Lorenzo Viani
Il nano e la statua nera

VINO DI SPALLA, «PANE DI LEGNO»

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VINO DI SPALLA, «PANE DI LEGNO»

 

 

 

 

 

Quando sulle selve del Rimortaglio, situate in una vallata erma e derelitta, arginata a levante dalle sponde friabili dell'impetuosa Freddana, s'abbattevano i temporali, i castagni, che sogliono abbeverarsi e respirare dal fogliame, parevano, tra gli ondeggianti sospiri affannosi, il mare in tempesta.

La Freddana frangeva il soverchio delle sue acque tra gli orridi pietroni, da cui i montanari traevano ruote pei loro frantoi. I pastori, sorpresi dalla tempesta, addossavano le greggi ai capparoni, enormi cumuli di seccume, e si ricettavano nelle ceppe dei castagni eticati dalle saette.

La casa, che fu dei miei, era acchiocciata sotto gli ardui dirupi della Pieve di Santo Stefano Lucense, ai margini delle selve del Rimortaglio. Mio nonno, allora quasi centenario, ascoltava atterrito la romba del vento, che miaolava per la cappa del camino, pensoso per la sorte dei pastori, delle greggi e dei castagni che amava come viventi creature. Massimamente i castagni delle selve del Rimortaglio. Quegli alberi gli avevano dato la travatura per la casa, l'arcile dove s'intrideva il pane, l'arca alla sposa, la cassa per seppellire in santa pace, nel legno incorruttibile, i suoi morti, il timone al carro, lo stile alla vanga, il pane. Come non amare quelle piante sacre?

– Senza le selve del Rimortaglio, si sarebbe andati in perdizione cento volte, – soleva dire quel vecchio solenne ed austero, come un patriarca dell'antichità.

Assai prima del Poeta dei castagni, avevo inteso dire da mio nonno: – Su ogni castagno andrebbe inchiodata una croce.

– E perchèdomandava curioso qualche nipote, che ritornava di lontano alla casata.

– La Croce vuol dire salvamento, – diceva mio nonno. – Noi siamo salvati dai castagni. I naviganti, che sono salvati dal barco nel solcare il mare in tempesta, attraverso all'albero maestro mettono l'antenna in forma di croce. Gli uccelli, volando nell'aria, si informano a imagine di croce, il naufrago sull'onde tempestose si compone ad adorazione e prende, pur egli, la somiglianza di una croce. Nello scassare la terra con l'aratro, la stiva e le orecchie s'incrociano. – E mio nonno terminava il sermone facendosi il segno della Santa Croce.

Quando la tempesta cedeva, e il camino s'ammutoliva, mio nonno si faceva sulla soglia dell'uscio e s'affissava ansioso sulle selve inverdite dall'umidore. Un innumere gregge di nuvolette leggere, come batuffoli di cotone, pareva radesse i brenti teneri: erano le pecorelle che ritornavano al grande ovile, situato sotto la casa di mio nonno. In un volger d'occhio egli le contava. Se il pastore (uno dei tanti suoi figli) era ammusato, mio nonno si conturbava subito: del certo, qualche castagno era stato abbattuto dai venti e schiantato dalla saetta.

Mio nonno, con la barba bianca sollevata dal vento, s'avvicinava al celliere e di lassù domandava al figlio:

– Quale?

– Quello della scassata delle Macendore, – rispondeva solamente il figlio, senza alzare il capo. Mio nonno conosceva tutti i castagni delle selve del Rimortaglio. Quella sera sembrava che nella casa di mio nonno giacesse un morto. I figli tacevano sospirando, mio nonno attizzava il fuoco, le figlie si apprestavano a dire il rosario.

