Gerolamo Rovetta
Ninnoli

ERA MATTO O AVEVA FAME?...

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ERA MATTO O AVEVA FAME?...

 

Quella mattina il buon Michele si alzò più presto del solito. Aveva cenato la sera innanzi, e non avendone l'usanza, gli era rimasto il cibo sullo stomaco, si sentiva la testa pesante e la bocca amara. Non fece colazione punto; prese soltanto il caffè con due gocce di latte, e poi bighellonando , dove il fumo del sigaro lo conduceva, infilò, senza avvedersene, per forza d'abitudine, la Via Nazionale, dove stava di casa la contessa Lavinia: una signora, che voi mi domanderete subito se è vedova, perchè io vi possa rispondere di sì, e salvarle in tal modo la morale della favola.... che non c'è.

La contessa Lavinia è bionda; non come Giulietta o come Ofelia, ma come una marchesa dei proverbi di De Musset, di quel biondo capriccioso, a giorni rossiccio, a giorni quasi castano. È carina, è buona, è amorosa; e quando voi desiderate una cosa, se la contessa Lavinia non la vuole, essa, per non disgustarvi, non vi dirà di no colla bocca, ma piegherà la sua testina lentamente, sorridendo coll'aria di una bimba che fa i capriccetti colla mamma.... Però quel sorriso amabilissimo, quel no che pare uno scherzo e una carezza insieme, sono inflessibili.

C'è un capitano di stato maggiore, per esempio, il cavaliere Arditi, che le fa una corte spietata: orbene, il buon Michele n'è geloso come un Otello.... bianco; suda veleno ma protesta invano.

- Cattivo! cattivo che sei!.... Non capisci mo'che sopporto la corte degli altri per nascondere la tua? - E con questa scusa, che pare buona per la grazia con cui sa dirla, Lavinia si tiene il capitano Arditi sempre fra i piedi.

Proprio quella mattina, passeggiando lemme lemme, come vi ho narrato, in Via Nazionale, il nostro amico pensava appunto al capitano, che la notte scorsa avea ballato colla contessa il cotillon, quando, attratto da un rumore di sproni che battevano sul marciapiedi, alza il capo e se lo vede, luccicante d'oro e colla durlindana sotto il braccio, ca minare in fretta, pochi passi dinanzi a lui.

- Da dove è saltato fuori? - borbotta Michele certo è uscito dalla casa della contessa. Non c'è dubbio, la casa della contessa è a dieci passi, lui è a venti, e prima non lo aveva veduto.

Ad ogni costo vuol sapere come sta la faccenda, e si affretta per raggiungere quell'altro.

- Capitano! Capitano!... Buon giorno!

- Oh!... Buon giorno, conte Michele!

- Dove si corre, se è lecito?...

- Devo essere al Comando alle undici, figuratevi, e sono adesso le dieci e mezzo.

- Diavolo, chissà chi vi avrà fatto perdere tutto questo tempo!

- Affari di servizio.

- Ma servizio di che genere? Maschile o femminile?

- Il servizio, pur troppo, è di genere neu.... To'! benissimo! una vettura!... Fiaccheraio, sei disponibile?

- Sissignore!

- Scusate, ma come vi ho detto, sono in ritardo.

E il capitano Arditi stringe la mano al giovanotto, salta nella carrozzella e grida al vetturino di condurlo al Comando militare.

Il buon Michele era rimasto con un palmo di naso.

- Certo - masticava fra , e intanto sentiva la bocca farsi sempre più amara - certo esce da lei. Non ha voluto dirmi nulla, non ha voluto spiegarsi.... e poi lo si vedeva com'era imbarazzato. Però questa faccenda bisogna chiarirla subito. O lui o me, o dentro o fuori, cara contessa! Ah! Ah! Crede lei di potermi sorbire come il caffè? Tanto meglio; ma quest'oggi mi troverà senza zucchero, mi troverà. Un po' per uno, signora mia. Avete sempre comandato voi? Va bene; e adesso tocca a me a comandare. Ma non sono che le dodici, e fino alle due tanto non mi riceve! Come bruciarle queste due ore?...

Il buon Michele si pose a passeggiare; ma gira e rigira, ogni volta che guardava l'orologio, quella benedettissima lancetta non avanzava mai; pareva che avesse il granchio!... Allora egli si sentiva addosso, con un orgasmo nervoso, il bisogno di rivederla, di trovarsi con lei, di farle una scena!... - Intanto, per non perdere il tempo, ruminava nella mente le frasi meglio adatte colle quali egli avrebbe fatto colpo, rimproverandola. Quando era contento dell'effetto, si fermava su due piedi, rispondendosi quello che gli avrebbe risposto Lavinia, e concludeva combinando in cuor suo di finire la visita fissandola con due occhi freddi, proprio di stagione, perchè s'era in gennaio, e di dirle lentamente sottolineando le parole:

- Amleto, quando chiamò la donna perfida come l'onda, non era matto, signora contessa, no, non era matto!

