Giambattista Della Porta
La Carbonaria

ATTO II.

SCENA V.   Filigenio, Alessandro.

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SCENA V.

 

Filigenio, Alessandro.

 

Filigenio. (Son uscito fuori, se posso veder Forca per saper che cosa ha fatto col dottore: m'ha lasciato certi bisbigli in testa i quali, se non me li ritoglie, non mi lascieranno mai riposare. Il Forca è cattivissimo, conosce gli umori delle persone, e non è altro che sappi meglio di lui i negozi di mio figlio, ed è buon mezo a questo effetto: il suo consiglio mi piace: volendo servirmi, come dice, non è dubbio ch'io non sia ben servito).

Alessandro. (Chi è costui che ragiona?).

Filigenio. (Chi è costui che vien verso me?).

Alessandro. (È Filigenio, quel che cerco).

Filigenio. (È Alessandro mio vicino).

Alessandro. (L'andrò ad incontrare). O Filigenio, Iddio vi conceda ogni vostro desiderio.

Filigenio. Non è altro il mio desiderio che servir voi, caro Alessandro.

Alessandro. Or veniva insino a casa vostra, per pregarvi d'un segnalato favore.

Filigenio. Eccomi ad ogni vostro comando: ché colui che non servisse voi volentieri, non meritarebbe esser servito da niuna persona del mondo, perché voi potete e sapete servir gli amici vostri.

Alessandro. Se avessi saputo imaginarmi persona sufficiente piú di voi nel maneggio di questo mio negozio, arei fuggito darvi fastidio; non potendo altrimente, m'è forza a valermi del suo favore.

Filigenio. V'offerisco la prontezza dell'animo.

Alessandro. Vi ringrazio di tanta cortesia. Iersera mi venne un corriero a posta da alcuni miei amici; e mi mandano un fascio di lettere, avisandomi con replicati ricordi l'importanza del negozio. Le lettere potrete vedere ad ogni vostro agio.

Filigenio. Non mi curo altrimente; venghiamo al tronco.

Alessandro. Pregandomi come di cosa dove ci va l'onore e la vita; e mi vennero, insieme con l'altre, molte lettere di cambio, se mi bisognassero come di danari.

Filigenio. Danari non sarebbono mancati a me in vostro servigio.

Alessandro. Replicandomi: non essendo servati da me come si richiede, rimarrebbono ruinati. Son uomini veramente di sommo valore e degni d'esser serviti.

Filigenio. Dite pure in che posso servirvi.

Alessandro. Vorrebbono un schiavo di diciassette over diciotto anni, negro, di bel garbo e di acconcie maniere, che avesse del nobile; e che nel comprarlo non si avesse a risparmiar danari. Intendo che Mangone, qui appresso, n'abbia o ne soglia aver de buoni e belli; però vorrei che in mio nome ne compraste uno, e non avendolo, gli deste cura di ritrovarlo fra poco.

Filigenio. Tanto importa un schiavo?

Alessandro. Come saprete il negocio, conoscerete l'importanza: eglino confidano in me molto; non vorrei che restassero ingannati di tanta speranza. Io per certi rispetti non posso mostrarmi con lui, per esser accadute alcune parole sconcie fra noi; e chiedendolo io, mi vorrebbe appicar per la gola. Eccovi nella borsa cento scudi, dateli per lo prezzo o almeno per caparra: dateli sin tanto che basti a saziar la ingordigia.

Filigenio. Vi servirò molto volentieri. Scudi non bisognano, ché ne ho le migliaia per vostro commodo.

Alessandro. Se non togliete i danari per arra, non vo' che mi favoriate nel negozio.

Filigenio. Per non trattenermi vanamente in cerimonie, ché ho fretta di servirvi, li torrò, e or m'invio verso la sua casa.

Alessandro. Ed io per non dargli occasione che mi veggia con voi, mi partirò e verrò da qui ad un poco per saper quello che abbiate trattato.

Filigenio. In buon'ora, non vo' perder tempo in servirlo! ché chi serve tardi, mostra che sia pentito della promessa, e chi serve presto, raddoppia la promessa. Eccolo che torna a casa.

 

 

 


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