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SCENA VI.
Melitea travestita, Mangone, Filigenio.
Melitea. Caro signore, che mi comandate?
Mangone. L'aspetto solo non vale un tesoro? vedeste mai schiavo piú bello, di miglior garbo e di piú nobile apparenza? Non si vede in costui quel naso schiacciato, quelle labra grosse rivolte in fuori; sempre col riso su le labra, e per lo volto e per gli occhi fiorisce la sua allegrezza; anzi, quanto piú lo miri piú ti piace mirarlo: or se fusse bianco, che si potrebbe mirar cosa piú bella? e ti giuro che mi par ora piú bello che quando lo comprai poco anzi.
Filigenio. Hai ragione, è vero quanto dici.
Mangone. Avea fatto disegno, Amor mio, servirmi di te; ma poiché questo grand'uomo ti vuol comprare e so che ti fará carezze, ho stimato che sia meglio per te venderti a lui. Dimmi, lo servirai tu volentieri?
Melitea. Perché mi diceste prima che aveva a servir voi, mi era disposto servirvi con tutto l'animo. Ma poiché vi par meglio vendermi a questo gentiluomo, a me par ancor meglio, poiché quello che piace a voi, piace ancor a me. Le volontá de' padroni son legge de' servi: mi contento cosí ubbidirvi in ciò, come era disposto servirvi in ogni altra cosa.
Mangone. Non lo servirai molto tempo, perché ti fará libero presto.
Melitea. L'aspetto suo venerando mi mostra che i suoi costumi sieno pieni di dignitá e di cortesia; poi, vedendo quanto i miei servigi saranno amorevoli e pieni di affezione, non dubito di non esser ben trattato da lui e della mia libertá.
Mangone. Mirate che risposte argute. Di grazia, dimandateli alcuna cosa.
Filigenio. Quale è il vostro nome?
Melitea. Amore: ché se ben la natura mi fe' nascer libero, amor mi fa viver schiavo, godendo di questa servitú cara e dolce piú d'ogni libertá: avendo il corpo schiavo, arò sempre l'animo libero. Servirò voi e il vostro figlio con grande amore; e se voi mi compraste con prezzo d'oro, a lui m'ho reso schiavo con prezzo di amore: e certo che riconosciuto che sará il mio amore, sarò degno di libertá.
Mangone. Il nome val ogni dinaro: sará certo nato nobile nel suo paese, perché ancora nelle miserie spira la sua nobiltá.
Filigenio. Dove sono questi paesi?
Filigenio. Come stai?
Melitea. Come posso, poiché non posso star come vorrei.
Filigenio. Come sopporti la servitú?
Melitea. Con animo assai libero e franco, per sentir manco travaglio; perché colui che serve con animo servile, patisce due servitú, e del corpo e dell'animo.
Filigenio. Mi pensava aver comprato un schiavo e ho comprato un filosofo.
Mangone. Il ragionar di costui non vale un regno?
Filigenio. Quanto piú lo miro e ascolto ragionare, piú mi piace. Su, quanto ne domandi?
Mangone. Quanto volete voi darmi?
Filigenio. A te sta il dimandar, a me il rispondere.
Filigenio. È troppo.
Filigenio. È molto.
Mangone. Di questo che vi dico ora, non ne torrò un quattrino - ché farei torto a me stesso in dimandarne meno, e voi a darmegli: - cento scudi.
Filigenio. Ed io non vo' far torto a te che ne dimandi il giusto, né a me che lo conosco, né al merito del schiavo. Eccoti cinquanta scudi: con l'arra che avesti prima, giongono al prezzo che m'hai chiesto.
Mangone. O che allegro cuore! or vadasi ad appiccare chi dice che si trova cosa che allegri il cuore piú dell'oro.
Filigenio. Amor, andiamo a casa.
Melitea. Vi seguo con gran desiderio, né veggio l'ora di giungere.