Ma dopo quello sfogo, dopo quel borbottare eccitato, a mezza voce, il petto gli faceva male e lo prendeva l'angoscia ed una prostrazione di forze generale. Allora si sentiva avvilito, non ci trovava più nessun costrutto nemmeno a perdonare alla contessa Lavinia, s'ella si fosse anche gettata alle ginocchia di lui; tanto e tanto egli sapeva ormai di essere ingannato; si sentiva ineffabilmente infelice, vedeva farsi il vuoto d'intorno e, cosa strana, lo provava anche dentro di , batteva i denti sotto quel sole falso di gennaio, aveva una gran voglia di piangere; e non essendo che le dodici e mezzo, pensò che poteva ingannare benissimo un quarto d'ora facendosi radere la barba.

- Perfida! Perfida come l'onda - borbottava fra sospirando, mentre il barbiere lo insaponava. - No! Non era matto Amleto quando lo disse.... Ohi! Ohi! senza il contrappelo, mi raccomando!...

Rasa la barba ricominciò a camminare, benchè provasse un'insolita stanchezza. Ebbe quasi l'idea di far colazione, ma quell'idea non fu così forte da sedurlo. Ormai cominciava a soffrire l'inappetenza per il lungo digiuno. Guardò l'orologio: segnava le una e mezzo. Alle cinque desinava; facendo colazione allora, si sarebbe rovinato il pranzo, e poi aveva più volontà di morire che di mangiare!... Vi rinunciò, e, prendendola larga, si avviò di nuovo verso i paraggi di Via Nazionale. Di quel passo , sarebbe cascato da Lavinia in punto alle due.

- E se invece la piantassi? Se non mi facessi più vedere da lei?... così alla chetichella, senza dirle nulla, all'inglese?

Giunto sul posto, guardò di nuovo l'orologio: era l'ora precisa. Benchè avesse già infilata la porta, si pentì, ritornò indietro: sarebbe stato ridicolo, facendosi vedere così puntuale da lei che lo tradiva, che lo faceva aspettare fino alle due; e ciò considerato, volendo salvare la dignità, rifece la passeggiata almeno per altri dieci minuti.

 

*

* *

 

Quando fu introdotto nel salottino particolare dove Lavinia non riceveva che gli amici, gli toccò di attendere, secondo il solito. dentro c'era un odore così acuto di viole e di mughetti, che gli fece crescere il mal di testa e cominciare anche il mal di gola, quando un noto aprirsi e rinchiudersi di porte vicine, ed un fruscio di abiti, lo avvertì che Lavinia stava per giungere. Egli adesso aveva abbandonato il progetto di assalirla con una scenata; non aveva più lena di parlare.

All'indifferenza avrebbe opposto indifferenza; la trovava anche più scicche, e invece di aspettarla dietro la porta per sorprenderla con un bacio, si cacciò nel vano della finestra, guardando fisso in istrada, fingendo di non accorgersi della sua venuta e di essere assorto in lontani pensieri.

Lavinia gli si fece vicina, piede innanzi piede, trattenendo il respiro, poi, improvvisamente gli chiuse gli occhi con le mani:

- Ah!... siete voi? - Il buon Michele prese un'aria trasognata, che parea venisse allor allora dall'altro mondo.

- No, sai, è stato il babau - e la contessa, ridendo, andò a rannicchiarsi, co' suoi atteggiamenti di gattina indolente, in un cantuccio in fondo del canapè. Michele le tenne dietro, ma si fermò a sedere due poltrone distante da lei. Lavinia lo fissò, poi:

- Temporale, quest'oggi - esclamò con aria di amabile canzonatura.

- Tutt'altro, bonaccia completa - rispose Michele senza guardarla.

- Sarà.... sarà.... sarà ma non lo credo! - canterellò Lavinia a mezza voce.

Michele non fiatò, tutti e due stettero zitti zitti, immersi nella meditazione. La contessa, dal canapè, sfilandosi colle dita inquiete le frange della manica, di tanto in tanto, di sottecchi, guardava Michele, che mezzo sdraiato sulla poltrona, una mano in tasca, il bastoncino nell'altra, gli occhi per aria, scotendo convulsamente una gamba, faceva battere il tacco sul pavimento con un tic, tic, tic, regolare, monotono, inquietante.

La contessa Lavinia, in fondo, era una buona donna.... Oh Dio, non moriva d'amore per Michele, questo no, ma gli voleva bene e le rincresceva di vederlo così imbronciato. Dopo un po' di tempo che durava quella scena muta, si rizzò dal suo cantuccio, e pian piano, leggera, si avvicinò a quell'altro, gli si inginocchiò dinanzi, poi appoggiando i gomiti sui bracciuoli della poltrona, e congiungendo le mani in atto di preghiera:

- Andiamo, parla - le disse - qual nuovo misfatto ho io commesso?...

Michele continuò ostinato a non guardarla, e aspettò del tempo prima di risponderle.

- Avete voglia di scherzare, voi - le disse alla fine.... con una voce incerta.

- E lei?... avrebbe volontà di dormire, lei?...

- Quasi! - rispose l'altro con un vocione brusco brusco, mettendosi il corno del bastoncino sulla bocca per nascondere uno sbadiglio. - Notate bene, anche quello era uno sbadiglio nervoso.

