Luciano Zuccoli
La freccia nel fianco

SECONDA PARTE.   Io coglierņ per te balsami arcani....

XXVI.

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XXVI.

 

Andarono sul tramonto a salutare il bosco di cerri e di castagni, che chiudeva, come perle in un monile, i ricordi più belli nelle ombre e nei silenzii delle sue verzure.

Non v'erano stati mai, quasi temendo che innanzi a tanta gioia e a tanta mestizia le forze avessero ad abbandonarli.

Bruno aspettava sulla soglia della villa. Si volse udendo il passo di Nicla, e si sbiancò in viso.

Ella era apparsa, tutta chiusa in un abito color d'acciaio, con un morbido cappello bigio messo di traverso sulla chioma a guisa del feltro d'un arlecchino; e aveva i guanti bigi lunghi fin oltre il gomito.

Bruno la squadrò da capo a piedi desiderosamente, e non disse nulla.

Ma mentre s'avviavano, Nicla raccontò:

- Sai che quando eri piccino, mi facevi qualche volta paura? Avevi di tratto in tratto idee così strane, che mi domandavo chi tu fossi e donde venissi. Mi sembravi un faunetto sbucato da una siepe, e pensavo a un quadro che avevo visto a Roma e mi aveva molto offesa qualche anno prima.

- L'avrò veduto anch'io, forse, - mormorò Bruno.

- Forse, - ripetè Nicla. - Alla galleria Corsini.

Esitò un poco, e quindi aggiunse:

- Un piccolo quadro, nel quale un fauno, appostato dietro una quercia, allunga la mano a denudare una ninfa che dorme; e il tramonto è rosso.

- Lo rammento, - disse Bruno. Egli era turbato; ella gaia e sicura

- Siamo soli, - disse, varcato appena il limitare del bosco. - Non ti senti felice?

Il bosco era incendiato dal tramonto, sul cui fondo spiccavan più decisi i fusti dei cerri e dei castagni; gli archi formati dalle fronde sembravano gallerie in fiamme, dentro le quali oscillavano stupendi riflessi d'oro.

A mano a mano che Nicla e Brunello inoltravano, si spegnevano le voci del mondo, e alle loro spalle si chiudevano le dense cortine di fogliame, mosse dal brivido d'una brezza impercettibile che veniva dal lago.

- Ecco, - disse Nicla. - Qui in questa radura, mi sei parso un faunetto impertinente; e qui un'altra volta mi dicesti che volevi fare uccidere Duccio.

- Com'è bello, - osservò Bruno, - il riflesso di porpora sul tuo vestito d'acciaio! Sembra che la tua anima proietti una luce.

- Ti ricordi il in cui ho messo per te un abito simile a questo? - domandò Nicla.

- L'ultimo giorno. E tu non volevi dirmi che lo avrei indossato per me. Io ne rimasi tanto mortificato....

Nicla rise.

- È vero, è vero! - esclamò. - Abbassavi il capo e mostravi il broncio.

- .... tanto mortificato, che finisti col confessare! - soggiunse Bruno.

- Strana cosa! Già allora, - osservò Nicla, - io facevo per te quel che si fa per un amante; e tu godevi con la intelligenza d'un uomo.

La radura s'era allargata; il terreno molle e grasso era invaso da ampie chiazze di color porporino, simile a sangue vivo; molti alberi eran caduti sotto la scure, e un cumulo di tronchi era disposto a gradi sopra un lato.

Nicla sedette. Bruno s'accovacciò ai suoi piedi.

- Ascolta! - disse Nicla.

Tesero ambedue l'orecchio.

Veniva dal fondo uno stormire di foglie, un frullo, un pispigliare sommesso, come se il bosco intero agitato dalla brezza fosse stato percorso da un fremito voluttuoso; e di tanto in tanto qualche vecchia corteccia si screpolava scricchiolando.

Sole voci del mondo, giungevano confusi, quasi interrotti dall'intrico di foglie e di rami, i suoni delle campane che la lontananza faceva più flebili. Su qualche tronco le cicale ostinate mandavano con le elitre uno stridulo saluto al giorno agonizzante.

