Lorenzo Viani
Il nano e la statua nera

NELLA SVIZZERA TOSCANA

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NELLA SVIZZERA TOSCANA

 

 

 

 

 

Questa torrida estate, dalle crepe della terra arsita, non hanno ancora messo fuori il capo certi serpentelli lucertiformi dal manto viperino che di solito, di questi tempi, strisciano sotto i mortellini lineanti i viali di questi colli ventilati.

Ne chiedo la ragione a un vecchio magnano che, uso al fuoco com'è, transita carico della bolgia, la valle ove grandeggiano il Ponte del Diavolo e il monte della Croce:

– Dov'è il Diavolo la Croce è vicina, – dice il magnano cennando il monte.

– O le serpi, quest'anno?

Signore, la terra è onesta, se non oggi darà domani.

I magnani conoscono molti segreti. Dal vecchio ho saputo che nell'Apocalisse v'è dubbio se, quando il demonio s'incarna, prenda forma di serpe o di leone:

– Ma lei può andar tranquillo tra questi serpentelli, chè Iddio al serpente velenoso diè il sonaglio. – Ho appreso che il serpe non morde il dormiente, che se vuole entrare tra le anguille deve prima schizzare tutto il veleno. In Francia li chiamano anguille di bosco e se ne cibano anche.

Molte cose ho, appreso, ma non ho saputo perchè quest'anno non si sono ancora destati i serpentelli.

La terra polla acqua; sotto i rovi è tutto un bulicame. Qui l'acque scaturiscono bollendo, salate sulfuree fanno pensare a un certo che di inferno. Acque naturalmente medicate vanno per canalotti a stemperare quelle fredde del Camajone. Le virtù curative di queste sorgenti furono scoperte da pastori erranti con le lor greggi sui colli di Corsena: le pecore infermate dalla rogna venivano gettate nell'acque, allora appozzate, e dopo poche immersioni risanavano.

Subito si fantasticò sui miracoli di queste sorgenti e fu un correre di gente affebbrata da ogni dove. Si sa che il 3 aprile del 1291 la Società dei capitani di Corsena passò la proprietà del «Bagno caldo» a tal Puccio di Gallicano, fabbro della corte Balbanese, con l'obbligo di edificarvi un Ospizio per la cura gratuita delle acque ai poveri e un'alberghiera per i romei.

 

 

Ho preso stanza nell'alberghiera dei romei aggeggiata, oggi, a «pensione di famiglia». Giù, molto in giù, brontola il Camajone occultato da un'amorosa famiglia di piante, dall'abete alpino alla palma. I – «Qui tutto è fiamma e azzurro», come disse il Carduccicoronano l'alberghiera. Dirimpetto, rivestite d'ellere e di rose son le ville di don Leone e Fabrizio Ruspoli da cui a ore insolite s'odono strane voci come di maghi che parlano tedesco e con il loro vocione rintronano tutta la valle: è la radio. Quella del prete interviene dal colle vicino con accenti melodrammatici, un'altra radio, lontana lontana, sembra una raganella. E gli usignoli e il murmure della Lima e del Serchio?

 

Oh, come scorre limpido il Serchio, che strane canzoni

dicono al vento i platani!

come dai salti rossi, da' folti canneti germoglia

il fior delle memorie!

 

Ispirazione carducciana ottocentesca.

 

E

la vacca fece un

e il lupo lo mangiò.

La vacca piangeva

e il lupo rideva.

 

Canzonetta di folclore. Adesso radio Napoli.

Anche la biblioteca della «pensione di famiglia» è ottocentesca; la rivista più recente è La palestra letteraria, artistico-scientifica diretta da Luigi Perelli, edita a spese e per opera d'una società di giovani azionisti-collaboratori, la quale vedeva la luce in Milano nel 1868. Poi, debitamente lavorata dai tarli, c'è l'Apocalisse «discifrata et esposta con dubii morali in ventitrè lettioni», e poi La frusta del Baretti.

Sopra la pensione sgorga l'acqua del San Giovanni, diuretica alcalina; la cannella getta perennemente «bibite gratuite», se ne può portare a casa dei fiaschi. Stamani di buon mattino ho veduto un tipo sospetto di bevitore di vino aggirarsi sospettoso intorno alla fonte con due fiaschi che ha empito quasi di trafugo.

Galantuomo, sono per voi quei fiaschi? – gli ho chiesto.

– Sono per mia moglie. Io non me ne giovo, – ha risposto.

Ho chiesto al padrone della «pensione di famiglia»:

Sor Cesare, li legge lei cotesti libri?

Nooo, – ha risposto quasi offeso.

– O questa Frusta, per esempio, chi l'ha introdotta nella vostra pensione?