- Allora s'accomodi sul canapè, vi starà meglio - e Lavinia forzò il buon Michele, strascinandolo contro voglia, lei gaia, sorridente, birichina; lui duro, imbronciato, a cambiare di posto. Poi gli si sedette accosto, vicinissima, e gli prese una mano, affaticandosi inutilmente per riuscire a sbottonargli un guanto.

- Via, noioso che sei, lèvati i guanti!

- No; adesso me ne vado. Con questi fiori c'è da rimanere avvelenati - e si schiarì la gola due o tre volte, dispettosamente pensando fra , con una gelosia rabbiosa, che, ad onta di tutte quelle moine, il capitano era ricevuto prima delle dodici, mentre per lui la porta rimaneva chiusa fino alle due. - Perfida! - Più Lavinia quel giorno gli sembrava carina, attraente, e più cresceva il suo malcontento, così ch'egli adesso ritornava infelice, ma di una infelicità che lo rendeva fiacco, sfinito, sotto il colpo improvviso di quel gran dolore. Rimproverarla? a che pro? Lei avrebbe negato, lui non le avrebbe creduto, dunque.... dunque tanto valeva risparmiare il fiato e mostrarsi invece un uomo di spirito coll'abbandonare quel posto assediato e forse, Dio non lo volesse, espugnato dallo stato maggiore! - Nella guerra d'amor vince chi fugge! e allora chissà, fuggendo lui, che Lavinia non incominciasse a corrergli dietro. Michele però non si fermerebbe, continuerebbe a fuggire, ed era tanto risoluto in quella idea, che già si sentiva le gambe stanche.... forse per il gran correre che faceva coll'immaginazione.

Lavinia, nel frattempo, sempre colla testa bassa e dopo molta fatica, era riuscita a levargli un guanto; rimaneva il secondo, ma il buon Michele, pochissimo compiacente, si ostinava a tener l'altra mano abbrancata sul bracciuolo del sofà, dalla parte opposta a quella dov'era seduta la contessa. Questa, ostinata anche lei, non si diede per vinta, si distese, si allungò, riuscì ad afferrargli il braccio e si sforzava a tirarsi Michele vicino, mentre la sua testina bionda passava e ripassava proprio sotto il naso di Michele, il quale, dalla gran paura che alle volte gli sfuggisse un bacio, piegò il capo vivamente all'indietro; troppo vivamente, chè colla nuca, battè, tanto forte da farsi male, contro la cornice a punte dorate del sofà. Lavinia non potè contenersi, cominciò a ridere, e più quell'altro faceva la faccia inferocita e più lei rideva. Il buon Michele, sfido io!, perdette la pazienza, e, un po' per il dolore, un po' per il dispetto della figura che ci faceva, e per tutto il resto unito insieme, si alzò, avviandosi risoluto verso l'uscio, e salutandola appena con un - Buon giorno - che pareva un morso dato nel vuoto.

- Vai via?

- Sì.

- Per ritornare?

- No.

- No?... per sempre?

- Per sempre!

- Tanto meglio!

Lavinia tornò a rannicchiarsi nel suo cantuccio.... ma questa volta fece il muso anche lei. Il suo però, manco a dirlo, era un musino che non aveva nulla a che fare coi visacci di Michele, il quale, giunto sulla porta, sperava che Lavinia lo richiamasse indietro; ma invece la contessa non fiatò; allora si decise da solo, e piantandosele innanzi, mentre lei tornava a sorridere, e fissandolo con degli occhietti furbi, sbarrati, ne imitava a tratti, comicamente, la mimica della faccia:

- Amleto - egli disse con tragica espressione - Amleto, quando chiamò la donna perfida come l'onda, non era matto, signora contessa, no, non era matto.

- Oh! oh! quanta erudizione! - esclamò Lavinia, con poco rispetto per l'oratore.

- Addio, signora contessa!

- Addio, signor conte!

- Stupida! - brontolò Michele fra i denti, attraversando l'appartamento, sconcertato per il cattivo esito della sua parlata; ma quando, nell'anticamera, aiutato dal servo, indossava la pelliccia, si riaprì la porta interna, e Lavinia, sorridente, scherzosa, maliziosetta, fece capolino fuor dell'uscio che teneva socchiuso, colla sua manina bianca quasi coperta dagli anelli ingemmati:

- Se stasera il signor conte si sentirà meglio, l'avverto, per sua norma, che io vado all'opera. Numero nove, second'ordine, a sinistra.

- Grazie, contessa, ma stasera devo andare alla commedia.

- Pazienza: la sua ferita le duole forse?

- Punto.... ma non è bella la vita!

- Si potrebbe sapere che cosa.... Jolanda ha fatto di male?

Il servitore serio, impalato, che teneva aperta la porta impediva a Michele di spiegarsi chiaro.

- Ah, contessa! - le rispose con aria diplomatica - Jolanda fa sempre e tutto bene.

Il peggior passo, quello dell'uscio, fu consumato: l'onore era salvo.

