Lorenzo Viani
Il nano e la statua nera

IL MASCHEROTTO COL NASO MOZZO

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IL MASCHEROTTO COL NASO MOZZO

 

 

 

 

 

Tutta la comitiva era mascherata e dipinta, sulla viva carne, di pece e di minio; spettacolosi nasi di cartone, rossi infiammati, erano stati messi su quelli veri; soltanto uno della mascherata non aveva messo il naso di cartone su quello vero, perchè quello glielo avevano staccato con un morso ed era ridotto una maschera di quelle giapponesi che si veggono al Museo Chiossone di Genova o a quello di Ghimè a Parigi.

Lo scrivente non stentò molto a riconoscere in quel figuro il suo personaggio «Naso a pesetto», quello che prendeva i ciechi a nolo e li portava alle fiere per impietosire la gente. Naso a pesetto, magro, lungo, pareva che qualcuno lo avesse preso per le gambe e sbatacchiato sulla terra dura, chè il suo viso era conformato sulle schiaccine, quei crostacei che vanno di traverso sulle scogliere.

La prima conoscenza che lo scrivente fece con questo bel tomo di uomo fu in una osteria sulla via provinciale che da Lucca conduce a Pietrasanta. La gruccia che Naso a pesetto portava per falsità, appena si approssimava alle Gabelle delle città, era piantata in un appezzato di cipolle ch'era davanti all'osteria, e su quella Naso a pesetto aveva messo il cappello sgrondato. Senza cappello, coi capelli sagginati, con gli occhi di faina, senza naso, i denti da tane, questo suppliziatore di ciechi noleggiati aveva davanti un fiasco di vino, un pezzo di cacio pecorino e un pane; di fianco a lui sedeva contristato un giovane cieco scarnito, giallo, con un pelo da gattino patito su tutto il viso di martire.

La padrona grassa, seduta al banco, agucchiava ascoltando Naso a pesetto che si duoleva dei tempi tristi e tribolati e del cuore degli uomini duro come ghiaie di un fiume. – Per levargli di tasca un soldo ci voglion le tenaglie e lui soggiunse Naso a pesetto, accennando il ciecodeve sgolarsi un quarto d'ora con lamentazioni che spaccherebbero il cuore ad una cantonata. È vero, demonio? – chiese Naso a pesetto al cieco battendogli la mano sulla spalla scarnata.

 

 

Naso a pesetto, vedendo che lo scrivente lo misurava con occhiate inquisitive, disse: – Tu, da quel che ho potuto capire, vorresti sapere l'arcano del mio naso: allora devi sapere, – continuò Naso a pesetto, – che quando io ero vivo...

– O che ora sei morto?

– Son peggio, perchè, fossi morto, ritornerei nei sogni e darei agli amici i numeri del lotto. Dunque, quando ero vivo e negoziavo di bestiame, un negoziante, detto di soprannome «Boddino», a cagione di una senseria andata a male mi tirò un morsotto alla via del naso e me lo staccò di netto. Lei, – soggiunse accennando la padrona, – mi ha conosciuto col mio naso profilato; ma di quello non ne parliamo più. A cagione di questo spregio mi chiamano Naso a pesetto, che significar vorrebbe pisello, come ognun sa. Al momento ha rilevato questo demonio dal canto del fuoco dove suo padre e sua madre lo tenevano come un gatto infreddolito e ora te lo diverto per le vie dell'universo mondo. – Gli occhi bianchi del cieco si affissavano sul soffitto travicellato, ma pareva vedessero il cielo e sospirando egli tremava. Naso a pesetto gli offerse un bicchiere di vino, ma parve gli offrisse aceto e fiele, chè il cieco quando l'ebbe bevuto fu preso da un tremito convulso.

– Le famiglie di questi demonicontinuò Naso a pesetto – si sono ammalizzite e ora li tengono su di prezzo; e come hanno saputo che nella Lombardia la gente ha il cuore tenero, tutti li stradano lassù: ne è passata una barrocciata anche stamani allegri come matti. – Sulla bocca del cieco alitò un sorriso.

Naso a pesetto raccontò come qualmente a istruire un cieco alle lamentazioni per intenerire il prossimo ci voglia tanto tempo come ad istruire un merlo a cantare, perchè le lamentazioni debbono essere adeguate al luogo e alle persone. Se transitano operai, di ritorno dalla loro opera, allora conviene che il cieco prorompa in questa lamentazione: – O fratelli, ebbi gli occhi inceneriti da una mina. – Se ci affacciamo alla grata di un convento, con la voce in falsetto deve gemere: – Fratelli in Cristo, ho già la morte in bocca. – Quando ci fermiamo, come due ladroni, al di qua dei cancelli delle ville e il cane abbaia, tra un abbaio e l'altro il cieco urla: – Signori, a questa vita preferirei la catena del vostro cane. – Quando passano sulla via maestra dei signori in carrozza, per strappargli una palanca deve fare il viso di santo e dire: – Signori, fate la carità, e pregherò San Venanzio che vi liberi dalle cadute.

