Luciano Zuccoli
La freccia nel fianco

SECONDA PARTE.   Io coglierņ per te balsami arcani....

XXIV.

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XXIV.

 

Quando la zia Amelia, una vecchietta di circa settant'anni che si appoggiava a un bastoncino d'ebano per civetteria perchè non ne aveva alcun bisogno, vide Brunello balzar dalla vettura del treno, esclamò:

- Che bel ragazzo!

Nicla celò il volto in un mazzo di rose perchè gli altri non s'accorgessero che arrossiva.

Erano andati tutti incontro a Brunello con la carrozza; dalla stazione alla villa v'eran cinque minuti di strada in discesa.

- Una valigia così piccola? - osservò Gigi, guardando la valigia che il giovane aveva affidato al domestico.

- Per sette giorni, - rispose Bruno sorridendo. - Ma a Milano è pronto un baule.

Baciò la mano alla vecchia signora e a Nicla, i cui occhi parevano più grandi nella gioia.

E salirono in carrozza

- Tutti mi hanno parlato di te, - disse la zia Amelia a Bruno. - Tu mi permetti di darti del tu? Io posso essere la nonna! E mi dicevano che sei bravo e gentile e colto.... Ma come sei fine! Un poco magro; a vent'anni il sangue arde e smagrisce.... Sei un bel ragazzo, d'una gentile bellezza!...

- Zia, - interruppe Nicla, - egli crederà che tu voglia sedurlo....

La vecchia rise.

- Lasciami direi - esclamò. - Poter dire ciò che si pensa è il solo privilegio della vecchiaia!

- Abbiam dovuto mandare a prenderlo! - osservò Nicla. - Egli non ci voleva più, non ci amava più!...

Nicla era tutta vestita di bianco, e attraverso una camicetta leggera trasparivano la sommità del petto e le braccia arse dal sole, dorate dalla luce violenta.

Bruno la guardava.

Egli l'aveva vista così, già molti anni addietro; e nella svelta linea della figura, nella freschezza delle carni, nella limpidezza dello sguardo pareva ch'ella contasse ancora diciotto anni; perdendo l'impaccio timido della fanciulla, aveva acquistato splendore e flessuosità.

Quando furono alla villa, Gigi disse a Bruno:

- Spero che non ti annoierai. Ritroverai qui tutta la tua vita di ieri. E farai venire subito il baule.

Bruno sorrise.

Aveva visto, aveva sentito venirgli incontro un mondo di ricordi che lo agitavano e lo portavano lontano; la strada gli era nota. Dalla finestra della sua camera si scorgeva la spiaggia; e più , a oriente, la villa Carlotta, e poi la villa Florida; dalla torretta dell'una e dal frontone dell'altra sventolava la bandiera.

Mutò d'abito, si vestì di bianco.

La colazione fu rapida. Nicla non parlava, e Bruno scoperse più volte su di gli sguardi di lei, che gli dicevano un sentimento, una felicità, la quale avrebbe cercato invano lo parole.

Fortunatamente la zia Amelia lo interrogava ed egli raccontava con brio febbrile ciò che aveva visto a Parigi; perchè Parigi era stato sempre il grande sogno d'Amelia, la città incantata nella quale non era mai riuscita a mettere piede. Ed ella ascoltava avida, come s'egli le avesse avvicinato il sogno, e presala per mano l'accompagnasse per vie rombanti.

Dopo colazione, subito, Nicla balzò in piedi dicendo:

- Andiamo! Ho fatto preparare la barca! Andiamo alla Croda.

E volgendosi a Gigi e a zia Amelia, soggiunse tranquilla:

- Lo porto via!... Sapete ch'egli mi appartiene!

- Andate, andate! - fece Gigi sorridendo. - Non volete prendere il bastimentino sotto il braccio?

Brunello era pallido e sentiva il cuore battere in tumulto.

Uscirono, e non dissero parola.

La barca era approntata in quel punto della riva in cui Brunello s'incontrava sempre con Nicla. Due barcaiuoli appoggiati al loro remo aspettavano; a poppa sventolava la bandiera di seta tutta bianca, col serpentello vermiglio raggomitolato in un angolo.

- Vedi? - mormorò Nicla

Brunello accennò col capo; non poteva parlare.

- La barca non è più quella, - soggiunse Nicla. - Ma è identica all'altra. Non è vero?