Però il nostro eroe, subito, col freddo della strada, sentì un sincero rincrescimento pel coraggio dimostrato; ma ormai, pur troppo, era inutile il pianto; ritornare indietro non si poteva più!... Allora, guardando atterrito nell'avvenire che gli si preparava, provò la sensazione di un vuoto così squallido, così debilitante, da essere costretto a chiudere gli occhi perchè lo prendevano le vertigini. Ritornò a camminare dinoccolato, sentendosi dentro una prostrazione tale come s'egli si fosse appena rimesso da una lunga malattia. Invece la covava addosso, la malattia; erano bastate quelle poche ore a minare la esistenza di lui; e mentre prevedeva i suoi proprî e prematuri funerali, mentre figurava la sua tomba bianca con un bel monumentino sopra, rappresentante l'amore che uccide, sentiva ripetersi in cuor suo, profondo, il melanconico lamento di Edgardo, e a mezza voce, convinto, mesto, rassegnato, canticchiava anche lui, il buon Michele - Mai non passarvi, o barbara - Del tuo consorte allato. - Qui, l'allato, si sa bene che invece di essere un consorte era un capitano, ma la situazione rimaneva la stessa.

Il povero infelice non aveva mai amato Lavinia, come allora che non l'amava più! - Era bellina tanto in quel suo abito così bene attillato!... Civetta!... Le mancava affatto il cuore, le mancava; ecco il suo difetto! Lo avrebbe tradito, avrebbe aspettato a riceverlo alle due suonate, s'ella avesse avuto solamente un po' di cuore? - In quel punto egli passava dinanzi al Caffè di Londra: vi entrò per ammollire con una limonata l'arsiccio della gola e si incontrò dentro, per l'appunto, con un frequentatore platonico della contessa Lavinia.

- Di' un po', Michelino, la contessa sta in casa stasera?

- No, va all'opera, credo.

- Sai il numero del suo palco?

- Il nove, second'ordine, a sinistra.... credo.

I due amici si strinsero la mano: uno si fermò nel caffè, l'altro, Michele, ne uscì e ritornò alle sue meditazioni peripatetiche.

- Appena quella gente , che adesso schiatta dall'invidia, conoscerà la mia ritirata, figuriamoci come gongolerà dal piacere!... Ma chi ci guadagna un tanto, per giunta, è il capitano.... Antipatico! l'unico che mi faccia dispetto, che mi faccia rabbia, chè, di tutti gli altri, non me ne importerebbe uno zero. Diranno adesso ch'io sono stato battuto, vinto, messo alla porta; è falso, falsissimo, perchè l'ho piantata io, la contessa Lavinia; ma questo fatto chi lo saprà?... nessuno, e intanto diverrò la favola, il ridicolo del paese.

E il buon Michele si vedeva adesso disonorato per avere appunto voluto salvare il proprio onore con troppa precipitazione.

- Se mi fossi ingannato - continuava - se i miei sospetti sul capitano fossero privi di fondamento? Oh! no; pur troppo tento d'illudermi, ma non ci riesco: stamattina potrei quasi giurare di averlo visto io, coi miei occhi, uscire da Lavinia. Che cosa faceva dunque in Via Nazionale?... Affari di servizio! li chiama affari di servizio, lui! Sarebbe un po' meglio che il Governo li facesse lavorare davvero, questi soldati, con delle marcie, con delle grosse manovre, con delle spedizioni, magari nel centro dell'Affrica. Oh! per Dio! sotto la destra se lavoravano di più! E poi con che costrutto cercherei d'illudermi? ormai la è finita: certo, se Lavinia non avesse avuto del contrabbando, non mi avrebbe proibito di andare da lei prima delle due!... Però è una gran disgrazia che mi è toccata, sicuro; e siccome le disgrazie non vengono mai sole, così ho avuta anche quell'altra di accorgermene troppo presto. Come farò d'ora in poi a passare il mio tempo?... La sera, pazienza, vuol dire che mi abbonerò al teatro come un marito qualunque; ma di giorno?... Che cosa farò tutto il santo giorno? Per oggi, tanto, sono le quattro e mezzo, ci rimedierò coll'andare a pranzo mezz'ora prima; ma domani?...

Non posso mica andare a pranzo appena alzato da letto, domani!... Perfida e senza cuore! -

Al club non trovò nulla di pronto e se ne indispettì, quantunque egli non sentisse la fame, essendosi anche troppo indebolito per causa della colazione soppressa e per la limonata che lo avea gonfiato come una rana. Avrebbe fatto bene a cominciare il pranzo con una minestra al brodo, calda e sostanziosa, e lui, difatti, l'avea domandata; ma quando il cameriere gli disse che bisognava farla andare apposta, allora la disordinò brontolando che il servizio del locale era un servizio pessimo e che bisognava cambiare la direzione. Terminato lo sfogo, si trovò dinanzi una porzione di carne lessata che opponeva al dente una ostinazione degna di miglior causa. Michele la voltò, la rivoltò, ci battè sopra sdegnosamente col piatto del coltello e finì coll'ingoiarla a stranguglioni.

- Auf!... che vita!... E pensare - continuava fra - che quella donna aveva l'impudenza di ripetermi due volte al giorno, dalle due alle cinque e dalle nove alle dodici, che mi voleva bene, e poi m'ha lasciato venir via senza dirmi una parola.... M'avesse scritto almeno, ma no: cioè no, veramente, non lo posso sapere, perchè in tal caso avrebbe spedita la lettera a casa mia; anzi è quasi probabile, è sicuro quasi che lo ha fatto. -

E allora, nella tenebra profonda di quella grande infelicità che lo aveva preso tutto, dal cuore allo stomaco, la speranza vi alitò un nuovo raggio di luce benefico e ristoratore.

