: il bisogno di riveder Nicla, di udirne la voce, d'ammirarne gli occhi e la bocca, di lasciarsi cullar dalla sua voce, gli bruciava le vene.
Gigi Barbano diede l'ultimo colpo.
- È deciso, allora? - disse a maniera di conclusione. - Troverai in villa anche la zia, che non conosci. La zia Amelia ha udito parlar tanto spesso di te, che desidera vederti. E nessuno ti lega; prova. Starai un giorno, due, tre; e se non ti troverai a tuo agio, scapperai subito! Non ti sembra?... Starai sette giorni, ecco: sette giorni....
Il vecchio Salapolli borbottò tra i denti:
- Sette giorni! «Sette paia di scarpe ho consumate - Di tutto ferro per te ritrovare».
- È inteso! - disse Bruno, stendendo la mano all'amico. - Sarò da voi domani!...
E quando egli ebbe varcata la soglia. Bruno si volse al Salapolli, e gli annunziò:
- Domani! Vado da Nicla domani. Hai capito? Tu credi ch'io sarò felice?
- Sarà felice lei e sarà felice la signora! - rispose il Salapolli.
E finì lo stornello, ch'egli aveva le mille volte cantato a Bruno quand'era bambino a Parigi:
- «Tu dormi alle mie grida disperate - E il gallo canta e non ti vuoi svegliare!».
- Silenzio! - interruppe Bruno, scosso da un brivido subitaneo.