Luciano Zuccoli
La freccia nel fianco

SECONDA PARTE.   Io coglierņ per te balsami arcani....

XXV.

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XXV.

 

Verso sera, vincendo l'ebbrezza che l'aveva invaso durante la gita alla Croda e il pio pellegrinaggio a villa Florida, Brunello si mise presso la zia Amelia che ricamava; e tenendo nelle mani una matassa di seta dai varii colori, passava alla vecchietta le gugliate via via ch'ella le chiedeva.

- Non potrete dire, - osservò zia Amelia ridendo, - che io non ho un bel cavaliere. Contassi cinquanta, solo cinquant'anni di meno, tutti mi sarebbero addosso per tenermi lontana!

In un angolo, Gigi Barbano chiacchierava con Nicla.

Quella frase di zia Amelia doveva rammentargli un discorso che la zia gli aveva tenuto mentre Nicla e Brunello erano fuori.

La vecchietta capiva l'amicizia del ragazzo con la giovane signora; ma n'era un poco inquieta e ne aveva detto qualche timida parola con Gigi. Nicoletta era candida e fidente come una fanciulla; Bruno era onesto e leale; e zia Amelia non temeva dell'uno, dell'altra; ma temeva di qualche cosa di più forte dell'uno e dell'altra: della loro età, dell'amore, della passione che travolge le anime pure a guisa delle più corrotte; il candore stesso di Nicoletta era un pericolo. Una donna astuta ed esperta sfugge le occasioni, evita le intimità; una donna ingenua v'incappa ad ogni passo e non sa prevederle, difendersene.

Zia Amelia aveva fatto osservare tutto questo con abili perifrasi, girando largo, a suo nipote. Non che volesse far vigilare i due giovani e mostrar diffidenza; ma sarebbe stato prudente non lasciarli sempre a viso a viso, in una familiarità della quale era difficile ormai stabilire i confini.

Gigi Barbano aveva risposto ch'era più sicuro di Nicoletta che di se medesimo; che quel ragazzo gli ispirava una pietà profonda; gli avevan tolto il padre ch'egli amava teneramente per rinchiuderlo in una casa di pazzi donde non sarebbe uscito mai più; la madre sua, a dir poco, leggera e volubile; il patrimonio ridotto a qualche centinaio di migliaia di lire, le quali sarebbero durate, sì e no, un anno col malgoverno della contessa. Che rimaneva a Bruno? L'amicizia di Nicoletta, la fiducia di lui, Gigi. Non altro. Egli aveva promesso a Bruno d'essere un fratello, ed era; come Nicoletta era una sorella per lui.

Zia Amelia non aveva insistito.

Ma la frase voleva far presente a Gigi il colloquio di poco prima.

- Un bel cavaliere! - disse Gigi alzandosi e avvicinandosi a Brunello. - Un bel cavaliere che tutte le donne vorranno disputarsi!

Nicla represse a mala pena un sussulto.

Le parole venivano opportune a rammentar l'audacia di Claudia Viviani; la quale, respinta, s'era messa a capo d'un gruppo di pettegole per bene che andavano sparlando di Nicla, di Bruno, di Gigi; e certo aveva già spedito a quest'ultimo buon numero di lettere anonime.

- Io preferisco esser cavaliere di zia Amelia!... - rispose Brunello sorridendo.

- E le piccole ragazze di Parigi? e le dame bionde di Vienna? - insinuò Gigi.

Nicla serrò le mani per angoscia.

- Ascolta! - esclamò Bruno, abbandonando la matassa e tendendo avido l'orecchio.

Dalla finestra spalancata entrava un'onda di suoni.

Eran le campane delle reti che affioravano; eran le campane del paese che annunziavano il vespro; eran da lungi le campane delle mandre che tornavano alle stalle: una musica lieve portata lievemente sull'aria.

- Com'è bello! - disse Bruno, che s'era affacciato.

Ai colori brillanti del giorno erano subentrati i fragili colori del tramonto: un morbido color di rosa che sfumava a poco a poco nel color di perla; un pallido cilestre che a poco a poco sfumava nell'argento: e l'acqua, riflettendo con delicata armonia le mezze tinte, aveva le iridescenze dell'opale.

Nicla s'era levata a sua volta e s'era posta a fianco di Bruno presso la finestra.