Lasciò il pranzo da finire; già quella porzione di carne alida e tigliosa lo aveva affaticato, come se avesse smaltito un bue, e andò a casa dritto, quasi correndo.

- Ma! è proprio vero che i dolori tolgono affatto l'appetito. In tutto il giorno non ho preso un boccone, e il cibo invece di solleticarmi, chè!... mi nausea! Avrà scritto sì o no?... Io direi di sì.

Entrò dal portinaio che gli batteva il cuore, gettò un'occhiata sulla tavoletta per vedere se ci fosse quella tal lettera, che egli distingueva subito fra cento, ma non c'era nulla.

- Son venute lettere per me?

- Nossignore.

- Portatemele di sopra se vengono.

- Sissignore.

Michele salì nel suo appartamento e fece una teletta minuziosa, lenta, che non finiva mai; ma ebbe un bell'attendere; ridiscese più mortificato di prima.

- Nulla?

- Nulla, signor conte.

- Se più tardi arrivassero lettere, portatele al club.

- Sissignore....

- Nemmeno una riga! stup.... no! tanto meglio, così sono libero finalmente - e il buon Michele tirò un sospirone che voleva essere di sollievo, ma che invece sembrava un rantolo. - Era la schiavitù dei negri tale e quale: tutti i santissimi giorni dalle due alle cinque e dalle nove alle dodici comprese le domeniche!... Stasera mi divertirò come uno scapolo al Circo Americano; farò la corte a madamigella Fayler e sconcerterò il suo esercito di adoratori....

- Signor conte! signor conte!

Michele si volse e vide il suo portinaio che gli correva dietro con una lettera in mano.

- Ah! ecco! lo dicevo! m'ha scritto! Intanto è la prima a cedere!

Il volto gli si colorì improvvisamente.... ahimè! Si accorse subito che non era una lettera di Lavinia; era un fornitore che lo pregava, stante gli impegni della fine del mese, di rimettergli prontamente il saldo della fattura già da tempo consegnata, in lire 1268 75.

- E sempre al verde questo animale! - Cacciò la lettera in tasca e ritornò a pensare alla contessa.

 

*

* *

 

Al Circo Americano non si divertì come aveva sperato. Trovò madamigella Fayler attorniata da una dozzina di giovanottini che la corteggiavano, offrendole dei fiori e dei cartocci di marrons glacès. Michele, in mezzo a quello sciame che ciaramellava, prese l'aria dell'uomo avvezzo, affettando colla equestre diva una dimestichezza, un fare d'intimità molto olimpico, ma poco educato, e per voler parere spiritoso finì coll'essere impertinente. Madamigella Fayler gli rispose per le rime; Michele si strinse nelle spalle, buttò un'insolenza e se ne andò. In istrada tornò da capo a non sapere come finirebbe la serata. All'opera già non ci poteva andare perchè c'era la contessa! - Peccato; così bell'opera la Favorita!... A tanto amor, Leonora, il tuo risponda..,. Altro che la musica tedesca e i torci-budella dell'avvenire!... ed io non ci posso andare!... Cioè, anzi, non andandoci proverei a Lavinia che ho paura di rivederla; andandoci, invece, senza guardare dalla sua parte, nemmeno per starnutire, le dimostrerò chiaramente che non me ne importa un'acca di lei!

Giunto al teatro dell'opera, si sa bene, il numero nove fu il primo che Michele adocchiò colla scusa di accomodarsi il goletto della camicia....

- Come mai il capitano non è con lei?

E Michele che aveva notata Lavinia tutta sola, meno la visita innocua di un piccolo segretario di prefettura, cercò nei palchi a diritta per scoprire se il capitano Arditi fosse da quella parte a filare con lei, poi, contento di non avercelo veduto, entrò nella sua barcaccia, dopo di essere passato dal Caffè dove prese un bicchiere di barolo caldo. Il nostro amico si sentì animato da una elasticità nuova, fece gli scalini a quattro a quattro e fra gli amici si mostrò gaio ed espansivo. Si pose sul davanti del palcone, guardò a destra, a sinistra, di su, di giù; insomma il capitano non c'era proprio davvero!... Ma dunque egli non sapeva che la contessa fosse al teatro? Dunque non l'aveva veduta quel giorno? dunque lei non l'aveva avvertito, ergo lui, Michele, aveva avuto torto di sospettare. Allora si sentì invadere da una contentezza, da una beatitudine che gli riscaldava l'anima e il cuore, si accusò di essere stato ingiusto con Lavinia e provò per lei un'effusione di tenerezza così viva da sentirne le lacrime agli occhi. Aspettò un atto ancora; poi, prima dell'ultimo, affatto sicuro ormai che il capitano non sarebbe più venuto al teatro, e perciò anche dell'innocenza della contessa, volò, proprio come dal desio portato, a farle visita. Lavinia, vedendolo entrare, arrossì tutta dal piacere, e quando un altro signore, molto intelligente, ch'era nel palco, battè in ritirata lasciandoli soli, essa, piegandosi tutta innanzi colla vita, per discorrere più piano e più da vicino con Michele:

- Dunque - gli disse - sgarbatone, ti è passata la luna?

