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SCENA III.
Mangone, Dottore, Filace, Panfago.
Mangone. Padron caro, che furia è questa? Melitea sta a vostra posta; e se la volete cosí inferma come ella è, ve la darò or ora.
Mangone. Chiavata in camera strettamente.
Dottore. Dici il vero; ma non in camera tua e da altri.
Mangone. Dubitate forse che Pirino e Forca non me l'abbino tolta?
Dottore. Non lo dubito, ma lo tengo per certo: perché intendo che da Pirino e da Forca ti sia stata sbalzata di casa.
Mangone. Saranno eglino prima sbalzati da una forca.
Dottore. Di grazia, toglimi da tale ambascia, ché mi bolle nel cor un strano desiderio di vederla.
Mangone. Volentieri. O Filace, o Filace!
Filace. Che volete?
Mangone. Che cali giú Melitea, ché la vuole veder il dottore.
Mangone. Filace è un gran custode, molto astuto e sospettoso, e teme insin delle mosche. Poi, gabbar me? son un tristo e son ruffiano - bastavi questo, - e son il maggior ruffiano di tutto il ruffianesmo.
Filace. Mangone, la camera è aperta e dentro non v'è alcuno.
Mangone. Oimè, che m'hai ucciso!
Mangone. Parli pietre, me n'hai dato una in testa che m'ave ucciso. E per dove potria esser scampata?
Filace. Io non mi son mosso oggi di casa né fuor dell'uscio; e se non ha poste l'ali e scampata per le fenestre, non ha potuto scampar altronde.
Dottore. Che dici ora? non parli?
Mangone. No, né può uscir fiato dalla gola: Forca m'ha strangolato.
Mangone. E mi fa peggio ch'egli m'abbi ingannato, ch'ogni altro forastiero. O Forca, ti veggia alzato in mezzo due forche che arrivino insin al cielo! o che Dio ti dia la mala ventura!
Dottore. Tu l'hai avuta giá. Ma perché non cominci il lamento sopra i cinquecento ducati? Il lamento fallo sopra di te: che tu l'hai perduti, che colpa n'ho io?
Mangone. Son piú misero di quanti uomini sono stati o saranno o sono. O tristo me!
Dottore. Anzi, me!
Mangone. Ho perduto cinquecento ducati.
Dottore. Ho perduto l'innamorata.
Mangone. Son punito delle beffe che m'ho fatto di lui.
Dottore. Come t'hai lasciato ingannare?
Mangone. Non son stato ingannato altrimente da lui, ma ben da un raguseo il qual m'ha portato un schiavo a vendere, che, or che vi penso bene, avea tutte le fattezze di Pirino. Quel raguseo è stato la cagione della mia ruina.
Dottore. Come ti colse quel raguseo?
Mangone. Con un presente di molto prezzo; e non m'accorsi che sotto la maschera di quel presente stava nascosta la trappola.
Panfago. Ditegli che vi mostri quel presente.
Dottore. Di grazia, fammi veder quel presente per isgannarmi.
Panfago. Filace, conduci qui quel presente che mi portò il raguseo.
Dottore. Sai tu come si chiamava quel raguseo?
Mangone. Sí bene, Rastello Fallatutti di Monteladrone.
Dottore. Se ti disse che si chiamava Rastello, ché ti rastellava, e Fallatutti, ché fallava e ingannava tutti, come non ti guardavi che non fallasse ancor te?
Mangone. E il suo fattore si chiamava Rampicone di Maltivegna.
Dottore. Venghi il malanno a te e a lui; ma il mal t'è venuto.
Mangone. E gli feci una buonissima collazione.
Dottore. Questo è il peggio, che facesti una collazione a chi te ingannava.
Mangone. Prego Iddio che gli facci mal pro.
Panfago. A te porta il presente, Filace.
Mangone. Ponnosi veder le piú belle provature, formaggi, bottarghe e barilotti di malvagía?
Panfago. Diteli che le provi un poco.
Dottore. Di grazia, provatene alcune.
Mangone. Odorerò il vino. O gaglioffo traditore! il barilotto è pieno di piscio, le bottarghe sono di mattoni, il formaggio di pietra e le provature vessiche piene di sporchezza! O Dio, non gli bastava l'ingiuria, se non giongeva ingiurie ad ingiurie!
Dottore. Con tutt'i mei guai pur mi vengon le risa. Fa' cercar meglio per la casa se forse Melitea si fusse nascosta.
Mangone. Camina su, bestiaccia; non lasciar luogo da cercare. Ma che dispiacer feci mai a quel raguseo, ché mi avessi a trattar cosí male?
Dottore. Deve essere amico di Pirino e di Forca, e per far piacere a loro è stato ministro del tuo danno.
Mangone. Or che mi ricordo, avea una ciera di furfantaccio, d'un malandrino, d'un ladrone, e rassomigliava tutto a costui.
Panfago. Menti per la gola, ch'io non ho ciera di malandrino.
Mangone. Possa morir di mala morte, se tutto non rassomigliava a te!
Panfago. Mio padre fu raguseo, e in Raguggia ho un fratello che tutto rassomiglia a me. Io non ce ho colpa né in fatti né in parole.
Mangone. O Dio, che mi giova di essere uomo da bene, se la disgrazia mi persegue e altri invidiano il mio guadagno? Se vi dovesse spendere tutta la mia robba, io il porrò in mano del boia.