Ella ricordava.

Quanto l'avevan fatta piangere quegli spettacoli di mestizia, e quei suoni che s'intonavano alla dolcezza dell'ora! Il crepuscolo nella campagna per lei era stato, durante lungo tempo, il più pauroso momento della vita. Aveva perduto Brunello. Tutto diceva che non sarebbe tornato mai più; e non aveva persone a cui confidarsi. Le campane singhiozzavano qua, , sui monti, in basso, da lungi e da vicino; il sole calava tra una pioggia di cenere; e Brunello viaggiava, chiamandola invano com'ella chiamava lui, e le loro voci andavano disperse nella vastità del mondo.

Ed era tornato, subitamente.

Era a un passo, appoggiato alla finestra, l'occhio velato da soave tristezza e un incerto sorriso sulle labbra. Era a un passo; e le apparteneva come cosa sua, nel più profondo del cuore; ella sapeva il pensiero di lui, ed egli sapeva il suo pensiero; ella poteva fare di lui ciò che più le fosse piaciuto, ed egli di lei poteva disporre come d'una schiava.

- Amore! - sussurrò Nicla così piano, che Bruno solo udì, quasi la voce venisse dal cuore più che dalle labbra d'una donna.

L'eco delle campane si smorzava con lento rintocco. Il cielo era ormai tutto grigio, e le acque riprendevano il loro color verdastro.

Ma dal giardino sottostante s'innalzavano volute di profumi con una sinfonia più vasta che non fosse stata tra il cielo e l'acqua.

Erano aromi che venivano dai cespi immersi nell'ombra come in un mistero; dardi velenosi che ciascun fiore vibrava; parole di voluttà che esalavano dalle corolle; incitamenti al piacere che traboccavan dai calici; e tutti insieme si dilatavano nell'aria, ebbri ed inebbrianti, nell'ultimo spasimo della morte che impendeva, nell'ultimo brivido che precedeva la notte.

Salivano, oscillavano, si moltiplicavano, si diffondevano, si facevan più acuti, bagnavano il viso, penetravan le carni di Nicla e di Bruno, affacciati su quel prodigioso veleno.

E Nicla aveva la visione d'infiniti piccoli mostri lascivi che si tenevan per mano, superbi di straordinarii colori, armati d'armi variopinte, chiomati di chiome cangianti, screziati, spruzzati, gemmati, picchiettati, che le si serravano e le danzavano una tresca furiosa intorno.

Sentendosi prender dalla vertigine, si ritrasse prestamente e si rifece a parlare con Gigi e con zia Amelia. Ma Bruno rimase alla finestra per bere tutto il veleno che i fiori gli prodigavano e impallidire di desiderio e di passione.

Ogni giorno e per tutti i giorni ch'egli rimase a villa Barbano, quella sorda tempesta andò in lui e in Nicla imperversando.

L'uno e l'altra resistevano perchè Gigi era tra di loro, e la sua presenza li richiamava alla realtà; innanzi a lui svanivano i sogni, e i pensieri obliqui si ritraevano sconfitti.

Ma il desiderio era così atroce, la lotta così vana, che Brunello schivava la sua amica; toccava a lei andare a cercarlo e condurlo a rivedere i luoghi più cari; pareva che la vertigine rattraesse, o che avesse da tempo deliberato d'abbandonarvisi e di morirne.

Gigi Barbano, il quinto giorno, annunziò che ripartiva per Milano.

Brunello s'offerse di riaccompagnarlo.

- No, - rispose Gigi. - Tu rimani; io starò assente un giorno e voglio ritrovarti qui.

Soggiunse:

- Vi affido alla custodia di zia Amelia.

La vecchia disse:

- Conducilo con te; andrete e tornerete insieme.

Gigi non rispose, e partì. L'inquietudine di sua zia lo indispettiva come una tacita offesa a Nicoletta.

Un'ora dopo la partenza di lui, giunse un telegramma di Clara Dolores. Aveva scelto finalmente la campagna, e desiderava salutare Brunello.

Egli disse a Nicla, mostrandole il telegramma:

- Partirò questa sera.

Nicla riflettè un istante, poi rispose:

- Puoi partire domattina.

E guardandolo negli occhi, soggiunse con voce breve:

- Siamo soli!... Resta!...

 

 

 


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