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Nella calura di questo settembre torrido la cattedrale di San Martino sembra calcinata sul cielo incenerito. Un'ombra gigantesca s'abbatte sul piazzale, la investe di stupore lunare. Un cappuccino, sotto la spera del sole, avvampa come una terracotta. Sul saio, al posto del cuore, sanguina una croce entro un cerchio di stelle. Delle donnette scarne, invelate di nero, offrono candeli, che tengono affasciati sul petto. Sotto il porticato, dall'architrave, dalle tre porte dei teli rosso-granati avvampano l'ombre. La poveraglia ha accaparrato i posti migliori. Le scalinate del Monte di Pietà portano stampe di Goya sul piazzale. I colonnati vi mettono il Magnasco. La siccità ha messo su tutto, terra, cattedrale, alberi, cielo, i toni riarsi, tabaccosi dei due pittori vigorosi ed estremi.
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Dal giorno in cui un paio di giovenchi indomi, aggiogati al timone d'un carro, su cui era caricato il simulacro del Volto Santo, sfrenati sulla spiaggia di Luni, si fermarono in Lucca:
O Lucca fra cento
qui si celebra in modo trionfale la festa della «Santa Croce».
Non v'è lucchese ben costumato che nei perigli non invochi: «O Santo Volto, ora m'aiuta!»
La scena leggendaria dell'arrivo del Volto Santo in Lucca è tramandata a noi dal fantasioso pennello dell'Aspertini, che spaziò sopra una vasta parete del San Frediano.
Leggende su leggende mettono un'aura di ardente mistero sulle vicende della Sacra Imagine.
La leggenda è la collaborazione di tutto un popolo e per il popolo diventa verità scritta. La cronologia, per distruggere la leggenda, s'allea talvolta alla matematica, calcola i secoli, addiziona gli anni degli imperi e dei reami, sostanzia di congetture e di dati le ipotesi, discarna all'osso, richiama al margine, dove il numero romano dà man forte a quello arabo, fa palpitare ovunque il sincopato delle abbreviazioni. Per fortuna della poesia e della fantasia, il popolo continua inebriato a cantare e a volare.
Analogie di concetto informativo e plastico si riscontrano tra la scultura e il legno del Volto Santo e certi Cristi dei primitivi spagnoli.
Forse un giorno il trivello del tarlo, che pertugia i cervelli insofferenti del vago, scoprirà dove, da chi e perchè fu scolpita l'Imagine. Ma nel cuore del popolo Essa resterà sempre l'opra di Nicodemo, il quale, imbalsamato il Divin Corpo dopo averlo deposto nel sepolcro, si accinse a ritrarne le divine sembianze. Essendosi egli addormentato durante il lavoro, ebbe, al suo risvegliarsi, a trovare i lineamenti di Lui condotti a termine da mano ultraterrena. In seguito l'Imagine, posta sopra un battello mandato da Dio dopo un viaggio meraviglioso, giunse, senza remi nè vele, da Giaffa al porto di Luni, donde fu dal vescovo lucchese Giovanni portata, per ispirazione divina, a Lucca.
Il popolo non fu pago della divina ispirazione che ebbe il vescovo Giovanni. Questo «fanto» (sulle spiagge della Lunigiana, ai tempi in cui vi fece approdo la miracolosa barca, si chiamavano così i fanciulli) ha voluto rimpolpare di sua fantasia l'ossatura della leggenda primitiva: i popoli rivieraschi, apuani caparbi e versiliesi testardi, vennero ad aspra contesa per il possesso della scultura miracolosa; prima che si spargesse sangue, si scese a patti di buona guerra. Si tolgano dalla stalla due giovenchi indomi, si ponga sopra una «mambrucca», – carro o plaustro, – la scultura e, dove i giovenchi si fermeranno, gli abitanti del luogo prescelto prenderanno possesso del Volto Santo.
I giovenchi, tragittato il piano di Luni, la piana della Versilia, valicato il monte Quiesa, salito un arduo ponte sotto le cui arcate il Serchio, fra olmi, frassini e pioppi, rompeva le sue acque spumanti contro mucchi di pietrame, percorsero con le ruote sonanti lo stradone di Sant'Anna e si fermarono in Lucca:
O Lucca fra cento
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Da quel giorno memorabile il Volto Santo ha avuto sempre in Lucca feste trionfali. Anche nei tempi delle calamità, delle carestie, della fame, quando la gente era ridotta allo stremo, ed esseri d'ogni condizione, insieme commisti dalle tristezze e dalle tribolazioni, vociavano verso il tempio, per ivi genuflettersi sui lastroni delle sepolture o invocavano con gli occhi affebbrati il lampo d'una estrema speranza: «O Volto Santo, or ci aiuta!».
Più tardi, narrano le storie, le feste del Volto Santo avevano forme e caratteri di feste nazionali, chè feste puramente civili erano allora ignorate, perchè i nostri padri erano avvezzi a confondere in uno stesso affetto l'Altare e la Patria, talchè non altrove decidevano, per ordinare le sorti della Patria, se non a piè degli Altari. Il segno di sudditanza o vassallaggio verso la suprema autorità politica o civile dello Stato lucchese consisteva appunto in un omaggio reso al Volto Santo. Era solenne decreto che ogni Comune o popolo della Repubblica, per le feste della Santa Croce, dovesse inviare un suo rappresentante e offrire al Volto Santo un cero semplice o fiorito.
