Lorenzo Viani
Il nano e la statua nera

UN CARNEFICE CHE FACEVA RISUSCITARE I DECOLLATI

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UN CARNEFICE CHE FACEVA
RISUSCITARE I DECOLLATI

 

 

 

 

 

Quante cose miracolose e strane sono accadute dentro e intorno alle mura di Lucca: vi giunse prodigiosamente il simulacro del Crocifisso detto il Volto Santo, vi entrò trionfalmente l'imperatore Ottone, di sotto l'arco della porta Sant'Anna passarono le armate lucchesi dirette in Terra Santa alla conquista del Santo Sepolcro, di sotto l'arco della porta San Pietro passò baldanzoso Uguccione della Faggiola per stabilire la sua tirannia nella città stremata di forze, Castruccio Castracane, di poi, vi stabilì la sua assoluta signoria: nel tempo Lucca fu venduta a Gherardo Spinola genovese, e da questo rivenduta ai Rossi di Parma, e da costoro rivenduta a Mastino della Scala signore di Verona. Per parecchie volte Lucca andò in procinto d'essere sterminata dalla peste, dalla carestia, dal colera. Ma nonostante questo la Toscana tremò, ma Lucca mai!

E come poteva tremare una città che custodiva nel suo Duomo il Volto Santo scolpito da San Nicodemo (che si trovò presente alla deposizione della Croce) nel bosco di Galaad sul monte Cedron presso Gerusalemme? Ogni lucchese sapeva che dal luogo stesso scaturì una prodigiosa sorgente d'acqua salutare che, bevuta da qualunque infermo, egli veniva all'istante risanato, e non ignorava che quando il barbaro padrone del monte Cedron pensò di chiudere con recinto la prodigiosa fonte, a fine di vendere a caro prezzo quell'acqua miracolosa, la fonte disseccossi mai più ricomparve.

 

 

Faceva accapponare la pelle di ogni onesto lucchese la lettura della lettera esposta nella cappella del Santo Volto scritta da Branca Cavaliero di Bronci Podestà, et signore del Castello di Pietralunga, controfirmata dai due officiali di detto Castello, Francesco d'Ancona, et Vanni Giudici: «Il Signor Iddio nostro pieno di misericordia in questi giorni ha fatto cosa miracolosa in Giovanni di Lorenzo del contado Atrebatense portatore della presente, il quale, mentre nel mese di settembre passava in territorio di Pietralunga et ivi essendo nella strada un uomo morto, stato ammazzato dai ladroni, le genti di quei paesi correndo al rumore di tal homicidio, et trovato il detto Giovanni, che come innocente et senza paura et senza sospetto se ne andava, credendo esser l'omicida pigliandolo, lo condussero a noi, et alla nostra per punirlo come colpevole; noi con i pochi indizii che avevamo formammo contro lui un processo come potemmo e, quantunque egli dicesse e con giuramento affermasse alla nostra presenza d'essere innocente, non di meno lo mettemmo alla tortura, la qual non potendo sopportare confessò per forza di tormenti d'aver ammazzato il detto huomo, onde condannato et condotto al luogo ove i condannati a morte da ministri di nostra corte sono decapitati, invocando egli sempre la divina misericordia, et invotendosi humilmente et divotamente, che se Iddio per sua grazia lo liberasse da tal morte visiterebbe la venerabil Immagine del Volto Santo di Lucca, messe il collo per essergli tagliato, et quello che a tali esecuzioni è deputato acconciò la mannaia appunto sopra il collo del condannato, et di tre colpi la mazza gagliardamente percosse il capo gli fu tagliato, pur un minimo segno tal percosse gli lasciarono sul collo. Che più? Il taglio della mannaia come se avesse percossa una pietra, si rinversò, et visto questo grande et manifesto miracolo quelli che erano presenti stupefatti rimenarono alla nostra presenza esso Giovanni sano e salvo, lodando il Signore che non volle che detto Giovanni morisse senza colpa et noi lo rimettemmo in libertà, et delle cose suddette, che accaddero alla presenza di molta gente, ne facciamo con queste presenti lettere testimonianza per la verità a tutti voi, quello raccomandando al Signore, che vive et regna in eterno».