Egli osservò una lancia vicina, sottile e così bassa di bordo, che s'alzava appena un palmo dall'acqua; tutta nera, col nome in lettere d'oro: Saetta.

- È mia anche quella! - spiegò Nicla, seguendo lo sguardo del giovane. - È per me sola, ed esco quando il lago è calmo, perchè basterebbe un'onda ad ingoiarla.

Salirono: Nicla prese i fiocchi del timone, e ordinò ai barcaiuoli:

- Alla croda!

Bruno taceva, guardando le due ville da cui la lancia si allontanava, guardando la spiaggia, quel punto della spiaggia, l'acqua cilestre in cui tuffava la mano furtivamente perchè Nicla non lo scorgesse e lo sgridasse. E guardava Nicla, che non diceva più parola ella pure, come si fosse ella pure staccata dal mondo circostante.

Scesero alla Croda, rimandarono la lancia, che stette a girar lentamente nei dintorni.

- Vieni! - disse Nicla, prendendo Bruno per la destra. - Guarda qui; il laghetto che tu formavi con le tue mani; qui, dietro questo rialzo, era la capitale; in questa baia ricoveravi la goletta; e qui disponevi i tuoi soldatini. Ricordi, amore, ricordi tutto? Dimmi che ricordi tutto, bambino mio! Dimmi che sei ancora mio come in quei giorni!...

- Sono tuo, più che in quei giorni! - rispose Bruno. - Assai più che in quei giorni, Nicla!...

La giovane ebbe un lampo negli occhi.

- E anch'io! - disse. - Tutta tua, perdutamente. E ripensando al mio passato, m'accorgo che non sono stata mai d'altri che di te, e che il mio pensiero, la mia anima, non hanno appartenuto mai ad altri che a te.

Andò a sedere sul più elevato rialzo dello scoglio: e Bruno le si mise ai piedi. Ella continuò:

- Avevo promesso di cogliere per te balsami arcani. E ti ho dato il balsamo arcano di tutta la mia anima di fanciulla. Tu l'hai bevuta nelle mie carezze. Nessuno conosce la mia anima come tu la conosci; e da allora non si è mutata più....

Bruno le prese le mani e le baciò dentro il palmo, a occhi chiusi.

- Come tu sai essere forte! - egli osservò. - Tu sai parlare: io non posso....

- È vero! - disse Nicla.

- Sei più fredda di me! - rispose Bruno.

Un sorriso, uno strano sorriso sfiorò le labbra della donna.

- Credi? - domandò. - Io ho pensato molte cose in questi giorni, che mi hanno resa felice.

- Dimmele! - pregò Bruno.

- Non posso! - rispose Nicla scuotendo il capo. - Le capirai più tardi. E da quando ho pensato così, sono diventata calma, e posso parlare.

- Io soffro orribilmente! - disse Bruno.

- Lo so, - riprese Nicla. - Ma io voglio inebbriarti di ricordi....

- Perchè? - domandò Bruno.

- Lo saprai più tardi! - ripetè Nicla. Stettero in silenzio qualche tempo; e Bruno levò gli occhi a fissar la donna, che appariva tutta candida sul turchino compatto del cielo.

- Come sei bella! - disse.

- Ti piaccio? - ella rispose.

- Nicla, non torturarmi! - esclamò Bruno, abbassando il capo.

Ella gli rialzò il volto perchè la guardasse ancora.

- Vedi? - osservò Bruno. - Tutto ritorna, tutto può ritornare; noi siamo ridiventati fanciulli.... Ma c'è chi non tornerà mai più e non godrà mai più questa luce.

- Ahimè, - disse Nicla. - È vero! E noi non possiamo nulla per lui.... Anche se gli dessimo tutto il nostro sangue, egli non guarirebbe....

Si scosse, come per gettar lontano un pesante mantello di dolore, e soggiunse con voce mutata, quasi gaia:

- Ma io posso altro. Egli mi ha detto «lei potrà fargli molto bene, signorina». E io gli farò molto bene, al suo fanciullo selvatico.

Bruno non ascoltava.

Aveva visto l'ombra di suo padre passare, la curva ombra senza denti, coi capelli bianchi e lunghi, con lo sguardo attonito spalancato nel vuoto.

Nicla comprese e lo toccò su una spalla.

- Brunello! - mormorò. - Ora tornando, andremo a vedere il giardino della mia villa....