Aliava intorno lo spirito del bosco, che chiedeva ombra dopo tanto sole. Il cielo trascolorava: si smorzava la porpora, si faceva opaco l'oro.

Nicla parlò sottovoce, mentre, appoggiato un gomito sulle sue ginocchia, Bruno la guardava.

- Qui ti ho cantato i versi la prima volta, - ella disse.

- Sì, - rispose Bruno.

Anch'egli parlava a bassa voce, per non turbar le armonie e la deliziosa pace del luogo.

- -Sì, e da quel giorno ho cercato con bramosia i libri a ritrovar la musica che tu mi avevi svelata.

- Qui, - seguitò Nicla, - i nostri destini si fusero, e io promisi a me stessa inconsciamente che sarei stata tua sempre. Tu potevi da quel giorno chiedermi l'anima e t'avrei dato l'anima; l'amore, e t'avrei dato l'amore; la vita, e t'avrei dato la vita. Io ti darò tutto questo, bambino mio, perchè te l'ho promesso quando ancora tu non sapevi.

Bruno mosse le labbra, e Nicla lo fermò.

- Ascolta! - disse.

Il vento s'era alzato più forte; il brivido delle fronde riempiva lo spazio. Era uno scroscio, uno schianto che scuoteva tutto fin nelle più intime latebre il bosco, dalla vetta del monte all'estremo lembo che fiancheggiava la strada; e dondolavano i cimi degli alberi, e le chiome di mille verdi si mescevano; tremavan gli archi delle imaginarie gallerie, si scomponevano, si riformavano. Un ritmo ignoto agli uomini conduceva la lenta danza di foglie e di rami.

Nicla rispose:

- Ora tu mi devi giurare.

Bruno la fissò. Spiccava sopra uno sfondo paonazzo, tutta serrata nel suo abito d'acciaio come in una sacra armatura, e il busto svelto ed eretto balzava su dalla sobria curva dei fianchi. Aveva nel volto diffusa una bellezza nuova serena, e dentro gli occhi una fiamma ferma e costante.

- Tu mi devi giurare, - ella seguitò, vedendo lo sguardo interrogativo di Bruno.

- Perchè? - domandò il giovane.

- Non chiedere. Giurami che qualunque cosa avvenga, tu non morirai.

- Io volevo morire, - confessò Brunello, chinando la fronte, - volevo morire. Chiederti l'amore per una volta sola, per una sola notte, e poi morire con te.

- No! - disse Nicla con un gesto risoluto del capo. - Devi vivere. Giurami che vivrai.

- Oh, amica mia, - proruppe Bruno, - io non ho mai conosciuto la felicità. Volevo berla dalla tua bocca e morire.

- No! - insistette Nicla. - Devi vivere. Giurami che vivrai!

Bruno esitò un istante, poi interrogò:

- Se giuro, tu sei contenta?

- Sarò molto contenta. Non chiedo altro.

- Giuro! - disse Bruno.

- Per quel che hai di più sacro al mondo?

- Per quello che ho di più sacro al mondo.

- Per la vita di tuo padre e di tua madre?

- Per la vita di mio padre e di mia madre.

Il seno di Nicla si sollevò in un grande respiro di pace; ella afferrò Bruno e lo strinse fra le braccia.

- Ora posa il capo nel mio grembo, - seguitò con espressione di gaudio che le tremava nella voce e le traluceva dallo sguardo. - E ti dirò il canto che ti piaceva, bambino!

Curva su di lui, sfiorando con le mani leggere il volto e i capelli di Bruno che le apparteneva, disse con la voce limpida di cristallo, armonica di penombre e d'inflessioni:

 

Ti rapirò nel verso; e tra i sereni

Ozi de le campagne a mezzo il giorno,

Tacendo e rifulgendo in tutti i seni

Ciel, mare, intorno,

Io per te sveglierò da i colli aprichi

Le Driadi bionde sovra il piè leggero

E ammiranti a le tue forme gli antichi

Numi d'Omero.

 

Bruno aveva chiuso gli occhi e scivolava lentamente in un abisso profondo di voluttà.