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Anche ai tempi di Carlo Lodovico, duca di Lucca, benchè si approssimasse il tempo della rivoluzione (1845), al Volto Santo furono tributate feste trionfali: Carlo aveva dato freno al moto perpetuo che lo rodeva; l'angelica Maria Teresa di Savoia, inconsolabile consorte del duca, portò in quell'anno lo splendore della sua presenza sotto le volte della cattedrale.
Carlo, seguito dai ministri esteri e dello Stato, dall'autorità giudiziaria, dallo Stato Maggiore e da tutte le associazioni religiose, preceduto dalla Milizia urbana di ricca uniforme adorna e dalla truppa di linea, entrò nel tempio in gran tenuta, coperto del manto di Calatrava, rivolgendo ovunque il suo amabile sorriso a tutto il popolo affollato, su cui brillava anche lo sguardo religioso e pio, il sorriso di paradiso di Maria Teresa.
Il maestro Giovanni Pacini, l'immortale autore della Saffo, dirigeva una sua messa in quella solennità.
«Io, – egli narra, – mi stavo pertanto tranquillo e già tutti gli esecutori erano al loro posto, aspettando per dar principio l'arrivo delle loro Altezze Reali. Ecco che la Real Casa entra nel tempio e contemporaneamente giunge un ordine del Principe che ipso facto tutti i bandisti devono tornare al loro posto. La maggior parte di loro faceva parte della musica militare e io rimango coi soli violini, viole, contrabassi, un flauto e un corno».
Il maestro, con uno strattagemma degno del suo genio fiammante, si intese rapidamente con l'organista di cappella e i vuoti furono colmati dal frenetico galoppare delle dita sulla tastiera. La vasta concezione della partitura affascina lo stesso Principe e il popolo, in adorazione davanti l'imagine di Colui che tutto regge.
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Anche nei secoli remoti, quando dai monti e dal contado recarsi in Lucca non era agevole, al Volto Santo furono tributate feste memorabili. I pellegrini, lungo le vie che muovevano a Lucca, trovavano ricetto negli ospedali. Ve ne eran tanti di questi asili che, ovunque un pellegrino fosse stato colto dalla notte, non doveva correr molto per trovar l'albergo della carità. Ivi trovava chi, genuflessogli dinanzi, lavavagli umilmente i piedi; altri lo ristorava di cibo e ammannivagli il letto. Se il pellegrino, percorrendo sentieri mal tracciati, smarriva la via, poteva orientarsi al suono di una campana, posta sopra un castello elevato.
Da quel tempo, per i miracoli fatti, la statua del Volto Santo fu coperta d'oro. La figura, spoglia, mostra un saio con pieghe scavate e risolute; sull'anche scarnite è accappiata una corda, che scende a nodi sul corpo «scusso di carne»; sul capo balenante di umiltà gli fu posta una corona regale; i piedi stecchiti furono calzati in pantofole tempestate di pietre preziose. Chi osserva oggi l'Imagine, collocata entro un tempietto costruito dal Civitali nell'interno della cattedrale di San Martino, osserva che un piede è scalzo e la pantofola è immersa in calice d'oro. Vuole la leggenda che un povero tristo e meschino si recasse un giorno sotto il Volto Santo, si prostrasse ginocchioni sul pietrato: «O Santo Volto, or m'aiuta!». Il Santo gli gittò in elemosina la pantofola. Il povero, atterrito quasi, portò in sacrestia l'offerta del Padrone del mondo. Processionando in folla, preti, poveri e fedeli riportarono la pantofola al Santo, ma Egli gittò ancora la pantofola al povero. Così per tante volte: allora questa fu posta nel calice, che è collocato a' piè della Croce.
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Il 14 settembre, per la Santa Croce tutto un popolo passa sotto l'Imagine e sono genti scese dalle Pizzorne, che risalgono la piana e vengono dal mare; il tempio è come sommerso in un pelago nero. La folla va ed esce a ondate; quando sfocia dalle porte sembra acqua che rompa improvvisamente le cateratte. Anche i giorni in cui il Volto Santo è occultato da un drappo di damasco su cui v'è ricamata la sua Imagine, intorno al tempietto stazionano povere anime in pena, che implorano trasumanate quasi: «O Santo Volto, or ci aiuta!». Donne, i cui figli sono alla perdizione del mare, donne i cui figli sono a repentaglio del male sulla dura terra. Il Volto Santo non è mai solo.
Anche sugli stendardi delle Confraternite della gente di mare è dipinto il Volto Santo. Il viandante, che all'alba nel primo giorno di novembre transitasse sulla spiaggia della Lucchesia, vedrebbe delle turbe inginocchiate sotto gli stendardi e il prete benedire lo sterminato cimitero senza tumoli nè croci. Sono le figlie, le madri, le vedove, i parenti dei marinai pericolanti nel pelago.