 

 

Quando s'erano rappacificati l'anima con la preghiera, mio nonno lodava i castagni:

– È onesto il castagno e prudente; nasce sulle pietraglie, s'abbevera dalle foglie, poca guazza lo disseta, il suo legno è incorruttibile. Dopo un'eternità (che è di da mai) se dissotterrate una cassa di castagno, essa è sempre intatta. Il castagno non ci fa sospirare il suo frutto; il suo fogliame, che ci il letto per le bestie, mai è assaltato dagli insetti; con il suo legno si fanno le doghe per le botti, oltre che gli arnesi lavorativi e i mobili sacri; con i vernacchi si fanno i cerchi, su cui il navigante raccoglie la vela di fortuna per farla salire più presto in vetta all'albero maestro. Se la prua delle barche a vela può contrastare col mare impetuoso, è in conseguenza dei paramezzali di castagno che le fanno da ceppo e da controparte sotto il costato della barca. In remote contrade la scorza del castagno, intrecciata quando è fresca può diventare anche una vela. Il rimanente lo sapete, per visiva esperienza. La farina di castagne, nei luoghi selvosi e lontani dall'abitato, sciolta nell'acqua, si somministra come astringente, se ne fanno cataplasmi, e «vinate» (cotta nel vino si lascia assai sciolta e si suole usare nelle serate d'inverno molto fredde, si prende dopo cena, avanti di entrare nel letto ed è molto riscaldativa).

 

 

Mio nonno osservava le piantate dei noci, alti e diritti, lineanti i cigli pietrosi del canale della Croce, le ciuffaie serpigne dei fichi che s'abbarbicavano alle pianacce, i sorbi aspri e i meli dal fusto argentato; s'attardava sugli oliveti mareggianti verso il piano del colore del cielo, perchè il rantolo della pietra del frantoio lo consolava; quello era segno d'annata d'olio buono e legittimo. Ma più lo confortava la fumea del «metato», il seccatoio situato in mezzo alle selve dove si diricciavano le castagne e si mondavano della scorza e della pecchia, da dove le castagne escivano biscottate a dovere, per essere triturate dalla ruota del molino e ridotte farina nutriente.

Il celliere, dove si allineavano le botti del vino spoglio, il frantoio, dove si spremeva dalle ulive schiacciate olio purificato, e il «metato» che, tra la stizzosa fumea, dava le castagne secche, erano personalmente curati da mio nonno.

La vite si lascia godere, ma l'esito del frutto ce lo fa sospirare molto. Anche l'olivo è pianta giovevole, ci olio per condime, e quello santo per segnare le fronti dei nostri prima del trapasso. Ma più lodate il castagno, che vi il pane.

 

 

Molti abitanti vicini alla Pieve di Santo Stefano scendevano alla città del piano con un carico di sacchi di farina dolce e si allogavano vicini ad un forno, per ivi aprire l'industria dei castagnacci: il padre sfaccendava intorno alla bocca del forno ed i figli si sparpagliavano per la città con la teglia della torta, larga come uno scudo guerriero, e la stiva dei castagnacci, e stazionavano presso alle scuole comunali e alle caserme, nelle ore in cui i ragazzi uscivano da lezione e i soldati avevano la libera uscita. Soldati e ragazzi diluviavano in un baleno quella grazia di Dio e il piccolo castagnacciaio ritornava in volata al forno paterno per il rifornimento.

I castagnacciai portavano al piano anche delle some di vino di spalla, che molto si addice alla bevuta sopra la roba di farina dolce. Vino di spalla: sulle vinacce spremute del succo primaticcio, i contadini, per loro uso e consumo, tiravano quattro o cinque bigonce d'acqua tolta dalla pila del pozzale, che portavano a spalla dall'orlo del tino per rovesciarle dentro a saporirle di vino. Il vino di corpo non è addicevole sulla roba impastata con la farina dolce. Quel vino i castagnacciai lo distribuivano gratuitamente agli amici.

Se scendeva al piano anche la donna di casa, quella s'industriava coi «necci». Un fornetto portatile era piazzato all'aperto; tra due testi roventi la donna poneva un mestolo di farina sciolta nell'acqua che in un attimo cuoceva e si saporiva di castagno, perchè i necci si ravvolgevano nelle foglie secche di quest'albero. Ogni volta i testi erano unti con un singolare pennello, la metà di una mela renetta confitta in uno stecco e intrisa in un piatto in cui era olio di legittime olive. Intorno alla necciaia non mancavano mai ragazzi, avvogliati del saporito frutto della selva.

 

 

– A tutto è giovevole il castagnoconcludeva mio nonno la sera, prima di salire le scale. – Ricordatevelo: la cunella, in cui foste allevati, è paretata di castagno; la cassa, in cui sarete sepolti, sarà medesimamente paretata di castagno. Di castagno sono le pareti, in cui tragitta la nostra vita.







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