Gli venivano incontro, recati da quella voce ch'era per lui divina, gli incantevoli ricordi della sua infanzia. Ed era ancora fanciullo, e le formidabili cose della vita, e il ghigno del destino e le ansie e le torture e le speranze cupe e il bisogno di guerra e la strada spalancata innanzi ch'egli doveva percorrere fra i triboli fino al fondo, e i dèmoni che lo rodevano, e l'odio e il dispregio che gli davano amaro alla bocca, e il sarcasmo e la sottile ironia velenosa, tutto era scomparso come sparivan le furie di Saulle al dolce tocco dell'arpa di Davidde.

E una giocondità sconosciuta gli saliva dal cuore, una confidenza nella sorte, che è arcigna un giorno, e un giorno generosa.

Non lo circondavano ancora le braccia della donna infinitamente amata? Non susurrava ancora intorno a lui il diletto bosco? E la luce non era ancor tutta porpora e di viola e d'oro? Non aleggiava la musica sovrumana dei sogni sconfinati che lo esaltavano in altri tempi?

Ecco; tornava fanciullo; era il faunetto impertinente; pensava alla Croda grinzuta, al Re moro, alla bandierina con l'asinello, e voleva far uccidere Duccio che aveva offeso Nicla

 

Noi coglierem per te balsami arcani

Cui lacrimâr le trasformate vite,

E le perle che lunge a i duri umani

Nudre Anfitrite.

Noi coglierem per te fiori animati,

Esperti de la gioia e de l'affanno:

Ei le storie d'amor dei tempi andati

Ti ridiranno.

 

Balsami arcani, veramente, erano stati colti per lui.

Che poteva ancora chiedere? Tutta l'anima d'una vergine sbocciata appena, gli si era votata per l'esistenza intera. Tutta l'anima d'una donna senza macchia gli si era data per sempre.

Egli l'aveva incatenata al suo destino, ed ella non viveva senza di lui; egli poteva distruggerla o levarla in alto, farla sbiancar di contento o morire d'angoscia. Che doveva più chiedere? Serrava nel pugno la sorte d'una creatura umana.

A vent'anni, quando gli altri balbettano appena le prime parole della scienza di vivere, egli era un dominatore. Doveva partir di , frangere i ceppi, scagliarsi nella lotta per giungere alla gloria; e gettar quella corona ai piedi della donna, pronta a gettare per lui l'aulente corona della vita.

Due lagrime gli brillarono un attimo sulle ciglia e scesero silenziose per le guance.

Nicla, curvandosi un poco, lo baciò sulla bocca.

Egli si svincolò dalla stretta e si guardò intorno.

- Amore mio, - disse, - è tardi!

Si levò; e Nicla si levò pure con un atto di pigrizia.

La luce andava mutandosi.

Mentre Nicla cantava, l'oro, la porpora s'erano illanguiditi.

Prima d'indossare il suo mantello d'ombra che lo avrebbe affondato tra le altre ombre, tenebra nella tenebra, il bosco si rivestiva d'un manto di viola in cui vibravano gli ultimi riflessi del sole e poche pagliuzze d'oro pallido.

Le fronde avevano moltitudini di velluto, e la radura era un'ampia distesa, un tappeto vasto sul quale avrebbero danzato tra poco e amadriadi e satiri; e tutto era circonfuso da quella luce di viola, che partendo dai morenti sprazzi sanguigni del cielo, sfumava e si perdeva in toni infiniti di bigio e di ferrigno.

Ritti in piedi, Bruno e Nicla s'abbracciarono.

Poi ella abbassò la testa con grazia, perchè il faunetto impertinente potesse baciarla dietro l'una e l'altra orecchia, come aveva pensato fanciullo, come aveva desiderato più tardi, come aveva sognato sempre.

- Andiamo! - disse Nicla, scuotendosi.

E tenendosi per mano, s'avviarono.

Precipitava l'ombra alle loro spalle; il manto di viola divenuto grigio si faceva rapidamente fosco; l'armonia dei colori si dissolveva nel buio, il vento sibilava tra i rami e aggirava in terra le foglie a ballo tondo.

Quando furono all'estremo limite, si baciarono di nuovo.

E Nicla disse con voce ferma:

- Fanciullo, vieni da me stanotte!

Poi vedendo che il fanciullo si scolorava in volto, soggiunse imperiosa:

- Ti aspetto!

 

 

 


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