- Si, ma sono stato molto male!

- E il motivo, adesso, si potrebbe saperlo?

- Quattordici ore senza vederti! Da mezzanotte alle due è una tirata troppo lunga!

- Hai delle fissazioni, dei capricci proprio da bambino. Lo sai bene che fino a quell'ora non ho mai ricevuto nessuno, e che facendo un'eccezione per te, darebbe subito nell'occhio e farebbe sparlare.

- Verrò travestito, con una barba finta.

- Quanto sei caro! - esclamò Lavinia sorridendo e guardandolo con due occhioni colmi di tenerezza. - Ma, vedi, se non teniamo un'ora fissa, tu, a forza di voler anticipare di dieci minuti tutti i giorni, termineresti col capitarmi in casa appena fa giorno!... Io sono una pigrona, mi alzo tardi, ho i miei interessi da vedere, la casa da dirigere, mille bricciche da fare, e sbrigo tutto prima delle due apposta per essere dopo affatto libera.

- Sì, hai ragione, sono indiscreto e ti domando per..do..n.. Michele non finì la parola: un rumore di sciabola e di sproni, che si ripercoteva nel corridoio, si avvicinò e si fermò proprio sull'uscio del numero nove, poi l'uscio si aprì, ed entrò in palco il capitano Arditi. Il buon Michele diventò pallido, Lavinia ch'era donna e che perciò se le godeva assai tutte queste scenette, sorrise impercettibilmente, più cogli occhi che colla bocca. Il capitano salutò Michele, questi gli rispose colla voce rauca, e il barolo caldo con un impeto subitaneo gli risali dallo stomaco alla gola, mentre il tenore sul palco scenico cantava il romantico: Spirto gentil, de' sogni miei!...

- Che musica ispirata, divina! - esclamò il capitano dondolandosi dalla commozione.

- Sarà benissimo; in quanto a me - brontolò Michele, tenendo le gambe dispettosamente piegate sotto lo sgabello per isfuggire i piedini della contessa che cercavano i suoi - in quanto a me è roba da organetti; patrimonio del passato!

- Non vi fate sentire, per amor di Dio, caro Michele: è uno sproposito, un'eresia, questo che dite; e poi noi italiani non dobbiamo disprezzarci in tal modo. La musica è forse l'unica arte nella quale conserviamo ancora il primato, e prima di Paisiello e di Cimarosa, ma dopo Palestrina, il fiorentino Lulli alla Corte di Luigi XIV....

- Scusate, capitano, è una lezioncina che mi volete dare?

Arditi si morse le labbra, ma si contenne, e coll'aria di dire uno scherzo, più che un'impertinenza:

- No, no; caro Michele - gli rispose sorridendo - non ho tempo da perdere.

Il vino caldo fece un altro viaggio, quasi avesse preso un biglietto circolare. In questo frattempo entrava nel palchetto un vecchio parente di Lavinia, che aveva avuto l'incarico di ricondurla dopo lo spettacolo. Michele si alzò e stese la mano alla contessa per salutarla; Lavinia gliela strinse con una di quelle strette nervose che parlano così bene e così chiaro, levando i suoi occhi cilestri negli occhi foschi cattivi di Michele, con quell'effusione di amorosa inquietudine colla quale la donna si rivela madre o amante: moglie no, perchè le donne, a quel modo, non guardano quasi mai i loro mariti.

Michele, fatto un saluto col chinar del capo, saluto che comprendeva tutti e non era particolare a nessuno, uscì dal palchetto, passò nel Caffè a bere un secondo bicchiere di vino caldo per istordirsi, dopo con un brougham si fece condurre al Caffè di Londra, al club, al Circo Americano, poi di nuovo al club, dove finalmente incontrò il barone di Sant'Arduino, che Michele cercava in tutti quei giri, per mandarlo a sfidare, insieme ad un altro amico, scelto d'accordo, il capitano Arditi.

- Mi ammazzerà - pensava Michele - ma almeno, dopo un fatto simile, il ministro della guerra si deciderà a farlo cambiare di guarnigione.

Alla cena, ad uno spuntino, non ci pensò nemmeno. La testa gli girava, era stravolto; il tradimento di quella donna ormai appariva evidente: - Arditi lo sapeva certo che Lavinia era al teatro, altrimenti non ci sarebbe capitato all'ultim'atto.... con quel freddo cane!...

- Cercavo di te - disse Michele al barone incontrandolo.

- Lo so, e so pure che cosa vuoi dirmi. Il capitano Arditi m'ha lasciato or ora, m'ha detto che gli è sembrato di vederti risentito per una sua freddura, e m'incaricò di dichiararti francamente ch'egli non aveva proprio nessuna intenzione di offenderti.

- Non si tratta di una freddura, ma di un'insolenza bella e buona, ch'egli gratuitamente mi ha diretto in presenza di una signora.

- Via, siamo giusti, anche tu però....