Il sor Cesare ha sorriso ambiguo mormorando: «La frusta... io conosco quella che do sulla schiena al mulo».

Il mistero della Frusta è stato chiarito stamani: un giovanotto ben portante, biondo, occhi azzurri, giacca malva, pantaloni bianchi, calze bianche, scarpe bianche, è salito trafelato dal «Ponte» ed ha chiesto ansante:

Ieri sera ho lasciato qui la frusta.

– La frusta? Guardate giù nella stalla, – urla la padrona.

– Ma è un libro!

Il sor Cesare è salito ed è tosto ridisceso in sala con la Frusta.

– E pensare che si chiama come me, – ha detto il sor Cesare mentre il giovane garbato scendeva le scale.

– Mi pare un giovane garbato.

– Sì, ma i pittori son tutti matti.

– Ah quello è un pittore?

– Mi lasci pensare... novecentista. Può darsi?

 

 

Dunque dalla Frusta risulta che il Baretti fu ai Bagni di Lucca in lieta brigata d'ambo i sessi. Nessuno penserà che queste acque miracolose abbiano la virtù di curare le gambe di legno, quella povera gamba di legno del Baretti che sulle pagine della Frusta salta a destra e a manca e sempre cammina e mai si stanca «però si ferma quando un piè li manca». Qui ai bagni Aristarco Scannabue ci capitò con ambo le gambe e ben piantate, almeno pare da quella vita che egli confessa di averci trascorsa: «...ed io mi ricordo ancora con gusto che un mezzo secolo fa me la passavo molto lietamente a quei Bagni, mangiando, bevendo, e cantando, e ballando assai di giorno e di notte con amabili brigate di persone dell'uno e dell'altro sesso, dopo essere stato dalla virtù delle acque e de' fanghi prestamente guarito d'una buona ferita fattami in un braccio da una bella schioppettata che ebbi l'onore di ricevere in Fiandra, quando seguivo le bandiere del famoso duca di Marlborough. Oh che bei tempi erano quelli, e che peccato che siano passati! Ma che ci fare!».

Ai tempi dell'irrequieto, impetuoso, indocile Aristarco Scannabue, il quale trovava cosa oscura e noiosa la Commedia di Dante, non era ancora passato di moda l'uso che il primo venerdì di marzo nelle piscinedestinate ai vari ordini di pazienti divisi in queste categorie: cavalieri e dame forestiere, cittadini e cittadine lucchesi, ebrei ed ebree... e servitori, – sebbene la stagione balneare non fosse ancora inaugurata, si facesse una gara di tuffo nelle acque, affermando una pia leggenda che nella notte innanzi un angelo le avesse benedette col remeggio delle nivee ali, come già la probatica piscina, dove si lavaron le pecore da sacrificarsi.

A intervalli, or brevi or lunghi, nelle storie o nel parlar figurato, le greggi ricorrono nella copiosa e ricca storia dei Bagni.

Dicono le minuziose storie di queste Terme che un , – remoto, – i mariti corressero... ben altri pericoli mandando le lor mogli sole ai bagni.

«Nell'estate del 1518 essendo andati alli Bagni alcuni nobili forestieri colle loro donne per valersi, secondo il solito, del benefizio di essi per conservazione della loro salute, un certo Bernardino del Colle ebbe ardire di entrare nei bagni delle donne, armata mano, mentre ignude erano in essi bagnandosi, e, spalleggiato da altri suoi seguaci armati, tentò di far violenza ad alcune di esse, ma corsi alle loro grida i mariti, non potè il temerario effettuare l'enorme suo intento, ma solo si satisfece di partirsi con le mani insanguinate...».

 

 

Come le serpi stanno, a tutt'oggi, nei loro pertugi riarsi così le donne stanno oggi nascoste entro la Grotta e quando escono sono imbacuccate tanto che si scorge loro appena la punta del naso e quelle che si bagnano a pila entrano in certe celle pulitissime, ma ergastolane, ed escono come incappucciate e sudano e sudano come statue di cera e quando mettono il capo fuori lo fanno con la prudenza delle serpi.

Gli uomini, – i semplicioni, – escono dall'altro braccio dello stabilimento sbuffando e condolendosi: – Mi pare di aver la testa di cera, – e si abbiacchiscono al sole come colossali statue di Medardo Rosso.

– Chi ha la testa di cera non stia al sole, – una vocina muliebre ha gridato così di sotto le gretole delle persiane della «pensione di famiglia».

Un campanello par che suoni a disgrazia. Tutti i dormientidestano di soprassalto. – Cosa succede? Un novello Bernardino del Colle insidia le mogli?

– A colazione, signori!







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