- Dove io sono venuto a cercarti? - chiese Bruno.

- Ma sì; dove tu mi hai detto: «Signorina, vieni ad aiutarmi!».

- E chi c'è ora laggiù?

- Il mio papà e la mia mamma....

- E alla villa Florida?

- Una famiglia inglese.

- E vedremo anche la villa Florida...?

- Non ti ho detto che voglio inebbriarti di ricordi?

- Che folle idea! - esclamò Bruno.

Ella si guardò in giro per istinto, e poi rapida, afferrò tra le mani il volto di Bruno e lo baciò sulla bocca. Egli n'ebbe una scossa che parve sospendere i battiti del cuore.

- Sei molto crudele! - disse.

Nicla sorrise senza rispondere, e col fazzoletto fe' cenno alla lancia di avvicinarsi.

- Sai? - riprese Bruno, trovando per un attimo un poco di gaiezza. - Ho fatto cacciar di casa Duccio Massenti....

- Non ischerzi? - esclamò Nicla stupefatta.

- Non ischerzo. Ho raccontato alla mamma qualche cosa, la gita in barca, la nostra conoscenza di dodici anni or sono. E la mamma è rimasta molto colpita da quell'episodio. Non so che cosa sia avvenuto poi; ma Duccio Massenti non si vede più....

- Te ne sei fatto un nemico mortale! - osservò Nicla.

- Mi duole che tu mi dica questo; dovevo dunque temerlo e accoglierlo, per non avere il suo odio?

- Hai ragione! - disse Nicla. - Tu non hai paura.

Diresse la lancia verso la riva, per discendere presso la villa Carlotta.

La villa era ancora abitata dai genitori di Nicla; essi vi passavano l'intero anno; al cavalier Maurizio era stata data la commenda della Corona d'Italia, non si sapeva perchè; probabilmente perchè non l'aveva, dicevano i maligni.

Ma rimasti soli l'uno e l'altra, la signora Carlotta e il commendatore Maurizio, s'eran dati a curare tremendamente il loro egoismo. leggevano libri d'igiene e si scambiavano le scoperte che andavano facendo.

Prima era stata la signora Carlotta la quale aveva letto che per conservarsi arzilli e svelti bisognava mangiar molto; e tutt'e due mangiavano molto, fin che potevano, e a tutte le ore. Poi il commendator Maurizio aveva letto che il segreto della longevità stava nel mangiar poco; e tutt'e due s'eran messi a mangiar poco, fino a patir la fame.

Un igienista illustre sosteneva che le fregagioni vigorose dopo il bagno erano salutifere; e tutt'e due dopo il bagno si facevan fregar dal domestico e dalla cameriera fino a diventar rossi come gamberi cotti.

Era poi venuto il giorno della ginnastica svedese: e di tanto in tanto si vedeva il commendator Maurizio tirar pugni all'aria, lanciar calci, sbuffare, piegarsi innanzi e indietro; e la signora Carlotta allargar le braccia, buttarle avanti, alzarle al cielo, contando: «uno, due; uno, due»! E nelle ore di quiete, si rallegravano.

- Io, già, da quando mangio poco, sto meglio!

- Quella ginnastica! È un portento! Dormo tutta la notte!...

- E le fregagioni? Non so come ci sia gente che possa vivere senza farsi fregare!

- E le docce tepide?

- E il riposare con la testa bassa e le gambe alte?...

Si estasiavano sui varii trovati che andavano seguendo con vero scrupolo. La ginnastica svedese li faceva sudare a catinelle, perchè erano ambedue corpulenti; ma non l'avrebbero trascurata a nessun patto; e la mattina s'incontrava la signora Carlotta, che percorreva le stanze del primo piano, contando «uno, due; uno, due» e roteando le braccia e allargandole e alzandole, seguita a breve distanza dal commendatore, che tirava calci da mulo e soffiava come un mantice.

I domestici li osservavano indifferenti. Avevano finito col credere che fossero diventati pazzi ambedue, d'una pazzia dolce ed innocua. E si scansavano al loro passaggio per non toccar qualche calcio, che li avrebbe mandati a ruzzolare molto lontano.

D'ogni altra cosa al mondo i due vecchi non si occupavano più.

Sapevano che Nicla era felice, e puntualmente la domenica andavano a trovar lei e il genero.