- Voleva rifarmi la storia della musica italiana all'estero: sfido io, l'ho fermato appena ho potuto.

- Va bene, ma insomma, gli estremi per battersi non ci sono!

- Vuol dire, in tal caso, che tu non accetti d'essere il mio secondo?... Pazienza, me ne dispiacerà moltissimo, te lo assicuro, ma ne cercherò un altro.

Sant'Arduino era amico di Michele, e prevedendo che se lo avesse abbandonato sarebbe stato più difficile l'accomodar la faccenda o il risolverla alla meno peggio:

- Io accetto - gli rispose - senza discutere i tuoi motivi. Solamente ti fo considerare che abbiamo ventiquattr'ore di tempo dinanzi a noi. Stasera sei troppo irritato e nervoso, domattina alle dieci vieni a casa mia, discorreremo e combineremo tutto.

I due amici si separarono, e Michele si avviò verso casa. Colà giunto, trovò il servitore che lo aspettava.

- È arrivata una lettera per lei, signor conte, mezz'ora fa.

- Datemela.

Questa volta il presentimento non ingannò Michele, che lacerò la busta e lesse con un sogghigno d'incredulità: «Domani vi aspetto prima delle due, prima dell'una ed anche prima di mezzogiorno se volete. Bambino, bambino, bambino! - L.»

- Troppo tardi, cara!... - si svestì con fretta concitata, strappandosi i bottoni, si cacciò nel letto e spense il lume senza nemmeno leggere la gazzetta. Sotto l'inaspettata dichiarazione del capitano egli ci vedeva chiaro lo zampino di Lavinia, la quale, volendo salvare la propria riputazione, aveva scritto a lui quel bigliettino per adescarlo, e aveva ottenuto nello stesso tempo dal capitano che gli facesse delle scuse. - Oh! era una scaltra, quella , e sapeva menare per il naso tutto il mondo. Con lui però non ci sarebbe riuscita, oh no! piuttosto se lo sarebbe tagliato!... Se non fosse per lei, il capitano Arditi che contava tre campagne, due medaglie al valor militare e tanti duelli quanti non bastavano le dita di una mano a numerarli, si sarebbe indotto ad un passo simile?... Perfida!... ma egli si sarebbe vendicato facendosi uccidere ad ogni costo!

Il buon Michele non poteva pigliar sonno: si rivoltava nel letto smaniando, colla gola secca, bruciata dalla sete, e si sentiva nelle orecchie un ronzio fastidioso come se la camera fosse tutta piena di zanzare.

Quando alla fine si addormentò, fu sconcertato dai sogni più strani: Lavinia, in mezzo alle tenebre, con una veste scolorita, i capelli di un bigio chiaro, pallida, gli si avvicinava, allungandosi, assottigliandosi, finchè, come una mignatta, attaccava la sua bocca al petto di Michele e ne succhiava il cuore.... e il povero paziente soffriva la sensazione di un vuoto strano e molesto; poi, d'un tratto, la scena variava. Egli era in mezzo ad una campagna sterminata coll'erba e gli alberi color cenere di sigaro, e vedeva contro di il capitano, ch'era diventato magro e lungo come Don Chisciotte, con uno spadone che teneva a due mani; ed egli si lasciava infilare colla stoica tranquillità di un dindio morto; ma poi si avanzava lentamente, con isforzi inauditi, che lo facevano sudare, sulla lama che gli attraversava il corpo, finchè giungeva ad abbrancare il suo rivale fortunato: allora, con ugolinesca rabbia, cacciava i denti nelle carni del capitano e, cosa orribile a narrarsi, Michele, di solito tanto schifiltoso, trovava quella carne saporitissima!...

 

*

* *

 

svegliò che erano le nove e mezzo, si vestì alla lesta e alle dieci in punto entrava in casa di Sant'Arduino che faceva colazione; Michele annusò con intima compiacenza il profumo un consommè di pollo, che davvero doveva essere eccellente.

- Mi fai compagnia?

- No, grazie.

- Sei ancora ostinato come ieri sera?

- Più che mai!

- Allora mi porrò d' accordo con Giuliani per andare insieme dal ca.... Ma tu non ti senti bene?...

- È stato un capogiro.... momentaneo!

- Sei pallidissimo.... che cos'hai?

- Ho fame.... cioè, ho sete del suo sangue!

Il buon Michele alludeva certamente al sangue del capitano, ma però, con gli occhi imbambolati, fissava ostinatamente un piatto di prosciutto cotto, dal taglio fresco, soffice, spumoso.

Sant'Arduino se ne accorse. - Tu non hai fatto colazione? - gli domandò.

- Non ho appetito.

- Chè! l'appetito viene mangiando, non lo sai? - così dicendo il barone aveva fatto cenno al cameriere di servire Michele. Questi poco dopo si sentiva la faccia avvolta dal fumo denso, caldo e profumato del consommé. Cominciò a sorbire le prime cucchiaiate adagio e svogliato, ma poi a poco a poco i suoi movimenti acquistarono una insolita vivacità. Sant'Arduino gli versava del Chablis e del Médoc e Michele lo lasciava fare, mentre prendeva due volte del prosciutto, ingollava una bistecca all'ovo e, dopo di essersi battuto con selvaggio accanimento contro lo stracchino di Gorgonzola, distruggeva adesso un vassoio colmo di tigliate. Il suo volto intanto si rischiarava, l'occhio avea ripreso la vivacità abituale, Michele tornava a sentirsi sano, robusto, contento, e provava una certa contrarietà, pensando di finire ammazzato prima di sera.