Naso a pesetto raccontò inoltre che lui si era scaltrito da ragazzo per la Francia dove lo aveva condotto un cieco, un demonio incarnato, che lo teneva a catena come un cane e lo battezzava tre o quattro volte al giorno con il bastone di ginepro tutto nodi che gli serviva d'appoggio e col quale tirava di scherma così bene che pareva ci vedesse. A queste parole, il cieco noleggiato da Naso a pesetto sorrise e gli sorrisero anche le due gocce di sangue nell'orbite vuote.

Ora alziamoci, che il sole sfiora i rami delle pioppete e la caldaccia è spenta; dobbiamo prendere la gente a cena come si prendono le galline al pollaio perchè quando la gente è satolla ha il cuore più tenero. – Naso a pesetto pagò il conto, si fece prendere la giubba dal cieco e, appena fuori dell'osteria, svelse la gruccia, ma se la mise alle spalle come un vecchio fucile, chè quella entrava in ballo soltanto vicino agli abitati.

 

 

Oggi, dopo una venticinquina d'anni, ho rivisto Naso a pesetto fuori alla porta di Pietrasanta, col naso scalciato rivolto verso un cartello di legno su cui era scritto in nero fumo: «Proibito l'accattonaggio». Mentre stava compitando, un giovanotto scalmanato gli si accostò e gli chiese risoluto:

– La faresti da comparsa in una mascherata? Tra poco è l'ora del Corso e manca un uomo; il viso l'hai già rinceppato; con due mani di tinta sei a posto.

– Vengo subito, ragazzo, ci vengo anche in collo, – rispose serio Naso a pesetto.

Il giovanotto scalmanato ha condotto Naso a pesetto in un baraccone, simile a quelli degli zingari, dove a questo sole che arroventa le lamiere si preparava, per la curiosità dei villeggianti, un frutto fuori stagione: la mascherata dei mangiatori di tortelli. Colossali tortelli di carta pesta dipinti con lo zafferano e ripieni di segatura pendevano da certe pertiche d'ontano. Naso a pesetto guardandoli ha detto ad un suo pari:

– Li mangeresti lessi con un po' di sugo finto?

– Li mangerei, anche se fossi sicuro che mi facessero indigestione.

Fate bene la vostra parte, che se si vince il premio stasera si assaggiano quelli veri con una bella nevicata di cacio parmigiano, – ha detto il giovanotto.

– E se putacaso non si vince? – ha chiesto Naso a pesetto perplesso.

– Se non si vince, – ha risposto il giovanotto scalmanato – vi si fa una bella zuppa con una bella nevicata di cacio pecorino sopra.

Dopo di che Naso a pesetto si è sgusciato di dosso gli abiti usuali e ha indossato quelli del mascherotto: una lunga giornea, un goletto di cartone bianco, i pantaloni a righe, un cilindro nero come un tubo di stufa, e le scarpe d'inceratino lustro. Un giovanotto truccava le maschere con barattoli di tinta di svariati colori, e un altro congegnava sui nasi veri quelli di cartone tutti laccati come peperoni: quando è toccato il turno di Naso a pesetto, egli si è seduto su di una pietra come dal barbiere. Il giovanotto osservandolo ha detto ai suoi compagni:

– Questo viso rinceppato lo lascerei così: a trovarne un altro simile bisognerebbe girar l'universo mondo.

La mascherata si è avviata verso i viali delle tamerici: ogni mascherotto aveva in mano un forchettone e doveva far l'atto d'infilare il tortello che gli pendeva davanti congegnato sulla pertica d'ontano, e la gente ad ogni colpo a vuoto si sollazzava e rideva. Quando l'arie han cominciato a farsi brune e gli innamorati sentivano desio di ritornar soli sulla battima del mare, c'è stata l'assegnazione dei premi e un bel premio è toccato ai mangiatori di tortelli falsi, guadagnandosi così quelli veri.

 

 

La tortellata è avvenuta in un'osteria periferica: un vassoio colmo di tortelli ripieni ha fatto apparizione sulla tavola dei mascherotti; per ispregiare qualcuno in cucina avevano fatto un enorme tortello e l'avevano riempito di segatura. Tutti ci fissavano sopra gli occhi allupati. Naso a pesetto, allungato l'enorme braccio armato di un forchettone e urlando alla brava: «Qui c'è mio», ha infilzato il tortello, il re dei tortelli. I commensali simili a congiurati si son alzati e infilando le forchette nel vassoio han gridato in coro: «Qui c'è di tutti». Naso a pesetto svelto si è portato alla bocca il tortello gigantesco che, azzannato, ha esploso come una bomba: un profumo di segatura di pino s'è sparso per la stanza. Naso a pesetto, ingoiando il ripieno resinoso, ha detto ai commensali: «Fa buono ai bronchi».







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