Il commendatore diceva che quel saponaio era un brav'uomo; ma che anche il conte Duccio sarebbe stato un marito ottimo. Gli anni eran passati, ed egli era rimasto della sua opinione.

La signora Carlotta, poi, parlando di Duccio, non mancava di dargli dell'asino, perchè non aveva mai scritto; o domandava ancora a stessa e al marito quale segreto Nicoletta avesse potuto scoprire in barca.

Poi riprendeva: «uno, due; uno, due»; mentre il marito sparava quattro calci all'aria, come per punteggiare il discorso.

Nicla raccontava ridendo a Bruno quelle piccole manìe dei due vecchi, mentre la lancia si avvicinava alla spiaggia.

- E tu, - disse Bruno, - non hai svelato il segreto che avevi scoperto?

- No, - rispose Nicla.

- Neppure a me non hai voluto dirlo, - osservò Bruno.

- Naturalmente: un segreto non è più segreto, se si racconta....

- Per me è stato il segreto di pulcinella! - disse Bruno.

La giovane non aggiunse parola.

Toccata proda, ella scese prima dalla lancia.

- Vieni! - disse a Brunello. - Non troveremo nessuno; a quest'ora stanno facendo la siesta.

Entrarono nella villa chetamente, facendo segno al portiere di non muoversi, e volarono nella sala da pranzo, a pian terreno.

- Guarda, - disse Nicla, mostrando a Bruno il limitare della porta che dava sul giardino. - Io ero qui, seduta in una poltrona; e stavo pensando che la vita d'una fanciulla è molto noiosa e stupida, e che io meritavo qualche cosa di meglio: che sapevo io? qualche cosa di non comune.... In quell'istante tu sei sbucato di laggiù, dietro la siepe, e mi sei corso incontro, dicendomi: «Signorina!...». Eri tutto vestito di bianco; anch'io era vestita di bianco....

S'interruppe: guardò Brunello; e soggiunse:

- Come oggi.... E subito io t'ho dato la mano, e tu mi hai ricondotta alla riva per ripescar la goletta. Era una giornata calda come questa, ma soffiava il vento. Tu m'hai presa l'anima quel giorno.

- E io quel giorno t'ho data la mia! rispose Bruno.

Istintivamente le loro mani si cercarono e si strinsero.

- Ricordi ancora tutto? - domandò Nicla.

- Ogni più piccolo particolare, - disse Bruno. - Tu avevi un cappello coi papaveri. Io ti dissi che eri bella, e ti baciai sulle guance. Tu mi stringesti al petto. Ti chiamai Nicla; e tu mi dicesti di chiamarti sempre così....

- Sono passati dodici anni, amore mio! - mormorò Nicla.

- Sì; dodici anni per me terribili, tra il fracasso e lo spavento; ma non ho dimenticato nulla, di quel giorno, di tutti gli altri che passammo insieme; quella prima parola, quelle che dicemmo poi.

- Nessuna donna ha potuto cancellarmi dal tuo cuore? - domandò Nicla.

- Quali donne? Non ne ricordo una!

Tacquero; rimasero a fissar dal limitare il giardino che il sole dorava; e sul terreno si profilavano qua e nere le linee dei fusti, le macchie chiomate delle fronde; nessun soffio alitava; frinivano sotto i raggi roventi le cicale.

- Ora andiamo, - disse Nicla, che teneva Brunello per mano come un bambino. - Vuoi vedere la villa Florida?

- Sì, - rispose Bruno.

- Non potremo entrare, - osservò la giovane. - È occupata, e non conosco quella famiglia.

- Non importa; la vedrò da lontano.

Uscirono sulla strada, e in breve giunsero alla villa Florida.

Il cancello era chiuso; ma si vedeva di tutto il giardino, e sul fondo la villa cinerea, a metà coperta dall'intrico degli alberi che le stavano innanzi. Nulla era mutato; avevan dipinto in quegli anni più volte la villa intera e le persiane, sempre conservando il colore smorto che s'intonava con le gradazioni di verde. Sventolava sul frontone non più la bandiera azzurra del conte Fabiano, ma la bandiera bianca e rossa d'una famiglia ignota.

Bruno passò le braccia attraverso le sbarre che formavano il cancello e rimase immobile, silenzioso, a guardare. Nicla fece lo stesso gesto, congiunse le mani di dalle sbarre, e pregò.

 

 

 


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