Dal consommé al prosciutto e dal prosciutto alla bistecca, egli aveva cominciato a dubitare del tradimento di Lavinia, la cui figura gli si riaffacciava bionda, colorita, colle sue vaghe linee tondeggianti come nell'originale; allo stracchino, era certo della innocenza di lei, e giunto alle tigliate, una cosa sola non riusciva a spiegarsi: come mai egli ne aveva potuto dubitare.

- Lavinia innamorarsi d'un capitano.... delle armi dotte?... Lasciarsi fare un po' di corte, transeat, ma amarlo? Chi lo sospettava era strambo davvero! Se lo avesse amato, per qual motivo allora fingerebbe con me?... Cento volte, anche ieri, le avrei offerto un pretesto validissimo per mettermi in libertà, caso mai mi preferisse un altro, e lei invece tutti i giorni si fa con me più buona, più paziente, più affettuosa. E poi, bisogna essere giusti; Lavinia non sa fingere e non mi sopporterebbe dalle due alle cinque e dalle nove alle dodici, in media sei ore al giorno, se proprio non mi volesse bene.

In fin dei conti non è mia moglie, io non ho nessun diritto, pur troppo, sopra di lei, motivo per cui non ci vedo lo scopo di fingere in pubblico con me, per il gusto di tradirmi di nascosto; e quell'altro, se ci potesse qualche cosa per davvero, invece di sopportarmi sempre fra i piedi, mi manderebbe dritto a quel paese!

- Diamine!... Ma dunque, ero proprio matto ieri?... Lei indurre il capitano a farmi delle scuse, per non restar compromessa? Intanto dalle scuse alle dichiarazioni del capitano ci corre e poi.... e poi non è donna, Lavinia, da simili commedie!... Riepilogando, quale prova mi resta del suo tradimento? L'incontro mio col capitano in Via Nazionale! Grazie tante: ma io non posso dire da dove veniva, ed anzi, se Lavinia non me lo ha confessato, vuol dire che non c'è stato da lei. Certo, quando ieri m'ha veduto con un palmo.... di muso, ne avrebbe indovinata la cagione e con un pretesto; qualunque - ha tanto spirito - avrebbe subito giustificata quella visita clandestina. Come l'ho trattata male.... povero angelo!... Ma bisogna che mi compatisca.... ero proprio matto!... Sicuro!... L'amore fa di questi scherzi!... - E allora Michele, ricordandosi del bigliettino di Lavinia, che gli permetteva di andare da lei magari prima delle dodici, fu preso da un desiderio vivo, cocente, di rivederla, di gettarsi alle sue ginocchia, di confessarle tutti i suoi torti, concludendo però che se il giorno prima era stato matto, lo era stato per il gran bene che le voleva!... Guardò l'orologio; erano le 11. Sant'Arduino, il quale in tutto quel tempo non aveva sentito l'amico dire una sola parola, vedendolo adesso che guardava l'orologio, lo credette deciso più che mai nei suoi propositi di vendetta. Allora ritornò da capo, quantunque sperasse poco di riuscirvi, a tentare di persuaderlo sull'inutilità, e quasi sulla sconvenienza, di quella sfida.

- Dunque - gli domandò Michele, quando l'altro ebbe finito, sfettandosi del panattone che inzuppava nel caffè - dunque tu, nel mio caso, in parola d'onore, accetteresti le dichiarazioni del capitano?

- In parola d'onore, accetterei le dichiarazioni del capitano, che è un uomo leale e di cuore! - esclamò Sant'Arduino, meravigliato e soddisfatto1 del buon esito della sua eloquenza conciliativa. - Tutt'al più, se lo vuoi, posso fargli sapere, in via amichevole, che tu, risentito un po' dalle sue parole, avevi cercato di me, appunto per chiarirle.

- Sì, questo glielo puoi dire, ma ti raccomando di farlo in modo ch'egli non debba credere ch'io abbia del mal'animo contro di lui, perchè, lo riconosco, egli ha agito con me da vero gentiluomo, con molta delicatezza e cavalleria. Dopo tutto, se l'avesse voluto, sai, mi avrebbe tagliato a fette come quel tuo prosciutto, ch'era proprio eccellente. Hai detto bene. Il capitano è uomo di cuore!

 

*

* *

 

Mezz'ora dopo, il buon Michele, leggiero, svelto, felice, colla fisonomia ridente e l'occhio limpido, imboccava la Via Nazionale canterellando il motivo del duetto: mia vita l'amarti - Se' tutto per me. E confrontando allora quella sua contentezza gaia, serena e confidente, colla torbida infelicità, l'amaro dubbio e il malessere del giorno prima, non potè a meno di domandare in confidenza a stesso: - Ero matto.... o avevo fame?

 

 

 





1 Nell'originale "sodisfatto". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



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