Giambattista Della Porta
La Carbonaria

ATTO V.

SCENA VII.   Melitea, Isoco, Dottore, Pirino, Forca.

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SCENA VII.

 

Melitea, Isoco, Dottore, Pirino, Forca.

 

Melitea. O padre, non a me di minor riverenza di colui che m'ha generato, perché m'hai nodrita e allevata con tante fatiche e diligenze, oh quanto mi rallegro in vederti, vedendovi a tempo quando meno sperava di rivedervi.

Isoco O figlia cara - ché all'amore e riverenza che vi porto non so che altro nome chiamarvi, - che mi date tanta allegrezza in vedervi quanto mi deste dispiacere essendomi rapita: o che nobile aspetto, o come anco nelle miserie risplende la maestá della vostra bellezza!

Melitea. Siami lecito abbracciarvi con quella riverenza come mio padre: o mio caro e amato balio!

Isoco O amata e desiata figliuola!

Melitea. O Dio, quanto presto sète fatto vecchio.

Isoco Il tempo camina, figlia: tenetelo voi, ché stia fermo, e io terrò una medesima forma. Figlia, poiché hai conosciuto il tuo balio, riconosci ora il tuo vero padre.

Dottore. Carissima figliuola, non ti ricorderesti del tuo vero nome?

Melitea. Nascendo fui rapita dalla balia; poi, con piú malvaggia fortuna, fui rapita da' corsari, i quali mi fecero questo oltraggio che, rubbando me, mi rubbaro il mio vero nome, il quale è Alcesia.

Dottore. Dimmi, figliuola cara, non hai alcuna di quelle coselline d'oro serbate teco, che ti diè Galasia mia moglie?

Melitea. Signor mio, non ho altro che questo anello con una fede scolpita, che l'ho sempre custodito con grandissima diligenza - se pur Iddio mi avesse fatto grazia di riconoscere mio padre, - e questi bracciali.

Pirino. Moglie mia cara, perché mai prima mostrati non me l'avete?

Melitea. Sposo mio, i segni sono segni a coloro che li conoscono. Ma appresso quelli che non sanno che cosa sia, mi potrebbono piú tosto esser cagione di cattiva fama, dubitando che l'abbi per alcun ladroneccio o che alcuno innamorato me l'abbi donati.

Dottore. Pazzia sarebbe dubbitar piú che non sia mia figlia, e giá m'accorgo che allo splendor degli occhi e dalla eccellenza della bellezza, che rassomiglia a quella, quando era bambina: tu sei dessa, e il tuo aspetto è bastevole a farti conoscere che tu sei nobile.

Melitea. Gentiluomo, ecco alcuno altro segnale per lo quale possiate rendervi piú certo che sia vostra figlia.

. Figlia, giá son certificato da tutti e son vinto da tutti i segni, e finalmente mi chiamo vinto dalla di tutte cose vincitrice natura, per tirarmi nel core una insopportabile allegrezza. Figlia dolcissima, lascia che ti abbracci e baci, e non trattenermi un cosí dolce contento.

Melitea. Gentiluomo mio, se ben voi sète certificato che io sia vostra figlia, voglio anche io certificarmi se sète mio padre, né cerco altri segni da voi se non un solo; se sète del medesimo voler che son io, ché non conviene tra padri e figli diversa volontá. Io mi trovo esser sposa, e amata da questo cavalliero senza inganni e senza simulazione, piú svisceratamente che sia stata amata donna giamai; e per rendergli guiderdone di tanto amore, l'ho amato e amo con tutto il core e tutta l'anima mia: e sapendo certissimo che ogni debito può ricever cambio e ricompenso, e solamente l'amore non può pagarsi se non con amore, me l'ho eletto per isposo. Ed essere amata da lui è la mia gloria e mia terrena beatitudine: me li sono data in tutto e per tutto, o che mi schivi o che mi batta o mi venda in man di turchi. Mi contento del suo contento; onde se voi avete la medesima volontá mia, sète mio padre, altrimente io non ho padremadre né altra persona al mondo se non lui.

Pirino. Caro signore, con che parole poss'io corrispondere a tanta affezione, conoscendo che mi ama sovra il mio merito? qual uomo sarebbe al mondo piú ingrato di me, se non l'amassi con tutto il cuore? Da quel ponto che ci vedemmo insieme - o fusse caso o destino o che cosí fusse piaciuto a Dio, per un gran pezzo sospesi insieme, imaginandoci dove prima ci avessimo potuto vedere e riconoscerci insieme, e quando avessimo avuto insieme domestichezza; e conoscendoci fra noi l'un l'altro di merito proporzionato e l'un degno de l'altro, - ci arrossimmo insieme e insieme ci impallidimmo; e insieme chiedendo l'un a l'altro misericordia, con gli occhi pieni di lacrime e riverenti, giurammo ne' nostri cuori di amarci fin alla morte.

Dottore. Carissimi figliuoli, se conosco l'uno e l'altro di giudicio pieno e vivace, vi conosco in questo principalmente che cosí bene ambo insieme accoppiati vi siete: onde io non son d'altra volontá che voi medesimi, ed io ho impetrato da vostro padre licenza d'ammogliarvi amboduo insieme: però abbraccio e bacio amboduo come miei carissimi figliuoli. Ma io non so chi abbracciar prima, cosí egualmente vi amo e desio. Solo ti priego, caro mio Pirino, ch'ami la mia figliuola come l'hai amata per lo passato.

Pirino. Se l'ho amata schiava, povera e in casa d'un ruffiano, che si può dir piú? benché dalle sue maniere e sue creanze l'ho stimata sempre nobile e onorata, or dico che se non conoscendola l'ho tanto amata, quanto debbo or amarla sapendo che è vostra figlia? E quanto m'ho imaginato di lei, tutto m'è riuscito.

Dottore. Figlia, entriamo in casa, ché ivi ragionaremo piú a lungo. Forca, trova Mangone e digli che gli dono i cinquecento ducati e che la mia facoltá è tutta sua; e chiama Panfago e liberalo dalla prigionia.

Pirino. Chiama ancora Alessandro, ché venghi a riconciliarsi con mio padre e goder insieme con noi una commune allegrezza.

Forca. Farò quanto comandate.

Melitea. Forca mio, giá è tempo di riconoscerti de' piaceri ricevuti da te.

Pirino. Farò che questa sera sia tu libero e a parte d'ogni mio bene.

Forca. Io non merito tanti favori. Spettatori, Alessandro, Panfago e Mangone verranno a noi per la porta di dietro. Voi potrete andarvene a vostro piacere; e se la comedia v'ha piaciuta come l'altre, fatele il solito segno di allegrezza.

 


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