 

 

Era da poco consacrato vescovo di Lucca il Beato Ossequienzo, a cui doveva succedere dopo anni quattordici San Frediano, il quale deviò il corso del Serchio tagliando il fiume con un rastrello onde evitare che Lucca fosse un o l'altro inghiottita dal dilagare delle acque, quando Lucca fu cinta d'assedio dall'esercito di Narsete e Belisario, generali di Giustiniano, spediti da esso in Italia per scacciare gli Ostrogoti. Caduti ormai tutti i Castelli che dominar si potevano dall'alto delle mura, Narsete pensò che Lucca doveva cadere d'un sol colpo come le rape; ma così non fu; i Lucchesi ricorsero ai temporeggiamenti sperando nell'aiuto dei Franchi che potevano giungere da un momento all'altro.

Gli assedianti chiesero ed ottennero un centinaio di ostaggi lucchesi e pattuirono: «Se dentro giorni tre voi Lucchesi non vi arrenderete, noi decolleremo i vostri ostaggi».

Al tramontar del sole del terzo Lucca significò a Narsete che non si sarebbe arresa e che disponesse a suo talento la sorte degli ostaggi.

Narsete, comecchè fosse consigliato ad uccidere gli ostaggi dinanzi agli spergiuri Lucchesi, inclinando alla misericordia e riguardando iniquità la punizione di questi innocenti pei colpevoli, ordinò si conducessero gli ostaggi sotto le mura di Lucca, intimò di bel nuovo ai cittadini l'adempimento delle promesse minacciando di morte i loro parenti. I Lucchesi risposero non volerle adempiere. Narsete, facendo porre dei collari di legno, controfoderati di stoffa del colore medesimo delle schiavine al collo degli ostaggi, affinchè non ne avessero alcun nocumento, ordinò al carnefice che fossero tutti decollati. Il carnefice levando il braccio in alto perchè i Lucchesi, assiepati com'erano sulle mura, vedessero la sua mano che impugnava la spada punitrice, vibrò orribili colpi sul collo dei miseri ostaggi, i quali fingevano stramazzare per terra urlando e ululando morire. Il carnefice e gli ostaggi fecero sì bene la loro commedia che all'improvviso un gran pianto dirotto, urli, gemiti e voci disperate si alzarono tosto dalle mura gremite di popolo.

Spietati, quei miseri sono nostri parenti, voi gli avete decollati: siate maledetti in nome di Dio! – così i Lucchesi tanto disperatamente gridavano.

Saprò ben io risuscitarli se manterrete la vostra promessa, – urlava il carnefice.

– Sì, sì, la manterremo la nostra promessa, – ripigliavano addolorati i Lucchesi, – ma tu, carnefice, come farai a mantenere la tua promessa che i nostri parenti li hai così barbaramente decollati?

Il carnefice saltò nella fossa e ordinò agli ostaggi di camminare liberi e svelti davanti ai loro parenti, sperando così che calasse il sipario di quella brutta commedia.

Quando i Lucchesi videro gli ostaggi con la testa sul loro busto, non vollero più darsi per vinti a Narsete adducendo che la risurrezione era avvenuta per miracolo dei Santi protettori di Lucca e non per magica potenza di un carnefice mercenario, e che da questo segno manifesto della protezione del cielo su Lucca il tiranno doveva tremare di vergogna e paura.

A tale e sì stupenda novella le campane di tutte le chiese di Lucca suonarono simultaneamente dei doppi festosi, tanto che Narsete e il suo esecutore di giustizia, di sugli spalti, si fissarono sbalorditi. Narsete, fissò negli occhi il carnefice: – Ma abbiamo ragione noi o hanno ragione i Lucchesi?

Il carnefice fece un gesto come per dire: – Io non mi comprometto.

I crudi soldati che a destra portavano lo scudo, la spada a sinistra, senza lorica, senza celata, nudi fino alla cintura, dalla quale calavano i loro calzoni di tela di lino e di cuoio, ammucchiati nei catrafossi che cingevano Lucca come orride spelonche affissando le mura affollate digrignavano i denti come mastini.

Narsete, dopo essere stato solo in lunga meditazione, disse al carnefice: – Sciogli gli ostaggi e rimandali alle loro case, altrimenti c'è da dare in mattia.

Il dimani i Lucchesi commossi aprirono spontaneamente le ben munite porte e Narsete vi stabilì Buono, costituendolo Duca di questa città a cui Probo aveva messo la prima pietra delle inespugnabili mura.







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